L’opera poetica “Ossi di seppia” di E. Montale.

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L’opera poetica “Ossi di seppia” di E. Montale.

La prima grande opera poetica di Montale fu Ossi di seppia, che il poeta pubblicò nel 1925. Ad essa seguì nel 1928 la seconda edizione alla quale modificò in diversi punti la struttura interna del libro e aggiunse sei liriche. Il titolo del libro rinvia all’immagine marina degli “Ossi di seppia” che possono galleggiare nel mare oppure essere sbattuti sulla spiaggia come inutili relitti. I due simboli dominanti dell’opera sono la terra e il mare. Montale sceglie e sistema le varie poesie secondo un suo percorso e quindi queste non seguono una sistemazione cronologica ma ideale e poetica. La prima sezione dell’opera è composta solo dalla poesia “In limine” a cui segue la seconda sezione “Movimenti”. La prima poesia di questa sezione è “I Limoni”. La terza sezione è “Ossi di seppia”, la quarta è “Mediterraneo”, la quinta è “Meriggi e ombre”, a cui fa seguito una poesia giovanile “Riviere”, la sesta sezione, che chiude l’opera poetica. “Ossi di seppia” delinea un percorso: al momento felice dell’incanto – coincidente con l’infanzia e con una adesione panica alla natura – segue il disincanto della maturità; alla pienezza di un rapporto organico e simbolico con il cosmo segue una condizione di spaesamento e di frammentazione che investe non solo la realtà oggettiva ma anche quella soggettiva. Montale con Ossi di seppia ha voluto anche torcere il collo al linguaggio poetico tradizionale. Nel 1946 in una intervista immaginaria, Montale ha chiarito che il primo obiettivo di Ossi di seppia era quello di rivoluzionare il registro poetico tradizionale, scrivendo: “E la mia volontà di aderenza restava musicale, istintiva, non programmatica. All’eloquenza della nostra vecchia lingua aulica volevo torcere il collo, magari a rischio di una contro eloquenza”. Da qui la scelta di uno stile aspro e arido che vuole aderire alla realtà delle cose al di là dell’inganno delle convenzioni ideologiche e linguistiche. Sul piano linguistico e stilistico nel libro montaliano s’incontrano, e magari stridono, momenti alti e bassi, toni prosastici e un vocabolario tecnico, fitto di oggetti concreti e di figure precise, ma anche toni classici e aulici. Qui il piano fisico e metafisico di Montale, poeta realistico e astratto tendente al simbolico, pervengono già ad una sintesi alta e raffinata. La poesia montaliana resta ricca di oggetti, di piccoli ed esatti particolari e nondimeno tende a condensarsi, in modi perentori, in immagini emblematiche, universali o esistenziali. Nella seconda sezione emerge già il pessimismo razionale di Montale, mitigato da figure femminili giovanili come in “Falsetto” ispirata da una giovane donna, Esterina. Nonostante la presenza di questa giovane donna, il cuore del poeta resta uno strumento musicale scordato come si evince nella poesia “Corno Inglese”. Ma è nella prima poesia della seconda sezione, “I limoni”, che emerge chiaro il pessimismo razionale di Montale, secondo il quale i limoni simboleggiano le speranze che l’uomo ha di poter conoscere la natura e di poterne carpire i segreti, ma essa resta comunque al di là della comprensione razionale degli uomini. Nella terza sezione “Ossi di seppia”, il poeta esprime tutta la sua visione pessimistica poiché egli non conosce il significato della vita e quindi non lo può comunicare agli altri come dice nella prima poesia “Non chiederci la parola che squadri da ogni lato”. La sua visione pessimistica prosegue, nella poesia “Meriggiare pallido e assorto” con una immagine di vita chiusa da “una muraglia/che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”. Il poeta ha incontrato direttamente “Il male di vivere” ed indica nella “divina Indifferenza” la possibile soluzione alla condizione desolante dell’umanità. La quarta sezione è dedicata al mare “Mediterraneo” visto come padre naturale, vario e pieno di vita, ma a cui il poeta guarda con rancore come scrive nella parte finale della poesia “Giunge a volte, repente”: “Guardo la terra che scintilla, / l’aria è tanto serena che s’oscura. / E questa che in me cresce/ è forse la rancura/ che ogni figliolo, mare, ha per il padre”. Nella quinta sezione “Meriggi e Ombre” il poeta descrive la sua infanzia che finisce e il suo ingresso nella maturità, dove forse tutto è scritto come scrive in “Crisalide”: “e forse tutto è fisso, tutto e scritto, /e non vedremo sorgere per via/la libertà, il miracolo, / il fatto che non era necessario”. La maturità è sempre uguale e monotona come scrive in “Casa sul mare”: “Il viaggio finisce qui:/nelle cure meschine che dividono/l’anima che non sa più dare un grido. / Ora i minuti sono eguali e fissi/come i giri di ruota della pompa. /Un giro: un salir d’acqua che rimbomba. /Un altro, un’altra acqua, a tratti un cigolio”. L’ultima poesia è “Riviere”, una poesia del marzo del 1920, improntata ad un certo ottimismo e soprattutto alla speranza di poter, un giorno, realizzare i sogni di fanciullo ma questa poesia non riesce comunque a dissipare il pessimismo razionale delle poesie precedenti. Il poeta, ormai giovane maturo, e cosciente del male di vivere, si rivolge alle rive delle spiagge del suo mare e ricorda quando nelle mattine fresche, da fanciullo, sognava ad occhi aperti e vedeva sballottati gli ossi di seppia nelle onde e credeva di svanire a poco a poco; il poeta voleva diventare parte della natura, fondersi nei colori del tramonto e morire lentamente sorridendo. Ora, da giovane maturo, ritorna in queste rive, ma è ormai cosciente che la vita è un inganno e la sua anima è triste; comunque spera ancora che: “un giorno sarà ancora l’invito/di voci d’oro, di lusinghe audaci, /anima mia non più divisa. Pensa:/cangiare in inno l’elegia; rifarsi;/non mancar più. /Potere/simili a questi rami/ieri scarniti e nudi ed oggi pieni/di fremiti e di linfe, /sentire/noi pur domani tra i profumi e i venti/un riaffluir di sogni, un urger folle/di voci verso un esito; e nel sole/che v’investe, riviere, /rifiorire!”.
E’ evidente che il pessimismo di Montale riprende quello di Leopardi, ma con una grande differenza: il pessimismo leopardiano era cupo, eterno, universale e precludeva ogni speranza agli uomini, mentre quello montaliano è chiaro, temporaneo, terreno e aperto agli uomini, poiché non preclude ad essi la possibilità di trovare il “varco” verso la liberazione fisica e metafisica. Forse un giorno gli uomini riusciranno a sconfiggere il male di vivere, tuffandosi nella religione di un DIO trascendente, come pare che abbia fatto il poeta negli ultimi anni della sua vita, ritornando a credere a Dio.

Contesto sociale, culturale, filosofico e letterario
dell’opera Ossi di Seppia.

L’opera Ossi di Seppia è inserita in un contesto sociale medio alto, dovuto sia al fatto che Montale faceva parte di una famiglia agiata di commercianti, sia alla sua ideologia liberale. Montale scrive l’opera nel pieno dell’attività culturale italiana del 1920 – 1922. Essa riprende le tesi de “La Ronda” e interviene potentemente sul vivace dibattito culturale dell’epoca sul dannunzianesimo. L’opera presenta molti richiami filosofici impliciti e sottesi alla poesia: dal pensiero filosofico di Leopardi a quello di Schopenhauer, da Boutroux a Bergson, da Dostoevskij a L. Scestov; presenta inoltre molti richiami letterari: da C. Sbarbaro, a G. Gozzano, da Pascoli a D’Annunzio, da Saba a Campana, da Rebora a Govoni. L’opera Ossi di seppia fu pubblicata nelle edizioni di Piero Gobetti, prestigioso esponente del movimento liberale. Montale stesso fu per tutta la vita un alto esponente del movimento liberale e della borghesia italiana, e difese in molte poesie la sua posizione di centralità e il suo spirito di indipendenza nella vita politica italiana.

La poetica di Ossi di seppia.

La poetica di un autore comprende due aspetti: l’insieme dei temi e degli argomenti affrontati e sviluppati nel libro e il modo di scrivere del poeta ossia la sua lexis, che, a sua volta, comprende la scelta del lessico e dell’espressione personale. La poetica dei contenuti di Ossi di seppia riguarda il male di vivere e il suo pessimismo.

Il pessimismo montaliano.

Il pessimismo montaliano è espresso, lucidamente, fin dalle prime poesie che formano l’opera poetica “Ossi di seppia” e che sarà poi accentuato nelle successive opere poetiche fino ad arrivare all’opera finale “Diario Postumo”. In questa opera il pessimismo sarà attenuato e superato grazie all’atto supremo, ma silenzioso, della conversione del poeta da ateo a credente. Questa conversione sarà dovuta alla costante presenza, accanto al poeta, della poetessa Annalisa Cima che aiuterà la sua conversione verso quella fede tanto cercata, tanta temuta, tanto deprecata: “E fu così che il tuo parlare/timoroso e ardente, mi rese/in breve da ateo credente” (versi 16 – 18) (Dalla poesia numero 10 Il Clou dell’opera postuma Diario Postumo – Pag. 12). Distinguo quattro generi di pessimismo montaliano che si evolvono nel tempo: 1) Pessimismo razionale, 2) Pessimismo laico e ateo, 3) Pessimismo Attivo o dialettico, 4) Pessimismo metafisico o soterico.
1) Il pessimismo razionale è dettato dal fatto che la vita non ha un significato, è assurda.
2) Il pessimismo laico e ateo è dettato dal fatto che la vita è dominata dal “male di vivere”. Il poeta non cerca rifugio nella religione o nella fede ma nell’accettazione atea e laica della vita e della realtà. Montale vede la soluzione del suo pessimismo nella divina Indifferenza, concezione ereditata dalla filosofia stoica ed epicurea dell’antichità classica greco latina.
3) Il pessimismo attivo e dialettico è dato dal fatto che Montale, dinnanzi alla assurdità della vita, non rinuncia a vivere, bensì combatte per scoprire il significato dell’esistenza e il mistero dell’universo. Questo pessimismo attivo è espresso chiaramente nella poesia “Meriggiare pallido e assorto”, dove la vita si presenta assurda ed incomprensibile.
4) Il pessimismo metafisico o soterico (salvifico) è dettato a Montale dalla sua volontà di cercare qualcosa che salvi l’umanità dalla morte. Tutta la sua produzione, dalla prima all’ultima opera, è attraversata dalla ricerca del “varco” di un qualcosa che salvi l’umanità. Dalla prima poesia di Ossi di Seppia, “In limine”, è già presente la ricerca della salvezza quando scrive: “Un rovello è di qua dall’erto muro. /Se procedi t’imbatti/tu forse nel fantasma che ti salva: si compongono qui le storie, gli atti/scancellati pel giuoco del futuro. /Cerca una maglia rotta nella rete/che ci stringe, tu balza fuori, fuggi! /va, per te l’ho pregato, – ora la sete/mi sarà lieve, meno acre la ruggine…”. Il pessimismo metafisico si risolve in Montale in una tensione conoscibile di metafisica. “Il mio genere è tutta un’attesa del miracolo” così scriveva Montale, esprimendo una lucida autocritica sulla propria poesia e sottolineandone la tensione gnoseologica e la natura dialettica. Prima c’è la sua visione antinomica della vita, ove, accanto alla presenza necessaria della catena deterministica, si pone la costante ricerca dello “sbaglio di natura”, di un varco metafisico, dell’attesa di un evento salvifico, pur con la coscienza della sua natura eccezionale e prodigiosa. Poi verranno le donne, da Arletta ad Annalisa Cima, che salveranno non solo lui ma anche l’intera umanità. Il visiting angel (o angelo della salvezza) è Clizia.

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Modica 28 aprile 2019                                                                                             Prof. Biagio Carrubba

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