N. 9

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IO, B. C., DESIDERO L’ATEISMO.

1

Dante Alighieri elenca e spiega le motivazioni sul perché Dio ha creato il mondo. Continuazione del paragrafo precedente.

Io, B. C., mi chiedo: perché Dio, o questa mente divina, o pensiero di pensiero, ha creato questo colossale e mastodontico universo, ricolmo di buchi neri, di galassie e di tanti altri fenomeni megagalattici pazzeschi, assurdi, grandiosi e maestosi per poi ritornare al punto di partenza, cioè a Dio stesso o finire con l’autodistruzione dell’universo? Dante Alighieri ha dato ben 3 risposte diverse a questa domanda, fondamentale e decisiva, cosmologica e teologica. Dante Alighieri ha scritto le sue risposte in 3 canti diversi del Paradiso: nel canto VII, nel canto XIII e nel canto XXIX. Ma in tutti questi canti, diversi per argomento e per personaggi, le risposte di Dante Alighieri hanno in comune un motivo fondamentale sul perché Dio creò il mondo e l’universo. Il motivo fondamentale per cui Dio creò il mondo è dato, secondo Dante Alighieri, dalla bontà di Dio, il quale, per esprimere la sua bontà e il suo amore per l’uomo, creò il mondo. Ecco le terzine del VII canto del Paradiso, nelle quali Dante Alighieri esprime il giudizio e la motivazione che spiegano la creazione del mondo e dell’universo.

La divina bontà, che da sé sperne

ogni livore, ardendo in sé, sfavilla

si che dispiega le bellezze eterne.

Ciò che da lei sanza mezzo distilla

non ha poi fine, perché non si move

la sua imprenta quand’ella sigilla.

Ciò che da essa sanza mezzo piove

libero è tutto, perché non soggiace

a la virtute de le cose nove.

(Paradiso. Canto VII. Versi 64 – 72).

Con parole più semplici e più chiare, Dante afferma che Dio elimina da sé ogni invidia, perché Dio non ha dentro di sé nessun livore ed è solo amore e così esterna e diffonde le sue eterne bellezze mediante la creazione. La creazione è, infatti, un atto d’amore gratuito di Dio. Dante Alighieri ha appreso e ha preso, certamente, questo giudizio e questa motivazione, da una riflessione del filosofo Severino Boezio, il quale aveva espresso questo giudizio nella sua opera filosofica “LA CONSOLAZIONE DELLA FILOSOFIA”. Infatti, Boezio (Roma, 475/477 – Pavia, 524/526), in questa opera, aveva scritto: “O tu che governi il mondo con stabile norma, / creatore della Terra e del cielo, che dai primordi fai scorrere il tempo e, restando in moto, imprimi/ il moto a tutte le cose, non indotto da cause esterne a dare forma alla materia fluttuante ma dalla somma bontà a te connaturata ed esente da malevolenza, tu derivi tutto quando […]”. (Dal libro La consolazione della filosofia. Capitolo III. M. IX. Versetti 1 – 7. Classici della BUR. Pagina 225-227). Dante Alighieri, anche nel canto XIII, ripete la stessa motivazione e la stessa spiegazione sul perché Dio creò il mondo. Ecco le terzine nelle quali Dante Alighieri spiega e illustra la motivazione sul perché Dio creò il mondo:

Ciò che non more e ciò che può morire

non è se non splendor di quella idea

che partorisce, amando, il nostro Sire;

ché quella viva luce che sì mea

dal suo lucente, che non si disuna

da lui né da l’amor ch’a lor s’intrea,

per sua bontate il suo raggiare aduna,

quasi specchiato, in nove sussistenze,

etternalmente rimanendosi una.

(Paradiso. Canto XIII. Versi 52 – 60).

Con parole più semplici e più chiare, Dante afferma che Dio, attraverso la sua Trinità, ha creato nel mondo sia cose incorruttibili, come gli angeli e i cieli, e cose corruttibili come gli uomini e gli animali e gli alberi. Infatti, tutto ciò che Dio ha creato proviene e discende dal Padre dal Figlio e dallo Spirito santo. Il Dio padre genera tutto ab aeterno mediante l’Amore, cioè mediante lo Spirito santo. Dante, quindi, ripete, ancora una volta, che il Verbo (il figlio), per la sua bontà, concentra i suoi raggi nei 9 cori angelici, rimanendo eternamente uno, cioè non perdendo la sua unità. Anche nel canto XXIX, Dante Alighieri dà la terza risposta alla domanda fondamentale: perché Dio creò il mondo? Secondo Dante, Dio creò il mondo, non per acquistare altro bene per sé, perché Dio è già il bene sommo, ma creò il mondo perché il suo splendore fosse riflesso negli esseri creati, cosicché Dio potesse dire “Io esisto” negli esseri creati e affinché gli esseri creati potessero ammirare e rendersi conto dello splendore divino. Dante leggeva questo giudizio anche nelle opere di san Tommaso, (come Summa Theologiae I q L a 1 e, anche, nell’opera filosofica Summa contra gentiles II 46). Dio, nella sua eternità, creò il mondo insieme al tempo e allo spazio, nel modo in cui gli piacque liberamente e creò, anche, gli angeli pieni d’amore. Ecco le terzine nelle quali Dante esprime questo giudizio sulla creazione del mondo.

Non per avere a sé di bene acquisto,

ch’esser non può, ma perché suo splendore

potesse, risplendendo, dir “Subsisto”

in sua etternità di tempo fore,

fuor d’ogni altro comprender, come i piacque,

s’aperse in nuovi amor l’etterno amore.

Né prima quasi torpente si giacque;

ché né prima né poscia procedette

lo discorrer di Dio sopra quest’acque.

(Paradiso. Canto XXIX. Versi 13 – 21).

Con parole più semplici e più chiare, Dante afferma che Dio creò il mondo, non per acquistare altro bene per sé stesso, perché ciò non è possibile, ma perché il suo splendore, riflettendosi nelle sue creature, potesse dire “Io esisto”, nell’eternità fuori da ogni tempo, fuori da ogni spazio, secondo la propria volontà e, creò anche, i nuovi amori degli angeli. Dio non giacque addormentato prima della creazione perché prima di Dio non c’era né tempo né spazio. Dio creò il mondo e gli Angeli fuori dal tempo e dallo spazio a suo piacimento (come i piacque. Verso 17). Dante, inoltre, alla fine di questo canto, ritorna, ancora una volta, sul concetto della bontà di Dio e, per questo motivo, definisce Dio eccelso e la larghezza de l’etterno valor (Versi 142 – 143) nel donare la creazione del mondo agli uomini. Beatrice conclude il suo discorso dicendo a Dante che ora lui poteva apprezzare e poteva comprendere, anche, la sublime altezza e la generosità infinita di Dio. Ecco le terzine finali del XXIX canto, con le quali Dante Alighieri esprime, ancora una volta, la sua ammirazione verso la bontà e la magnificenza di Dio.

<<Vedi l’eccelso ormai e la larghezza

de l’etterno valor, poscia che tanti

speculi fatti s’ha in che si spezza,

uno manendo in sé come davanti>>.

(Paradiso. Canto XXIX. Versi 142 – 145).

Io, B. C., ho riassunto, così in breve, il giudizio e la motivazione che Dante dà sul perché Dio creò il mondo. Io, penso, reputo e giudico che le spiegazioni e le motivazioni date da Dante, sulla creazione del mondo, siano false e sbagliate per almeno tre motivi. Io, B. C., penso, reputo e giudico che il primo motivo della falsità e della erroneità di Dante consiste nel fatto che Dante trasferisce a Dio sentimenti ed emozioni umani; infatti la bontà e la magnificenza sono sentimenti degli uomini che non hanno niente da spartire con la vera identità di Dio, che è sconosciuta agli uomini. In questo caso, Dante si è comportato come un paziente che, in sede psicoanalitica, trasferisce i suoi sentimenti al suo psicoanalista. Questo processo di trasferimento, dal paziente allo psicoanalista, nella psicoanalisi si chiama transfert, cioè il processo di trasposizione, soggettivo e involontario, per il quale il paziente tende a trasferire sentimenti, emozioni e pensieri al suo psicoanalista che osserva, studia e analizza il paziente in una relazione interpersonale oggettiva. Io, B. C., penso, reputo e giudico, inoltre, che le spiegazioni e le motivazioni di Dante, sulla creazione del mondo, da parte di Dio, siano delle motivazioni semplicistiche e puerili, sbagliate e false, perché la creazione di Dio non è spiegata né con una argomentazione scientifica, né con un ragionamento logico, né con una spiegazione cosmologica e nemmeno con una argomentazione teologica o escatologica. Io, B. C., penso, reputo e giudico che le spiegazioni e le motivazioni di Dante, stordito, esaltato e invasato dalle pagine della Bibbia e dalle Lettere fuorvianti di san Paolo, siano soltanto delle riflessioni posticce e corrive. Inoltre, io, B. C., penso, reputo e giudico che il secondo motivo della falsità e della erroneità, sulla motivazione di Dante, sia falsa ed erronea perché Dante accetta per sé, in modo acritico e corrivo, i giudizi, le motivazioni e i ragionamenti sia quelli di san Tommaso, sia quelli di san Paolo e sia quelli di Boezio; però, mentre san Tommaso fa riferimento a san Paolo e alla Bibbia in genere, Boezio fa riferimento a Calcidio che aveva tradotto in latino il Timeo di Platone. Ora, io, B. C., penso, reputo e giudico che le due origini e fonti, quella di Boezio e quella di san Tommaso, sono diverse e contrapposte fra di loro, perché san Tommaso rimanda alla Bibbia e quindi al Dio ebraico cristiano, mentre Boezio rimanda, attraverso Calcidio, al logos di Platone. Quindi, io, B. C., penso, reputo e giudico che le due fonti, quella cristiana e quella greca, siano entrambe completamente sbagliate perché entrambe postulano un Dio che non esiste, né il Dio cristiano né il Dio greco (Logos). Infatti, io, B. C., penso, reputo e giudico che non esiste né il Dio creatore del cielo e della Terra, né il Dio come causa efficiente, come riteneva la filosofia greca, da Platone e Aristotele. Infine, io, B. C., penso, reputo e giudico che il terzo motivo della falsità e della erroneità, per il quale Dante sbaglia, nei suoi giudizi e nelle sue motivazioni, sulla creazione del mondo da parte di Dio, sia dovuto al semplice fatto che Dio non esiste come essere ontologico, per cui non può aver creato né il mondo, né gli uomini, né l’universo. Infine, io, B. C., preannuncio e avviso, sin da ora, che io, negli ultimi paragrafi di questo libro, esprimerò il mio giudizio, manifesterò e porterò, anche, una prova, decisiva e definitiva, e aggiungerò, paleserò e rivelerò, anche, una dimostrazione, logica e razionale, che formeranno un ragionamento, completo e chiaro, efficiente e convincente, che dimostrerà, una volta per tutte, l’inesistenza di Dio. Io, B. C., annuncio, fin da ora, che la mia dimostrazione, logica e razionale, ha come titolo Secundum non datur. È ovvio che, io, B. C., dimostrerò l’inesistenza di Dio non attraverso prove scientifiche, né epistemologiche, ma attraverso, anche, una prova logica e filogenetica certa, razionale e convincente, che svelerà il mistero sulla vera inesistenza di Dio. Infine, io, B. C., avevo già scritto nel sottotitolo del primo paragrafo di questo libro che la dimostrazione dell’inesistenza di Dio sarebbe avvenuta attraverso una prova logica e filogenetica, ma né scientifica e né epistemologica, sulla inesistenza di Dio. Io, B. C., da questo momento in poi, annuncio, l’inizio del giallo di questo libro, nel quale io, come un detective, determinato come un segugio, indagherò, investigherò e, alla fine dell’inchiesta e alla fine del libro, dimostrerò l’inesistenza di Dio.

Modica, 23/12/2023

Prof. Biagio Carrubba

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