N. 49

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IO, B. C., DESIDERO L’ATEISMO.

Secondo paragrafo sulla Divina Commedia.

1

Dopo questa prima considerazione sulla prima balla della Bibbia e dopo il primo grande abbaglio ed errore commesso dal sommo poeta, ora, io, B. C., passo ad elencare ed a esporre i vari ragionamenti che Dante Alighieri compose, elaborò e scrisse in versi nella terza cantica del Paradiso per dimostrare l’esistenza di Dio. In effetti, Dante Alighieri, con il Primo ragionamento, afferma che, quando Dio creò l’universo, dentro il quale distinse le cose visibile e le cose invisibili, non poté imprimere la sua potenza in tutto il creato perché il suo valore e la sua potenza eccedevano i confini dell’universo e superavano il contenuto della sua creazione. Infatti, la Sapienza Divina è infinita rispetto alla finitezza dell’universo, perciò la Potenza e il Valore di Dio sono in eccesso rispetto al suo contenuto, cosicché Dio non poté trasmettervi, a pieno, il suo Valore e la sua Potenza creativa. Ecco le terzine, con le quali Dante Alighieri esprime e mette in versi questo primo ragionamento.

Poi cominciò: <<Colui che volse il sesto

a lo stremo del mondo, e dentro ad esso

distinse tanto occulto e manifesto,

non poté suo valor sì fare impresso

in tutto l’universo, che il suo verbo

non rimanesse in infinito eccesso>>.

(Paradiso. Canto XIX. Versi 40 – 45).

Dante Alighieri, con il secondo ragionamento, afferma che la veduta degli uomini è solo uno dei raggi della mente divina, che è infusa in tutte le cose dell’universo. Inoltre, Dante afferma che la mente umana, per sua natura, non è tanto potente da poter comprendere il suo principio, Dio, perché l’intelligenza degli uomini non può andare oltre la loro sensibilità. Infatti, l’intelligenza umana è, necessariamente, solo una piccola parte della mente divina, la quale riempie di sé ogni cosa. Perciò la vista mortale non può penetrare la Giustizia Divina, come l’occhio nudo dell’uomo non può penetrare e non può vedere il fondo del mare, anche se il fondo del mare c’è, ma è ben nascosto dalle profondità dell’acqua. Inoltre, Dante Alighieri afferma che Dio è misura solo di sé stesso. Ecco le terzine, con le quali Dante Alighieri esprime e mette in versi questo secondo ragionamento.

e quinci appar che ogni minor natura

è corto recettacolo a quel bene

che non ha fine e sé con sé misura.

Dunque vostra veduta, che convene

esser alcun de raggi de la mente

di che tutte le cose sono ripiene,

non pò da sua natura esser possente

tanto, che suo principio non discerna

molto di là da quel che l’è parvente.

Però ne la giustizia sempiterna

la vista che riceve il vostro mondo,

com’occhio per lo mare, entro s’interna;

che, ben che da la proda veggia il fondo

in pelago nol vede; e nondimeno

èli, ma cela lui l’esser profondo.

(Paradiso. Canto XIX. Versi 49 – 63).

Dante Alighieri, con il terzo ragionamento, afferma che gli uomini, per la loro superbia e per la loro ambizione, non possono disputare, non possono giudicare, non possono penetrare e non possono conoscere l’infinità di Dio perché la loro ragione è impotente e corta a trascendere sé stessa per conoscere l’infinità e la potenza di Dio. Queste terzine fanno riferimento, ovviamente, a molti passi della Bibbia, tra cui le Lettere di san Paolo, come la Lettera ai romani, IX, 20; ma queste terzine fanno riferimento, anche, al Libro della sapienza, IX, 13; inoltre le terzine fanno riferimento, anche, ad un passo del libro di Giobbe, XXXVIII, 4. Ecco le terzine, con le quali Dante Alighieri esprime e mette in versi questo terzo ragionamento.

Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna,

per giudicare di lungi mille miglia

con la veduta corta d’una spanna?

Certo a colui che meco s’assottiglia,

se la Scrittura sovra noi non fosse,

da dubitar sarebbe a maraviglia.

(Paradiso. Canto XIX. Versi 79 – 84).

In effetti, Dante Alighieri aveva già espresso questo stesso ragionamento in un brano della Monarchia con queste parole: “Vi sono alcuni giudizi divini, ai quali l’umana ragione, sebbene non possa arrivare con i propri mezzi, può tuttavia innalzarsi con l’aiuto della fede in quelle cose che ci sono state dette nelle Sacre Scritture. […] Infatti la ragione umana non può capire da sé come questo sia giusto, tuttavia, con l’aiuto della fede lo può”. (Da Monarchia. II VII 4 – 5). Inoltre, Dante Alighieri con il quarto ragionamento afferma che Dio non può volere che il sommo bene, in quanto egli stesso è il sommo bene, per cui tutte le azioni degli uomini devono conformarsi alla volontà divina. In altre parole, Dio non può volere che il giusto, in quanto egli stesso è la somma e perfetta giustizia divina. Per questo motivo Dante Alighieri apostrofa, rimprovera e sferza la cattiva volontà degli uomini di voler conoscere e di voler penetrare nell’abisso de l’etterno consiglio (Pd. Canto VII. Versi 94 – 95), cioè di penetrare e di conoscere la Volontà e la Potenza di Dio. Ecco le terzine, con le quali Dante Alighieri esprime e mette in versi questo quarto ragionamento.

<<Oh terreni animali! Oh menti grosse!

La prima volontà, ch’è da sé buona,

da sé, ch’è sommo ben, mai non si mosse.

Cotanto è giusto quanto a lei consuona:

nullo creato bene a sé la tira

ma essa, radiando, lui cagiona.>>

(Paradiso. Canto XIX. Versi 85 – 90).

Inoltre, Dante Alighieri, con il quinto ragionamento, afferma che Dio, essendo il principio e il fine di ogni cosa, cioè l’alfa e l’omega (Alfa e O) dell’universo, è anche l’oggetto di lettura ed è, anche, l’Amore che insegna e sprona Dante Alighieri ad amare Dio. Poi, Dante Alighieri, si rivolge agli uomini e afferma che la mente degli uomini, che discernono e riconoscono la bontà di Dio, deve necessariamente rivolgersi a Dio, cioè all’essenza divina, la quale è superiore a tutte le altre essenze, angeliche e umane, dal momento che Dio è la luce perfetta e somma, per cui ogni altro lume è un riflesso della sua luce. Ecco le terzine, con le quali Dante Alighieri esprime e mette in versi questo quinto ragionamento.

Che ‘l ben, in quanto ben, come s’intente,

così accende amore, e tanto maggio

quanto più di bontade in sé comprende.

Dunque a l’essenza ov’è tanto a vantaggio,

che ciascun ben che fuor di lei si trova,

altro non è che un lume di suo raggio.

(Paradiso. Canto XXVI. Versi 28 – 33).

Poco dopo Dante Alighieri risponde ad un’altra domanda di san Giovanni, il quale chiede a Dante: “Qual erano gli altri motivi e gli altri stimoli per i quali Dante amava e cercava Dio?”. Dante risponde a san Giovanni e gli elenca altri 4 motivi, secondo i quali Dante cercava e amava Dio. Io, B. C., penso, reputo e giudico che Dante Alighieri, con queste risposte, presume di dimostrare e di avvalorare l’esistenza di Dio, anche se Dante Alighieri la dava per scontata e, quindi, si limitava a confermare tutti i suoi concetti e preconcetti sulla Bibbia, sulle Lettere di san Paolo e su tutti gli altri testi pseudo sacri, che lui riteneva sacri e a fondamento della religione cristiana e cattolica di Roma. Ecco le terzine, con le quali Dante Alighieri esprime e mette in versi questo quinto ragionamento.

Però ricominciai: “Tutti quei morsi

che posson far loro volgere a Dio,

a la mia caritate sono concorsi:

che l’essere del mondo e l’essere mio

la morte ch’el sostegno perch’io viva,

e quel che spera ogni fedel com’io,

con la predetta conoscenza viva,

tratto m’hanno del mar de l’amor torto,

e del diritto mi han posto a la riva.

(Paradiso. Canto XXVI. Versi 55 – 66). Come al solito, Dante Alighieri, per sostenere la sua tesi sull’esistenza di Dio, si basa, si sostiene e si rifà a molti brani della Bibbia. Come per esempio, Dante si rifà al brano XVIII, tratto dal libro dei Salmi, oppure si rifà al capitolo I, 20, della Lettera ai Romani di san Paolo; oppure al brano I, q XXXII a, 1 della Summa Teologica di san Tommaso. Infine, io, B. C., penso, reputo e giudico che Dante Alighieri, prendendo per buoni e veri tutti i libri pseudo sacri della chiesa cattolica e cristiana di Roma, abbia scritto e riportato nella sua Divina Commedia tutte le fake news, i ragionamenti sofistici e le supposizioni teologiche contenute nella Bibbia e nelle Lettere di san Paolo, conferendo, così, alla Divina Commedia, un valore religioso e un’ideologia teologica immerse nella cultura del Medioevo. Infine, io, B. C., penso, reputo e giudico che lo sbaglio di Dante Alighieri sia avvenuto perché tutti i brani della Bibbia e delle Lettere di san Paolo, che lui cita e riporta nella Divina Commedia, sono soltanto dei brani o degli episodi che non hanno nessun valore religioso, né etico né storico né metafisico e né teologico. 

Modica, 26/12/2023

Prof. Biagio Carrubba

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