
Luglio
Poesia di Pier Paolo Pasolini.
(Analizzata e commentata)
Coesiste un giovane spirito di rivolta, una profonda e ragionata necessità di rinnovamento. (Dai Meridiani, Tutte le poesie, vol. I pag. 1689)
(Da Le radici del Luglio sotto la poesia La Croce Uncinata di Pier Paolo Pasolini).
Introduzione.
Il componimento poetico, Luglio, fu pubblicato per la prima volta il 29 dicembre 1960 sul giornale “L’Unità”. Luglio segue di qualche mese la poesia La Croce Uncinata sotto la quale Pasolini ha scritto anche una nota chiarificatrice, che chiarisce, sia il suo modo di scrivere le poesie, sia la nascita delle due poesie. Pasolini distingue però aprile da Luglio per indicare che ad aprile fu scritta la poesia La Croce Uncinata, mentre le manifestazioni del luglio ’60 spiegano la genesi di Luglio. Ad aprile c’era stata la formazione del governo Tambroni, mentre a Luglio c’erano state le violente manifestazioni dei giovani contro il congresso nazionale del MSI a Genova, dove vi furono numerosi morti e feriti, che portarono alle dimissioni del governo. Nel chiarire la genesi di Luglio e ripensando alle manifestazioni dei giovani, Pasolini si indigna contro i fascisti e conclude la nota dicendo: “Ma, appunto, non avrei potuto non prendere atto – con grande conforto – che, insieme alla vergogna, arida e negativa, coesiste un giovane spirito di rivolta, una profonda e ragionata necessità di rinnovamento”. (pag. 1689)
Anche le altre due stesure della poesia, contribuiscono enormemente a chiarire e a spiegare l’esatto significato dell’edizione definitiva della poesia.
Testo della poesia.
(Dai Meridiani, Tutte le poesie, vol. I pagg. 1065 – 1068)
…pensare, onorare, dire e fare
la verità (la v minuscola è nostra)
Giovanni XXIII
La vista, alle volte, di un viso di ragazzo
– nell’atto in cui egli non si sorvegli,
e abbia un momento di incertezza, di vergogna –
mi fa quasi bruciare gli occhi di lacrime…
Lo confesso, se questi non sono veri versi,
ma qualcosa come un sermone, o un testamento,
dettato dalla tristezza della festa.
Posso perciò essere, più che aperto, inerme.
Piango o quasi, o mi mordo, come si fa, le mani,
pensando che quell’istante di incertezza
o di vergogna, è destinato a essere la vita.
Ho accompagnato, una sera, fino a casa,
un mio amico, adolescente, a una borgata:
dove egli abitava, era un tugurio
di muro in foglia e quattro assi fradice,
perso in una distesa di tuguri.
Pioveva: le luci della città lontana
erano di festa, c’era la grandezza
delle grandi sere di un popolo, di un’era.
Nel lasciarmi, egli disse: <>,
e, appunto, un’ombra di sgomento
rese più bianche le sue guance.
Se ne andò, certo, con gli occhi bagnati:
e più bagnati erano i miei, che lo guardavo
allontanarsi nel fango, tra i tuguri.
Ecco, quella sua ombra di sgomento
sarà certamente la sua vita:
perché quella sarà sempre la sua casa,
o, se non quella, una poca migliore…
Tuttavia era giovane, e, nel soprabito
col colletto rialzato, i ricci umidi,
la guancia dolce, c’era la speranza,
per lui, della vita come pura vita.
Non mentiamo a noi stessi: non è poco.
Ma se vedo un vecchio…Ce n’è tanti,
e poi non sono neanche vecchi, di quaranta,
cinquanta anni: ma i visi già di teschi,
le bocche sdentate e rattrappite in un riso
di macchietta, la pelle della nuca, bianca
sotto i peli bianchi, delicata, offesa,
le ossa che sporgono, sotto la giacchetta
lunga fino ai ginocchi, penzolante al peso
del cartoccio del pasto, i pantaloni
lavati e stirati mille volte, militari
ancora, e quindi almeno decennali…
fanno, di quegli uomini anziani, dei vecchi
da dove la vita si è assentata, cieca
di crudeltà, volando ad altri vivi.
Molte volte li vedo raggruppati, come
giovani reclute, e condotti, insieme,
a qualche lavoro straordinario, ed essi,
se è possibile dentro quelle pelli
e quegli ossami, avere un’espressione,
hanno un’espressione di allegrezza
che li rifà ragazzi: e se ti accorgi
di loro, e ti soffermi ad osservarli un attimo,
allora, sotto quelle pelli, quell’ossame,
ecco quell’ombra d’incertezza e di vergogna.
E perciò, se ti sale una lacrima negli occhi,
non puoi certo respingerla: e puoi anche
infuriarti, ne hai ragione. Così
io faccio, non ho pudore a dirlo.
Non è per la loro povertà, non per la fatica
di quel lavoro straordinario, che li vede,
la notte, dentro buche come tombe, e sopra
la testa, ognuno un lumicino a fare chiaro
su quei visi sbiancati e deformati,
non per gli stenti, non per la bruttezza
della loro casa, delle loro vesti:
sono questi i dolori di un uomo, che un uomo
può e deve affrontare, senza far pietà.
Se m’infurio è perché l’umiliazione
di quel loro stato è senza la speranza:
e questa mancanza di speranza già preclude
la strada a diventare interamente uomini:
a quarant’anni il loro apporto al mondo
è quello di un loro figlio adolescente.
Impugnano la pala come lui, con quella
sollecitudine a far bene, a farsi benvolere.
Per loro, la vita non sarà sempre così:
ma, così lo è sempre stata. La speranza
non ha luce per la vita passata.
Ma ci sono dei giorni quando quella luce
splende anche sul capo dei vecchi manovali,
degli operai più miseri e incoscienti.
Durante gli anni della Resistenza, ricordate,
non c’era ruga, male, umiliazione,
che non avesse in sé un riverbero di luce.
Perché la vita di tutti la voleva.
E così questo Luglio. Ora, la luce di quel mese
sembra affiochita in quest’ombra natalizia.
Fu una luce potente, e se investì,
nel chiarore delle piazze cittadine,
poveri, forti corpi, che pareva
la vita non volesse abbandonare,
c’era in essa tuttavia qualcosa di felice:
era quella speranza che dicevo,
per cui, ogni vita, era mille vite.
No, questa non è poesia, lo ripeto:
ma oggi, in cui la festa natalizia porta tanto
e così grigio sentimento di morte,
voglio misurarmi con la morte,
provare a prospettarla nel futuro,
vedere che testamento scriverei…
Certo, avrei poco da lasciare: qualche verso,
ancora, nei cassetti, qualche libro incompiuto,
ma anche, nella mia combattuta verità,
qualche compiuto sentimento: per esempio,
quella luce di Luglio, quel suo duro,
potente chiarore che investiva vivi e morti
e a tutto dava vita, che fugava
ogni ombra d’incertezza e di vergogna,
che assorbiva ogni lacrima, e negli occhi
lasciava soltanto posto alla speranza.
Sintesi.
La poesia è composta da tre parti distinte: la prima (VV. 1 – 34) introduce il tema della poesia e la testimonianza del poeta; la seconda parte (VV. 35 – 83) dispiega il messaggio della poesia; la terza parte (VV. 84 – 114) conclude e chiarisce la tesi della poesia. Nella prima parte, il poeta parla in prima persona e afferma che, una sera accompagnando un giovane amico a casa, il poeta vede nel volto del giovane la disperazione, la desolazione e la vergogna per la sua vita povera e per la casa in cui abitava, che era un tugurio. Vede nel volto del suo amico “un istante di incertezza o di vergogna” (versi 10 – 11) ma anche intravede, data la sua giovane età, “la speranza, per lui di una vita come pura vita” (Versi 32 – 33).
Nella seconda parte, Pasolini, descrive un gruppo di uomini adulti condotti a svolgere un lavoro straordinario. Essi non sono in realtà dei vecchi, ma soltanto anziani che hanno la testa come teschio, la bocca sdentata, le ossa sporgenti e gli abiti logorati e malgrado ciò mostrano ancora “una espressione di allegrezza che li rifà ragazzi” (Versi 54 – 55). Il poeta non reprime le lacrime per questi uomini pieni di miseria ed emarginati dalla società; egli non si infuria perché sa che non è la loro povertà, non è la loro fatica per questo lavoro straordinario, non sono i loro stenti a far nascere la disperazione in essi. Il poeta si infuria perché sa che è l’umiliazione della loro condizione esistenziale a togliere loro la speranza verso una vita migliore; essi vivono, per questi motivi, una vita priva di speranza che preclude loro la possibilità di “diventare interamente uomini” (Verso 75). Per essi, forse, la vita potrà cambiare ma quella già passata è stata vissuta priva di speranza per cui non ha avuto nessuna luce. Nella terza parte, Pasolini parla della luce del luglio del ’60 che ha dato la forza ai giovani di manifestare contro il governo Tambroni. Ora però a Pasolini sembra che quella luce stia scomparendo e quindi stia per affiochire anche la protesta dei giovani e degli operai. Il poeta ha visto che in quella luce c’era un po’ di felicità che si concretizzava, nei giovani, nella volontà di manifestare. Ma ora la tristezza della festa natalizia porta sentimenti di tedio e di morte in tutti e anche nel poeta che vuole misurarsi con la morte per vedere cosa lascerebbe nel testamento: lascerebbe qualche verso, qualche libro incompiuto e, sicuramente, lascia in eredità, anche, un compiuto sentimento, cioè la luce di luglio (e la speranza), che ha dato forza e coraggio ai giovani e che fugò, in loro, “ogni ombra di incertezza e di vergogna,/ che assorbiva ogni lacrima, e negli occhi/ lasciava soltanto posto alla speranza” (Versi 112 – 114).
Il tema della poesia.
Il tema della poesia è la descrizione diretta, tramite la testimonianza del poeta, della condizione di povertà degli operai e dei giovani che soffrono una vita priva di speranza. Essi vivono una condizione sociale povera e misera ma soprattutto sono costretti a subire una situazione psicologica precaria ed umiliante che li porta a vivere una vita priva di luce e di speranza. Ma ciò che più rende infelici giovani ed operai è vivere una vita priva di speranza più che la povertà e le condizioni di lavoro faticoso. Il passato degli operai si riempie così di una vita triste che non potrà essere riscattata neanche da un futuro migliore; ma anche gli operai e i giovani, qualche volta, sono spinti dal coraggio e dallo spirito di rinnovamento per lottare contro il potere schiacciante come era accaduto nel luglio del 1960, quando le massicce proteste popolari in tutta Italia impedirono la formazione del nuovo governo Tambroni, sostenuto con i voti del MSI. Ma ora il poeta è preoccupato perché la luce natalizia porta sconforto in essi e sopisce la forza per reagire, affiochendoli nella loro vita quotidiana basata soltanto su privazioni e sacrifici.
Il messaggio della poesia.
Il messaggio del componimento poetico consiste nella perfetta descrizione che Pasolini dà dell’emarginazione degli operai e dei giovani poveri che accettano la loro condizione con grande umiltà, senza però essere rassegnati. Pasolini descrive l’indifferenza della società consumistica del Natale verso i più deboli; infatti la gente è tutta presa a godersi il consumismo della festa natalizia e non guarda gli emarginati. Solo il poeta si accorge di loro e mostra una sensibilità e una umanità che lo portano addirittura a piangere per la forte rabbia che sente dentro di sé contro l’ingiustizia subita da questi giovani emarginati e dagli operai. E allora ricorda che nel mese di luglio del ’60 aveva sperato nelle manifestazioni contro il governo Tambroni e, oggi spera, che ritorni, nuovamente, quella luce che possa spingere gli operai a lottare di nuovo come in quella occasione per riappropriarsi della felicità e della luce di quel luglio.
La tesi della poesia.
Pasolini descrive la condizione di molti giovani ed operai adulti che vivono una vita di miseria e di stenti, in piena povertà ma che non si rassegnano alla loro vita grama. Ciò che li rende infelici non è tanto la loro condizione di povertà materiale ma è soprattutto la loro vita piena di umiliazioni e li priva di speranza; ed è proprio questa mancanza di speranza a togliere loro ogni fiducia di luce in un domani migliore.
Genere e metrica della poesia.
La poesia è una poesia politica, sociale e civile. È una poesia politica perché si rifà alle manifestazioni dei giovani e degli operai che nel mese di luglio del ’60, con la loro protesta, fecero cadere il governo Tambroni. È una poesia sociale perché il poeta denuncia la condizione di povertà e di emarginazione dei giovani e degli operai che vivono in precarie condizioni psicologiche dovute alle umiliazioni che subiscono perchè costretti a vivere di un lavoro precario e di abitare in tuguri. E’ una poesia civile perché Pasolini mette in primo piano la condizione di estrema emarginazione dei poveri manovali e rivendica i loro diritti ad avere una vita più dignitosa e felice.
Il linguaggio poetico.
Il linguaggio poetico della poesia è del tutto nuovo e moderno rispetto alla produzione poetica pasoliniana. Il poeta è ormai libero dalla terzina pascoliana e dai passaggi ermetici che avevano caratterizzato la sua precedente produzione poetica. Ora il linguaggio poetico di Luglio è fluente ed armonioso, chiaro e scorrevole, senza analogie ermetiche e quindi è molto vicino alla prosa poetica dei poeti neo-realisti di quegli anni. Il linguaggio poetico ha pochissime figure retoriche e la ricchezza della poesia deriva dal fatto che le descrizioni figurative e ambientali e le riflessioni politiche e personali del poeta scorrono come l’acqua di un fiume torrentizio che fluisce e scorre abbondante verso la foce ma senza saltare fuori dagli argini.
Le figure retoriche.
Le figure retoriche della poesia sono davvero poche: qualche anafora, un iperbato, una ripresa anaforica, pochissime similitudini. Ma tutto ciò non priva la poesia di una ricchezza linguistica dovuta alla magnificenza delle immagini e alla fluidità delle parole di tutto il componimento.
Il tono emotivo.
Il tono emotivo è notevole perché la poesia mette in rilievo soprattutto la partecipazione emotiva e sentimentale del poeta verso il mondo dei rassegnati e degli emarginati. Il poeta di fronte alla loro vista addirittura piange e si morde le dita, così come solo il grande poeta Dante Alighieri aveva fatto alla vista dei dannati nell’inferno. Ma la poesia descrive soprattutto i sentimenti degli operai che vivono una vita priva di speranza; ma il poeta sa che la luce della rivolta e del rinnovamento li potrà trascinare un’altra volta a combattere contro la rassegnazione della loro vita e della loro condizione.
Riferimenti politici, storici e culturali.
La poesia fa espressamente riferimento, prima alla Resistenza e successivamente alle manifestazioni del luglio ’60 quando vi furono violente manifestazioni di piazza, per impedire il congresso nazionale del MSI a Genova, che portarono alla caduta del governo Tambroni.
La bellezza della poesia.
La bellezza della poesia deriva da diversi elementi e fattori.
Il primo motivo è il modo come è costruita la poesia. La poesia ha una forma circolare: la terza parte si ricongiunge con la prima formando un cerchio e gli ultimi versi della terza parte si ricollegano ai primi versi della prima parte: ogni ombra d’incertezza e di vergogna (verso 112) si ricollega al verso 3 un momento d’incertezza, di vergogna. In questo modo la poesia acquista la forma unica della perfezione così come è perfetta una circonferenza che ha i suoi punti equidistanti dal centro, creando così una forma geometrica regolare.
Il secondo motivo è dato dal linguaggio poetico della poesia, alto ma contemporaneamente molto vicino alla prosa e al linguaggio comune; il filo del ragionamento corre senza difficoltà sino alla fine del componimento. Il linguaggio poetico non ha molte figure retoriche ma è chiaro e scorrevole dando l’impressione che la poesia sia stata scritta di getto. Le immagini si susseguono, una dopo l’altra, come le sequenze di un film: dai tuguri di una borgata romana ai vecchi operai emarginati accanto alle buche di una strada, dalle luci del periodo natalizio di Roma alla luce di luglio delle manifestazioni di protesta.
Il terzo motivo è dovuto ai grandi sentimenti che il poeta riesce ad esprimere grazie alla sua sensibilità estrema che lo porta perfino a piangere per quegli uomini anziani, ma che sembrano vecchi, che vivono una vita piena di umiliazioni ed abitano in tuguri. Ogni giorno che passa il loro passato diventa, sempre di più, pieno di buio e diminuisce in loro la speranza di una vita migliore. Pasolini si rammarica che lo spirito di rinnovamento e di rivolta che i giovani avevano avuto dalla luce di luglio stia finendo così come anche la felicità stia scomparendo. Infine il poeta sottolinea come la speranza sia il sentimento cardine per potere conquistare una vita più lieve e migliore. Si può dire quindi che Pasolini è un poeta che esprima sentimenti forti.
Il quarto motivo di bellezza è dato dalla centralità dei personaggi della poesia: il poeta mette in primo piano sia i giovani poveri, sia gli uomini anziani; essi, pur vivendo una vita modesta, non sono afflitti dalla rassegnazione, così come hanno mostrato di fare nel luglio del ’60. Pasolini mostra in questa poesia di credere nella liberazione dei giovani che avevano lottato contro una vita priva di speranza. Questo concetto è espresso nella famosa nota Le radici di Luglio sotto la poesia La croce Uncinata dove scrive: “quella mia indignazione, che io credevo ristretta a pochi memori, è invece condivisa da una grande maggioranza di italiani tra cui soprattutto, i giovani”. (pag. 1689).
Il quinto motivo di bellezza è dovuto alla perfetta sintesi della poesia tra “poesia ispirata” e “poesia ragionata”. Luglio è un ottimo esempio di poesia che è riuscita a sintetizzare il tipo di poesia ispirata, intuitiva, sentimentale, formale, personale con il tipo di poesia sociale, civile, di denuncia, valoriale, informale costruita per denunciare le sperequazioni e le divergenze della società capitalistica, indifferente verso i più deboli e gli emarginati. La poesia infatti fu scritta nel periodo natalizio quando è più evidente il contrasto tra la gente integrata nel sistema capitalistico, che vive nelle immagini pubblicitarie di esso e nelle insegne dei neon, e il buio degli operai e dei giovani che vivono nei tuguri pieni di umidità e lontani dalle luci della città.
Anche alcuni versi della poesia indicano in modo forte il contrasto tra la luce della città e la voglia consumistica della gente e la solitudine e il buio dove vivono gli operai che hanno, a stento, un lumicino sulla testa “a fare chiaro sui loro visi sbiancati e deformati”. Pasolini descrive queste concetto nei versi di una poesia preparatoria: “è una speranza che fa pietà: anche/il piccolo borghese più idiota ha ragione/di averlo, di termarne: c’è un istante/in cui anch’egli infine vive di passione/E tutta la capitale di questo povero paese/è un solo ansito di macchina, una corsa/angosciata verso le antiche spese/di Natale, come una nuova risorsa”. (pag. 1690)
Il sesto motivo di bellezza, è secondo me, dovuto alla forza di Pasolini di dimostrare che i diseredati e gli ultimi non hanno paura delle difficoltà e della povertà della loro condizione materiale; essi sono disposti a sopportare la miseria, a lavorare e sacrificarsi pur di migliorare la loro situazione, ma ciò che li rende emarginati è invece la loro condizione psicologica di umiliati ed emarginati. La mancanza di speranza gli impedisce di “diventare interamente uomini”. Proprio la mancanza di speranza rende questi uomini tristi e poveri e li porta a vivere una vita priva di luce. Per cui “per loro, la vita non sarà sempre così priva di speranza, ma, così lo è sempre stata. La speranza non ha luce per la vita passata” (Versi 81 – 83). Intendendo dire che tutta la vita passata, in queste condizioni, non si può più riscattare e liberare ed è persa per quello che è stata. In questa poesia emerge, dunque, lo spirito evangelico e cristiano di Pasolini, che sarà dispiegato in modo convincente nel film “Accattone” del 1961 e ancora di più nel bellissimo film “Il Vangelo secondo Matteo” del 1964.
Modica, 28 giugno 2018. Prof. Biagio Carrubba
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