Introduzione al poemetto Le ceneri di Gramsci.
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Le ceneri di Gramsci è un libro di poesie nel quale Pasolini raccoglie in un unico volume 11 poemetti che lo stesso poeta aveva scritto e pubblicato in varie riviste tra il 1950 e il 1956 revisionati e pubblicati nel 1957 nelle edizioni Garzanti. Gli undici poemetti sono: 1) L’Appennino; 2) Il canto popolare; 3) Picasso; 4) Comizio; 5) L’umile Italia; 6) Quadri friulani; 7) Le ceneri di Gramsci; 8) Recit; 9) Il pianto della scavatrice; 10) Una polemica in versi; 11) La Terra di lavoro. Questi 11 poemetti furono scritti da Pasolini durante la sua permanenza nelle borgate romane, dove lui visse in compagnia della madre in condizione economiche difficili, mentre scriveva i suoi primi romanzi ambientati nelle borgate di Roma. Il primo romanzo “Ragazzi di vita” fu pubblicata nel 1955; ma Pasolini, contemporaneamente, era redattore della rivista letteraria “Officina” nella quale prendeva le distanze dall’Ermetismo, sia dal neorealismo sia dalla posizione ufficiale del Partito Comunista. E, propriamente nel poemetto n° 10, Pasolini scrive e descrive una polemica in versi, con una rivista del PCI che rispondeva al poeta che aveva accusato il PCI di “Prospettivismo”. La polemica, in quegli anni era davvero sentita, si riduce, oggi, al duro attacco che Pasolini aveva fatto su un articolo pubblicato sul numero 6 di Officina. Dunque Pasolini accusava il PCI di “Prospettivismo”. Pasolini aveva scritto: “mentre in una società come la nostra non può venire semplicemente rimosso, in nome di una salute vista in prospettiva, anticipata, coatta, – lo stato di dolore, di crisi, di divisione” al quale rispose una rivista del PCI. Questo libro di poesie risultò fin da allora nuovo e per certi versi sorprendente nel panorama poetica degli anni ’50. Sorprendente perché Pasolini usò di nuovo l’endecasillabo e la terzina che lui aveva ripreso dalla poesia del Pascoli e ciò in funzione anti ermetica e anti realistica di attualità in quegli anni. Ma il libro era nuovo anche per i contenuti che si allontanavano completamente sia dall’ermetismo sia dal neorealismo e sintetizzavano la sua condizione personale vissuta nella borgata di Roma. In “Le ceneri di Gramsci” Pasolini manifesta la sua contraddizione politica ed ideologica: da un lato aderisce al marxismo a al pensiero di Gramsci, ma dall’altro lato Pasolini non vede nel popolo delle borghese romane il proletariato che ha la coscienza di classe pronto a fare la rivoluzione sociale, ma Pasolini toglie ogni incanto politico al popolo delle borghese perché li valorizza solo per la loro vitalità primitiva e originaria di gente che vive solo di lavoro pratico senza coscienza di classe. In sintesi Pasolini dà una visione realistica, istintiva e vitalistica del popolo delle borgate romane e toglie loro la dimensione politica andando così contro Gramsci e il PCI che vedevano nel sottoproletariato una componente fondamentale degli operai vicino alla politica e allo spirito del partito dei lavoratori. Ecco come C. Salinari presenta Le ceneri di Gramsci. (in Storia della letteratura italiana editore Laterza volume II pagina 1048): “Le ceneri di Gramsci (1957)sono collocate cronologicamente tra i due romanzi Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959) e di questi condividono l’amore per il popolo, che non è più quello dei contadini friulani, ma il sottoproletariato delle borgate romane. Pasolini è persuaso che popolo bisogna vedere l’allegria, l’immediatezza, la spontaneità, “non la millenaria sua lotta” cioè la sua coscienza. Il popolo è certamente destinato a rinnovare la storia, con la sua incoscienza vitale, con la sua inconsapevole semplicità. Si deve, dunque, rappresentarlo nella sua realistica immediatezza: nell’allegria, nell’esuberanza, nella collettiva presenza fatta di grida, di risa, di veicoli d’ogni sorta, nella mancanza di una religione vera, nella sventatezza animale, nel suo orgasmo in cui non è altra passione “che per l’operare quotidiano”. Questo vede nel popolo: altro non sa “dirne/ che non sia giusto ma non sincero, astratto/ amore, non accorante simpatia” …Essere con Gramsci e contro Gramsci: con Gramsci nell’astratta intelligenza, contro Gramsci nelle buie viscere, nei sentimenti, nelle passioni.”. (pagine 1048 – 1049).
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Introduzione al poemetto Le ceneri di Gramsci.
Il poemetto Le ceneri di Gramsci è il n° 7 e dà il titolo all’intera raccolta poetica pubblicata da Pasolini nel 1957. Il singolo poemetto era stato scritto da Pasolini nel 1954 e pubblicato la prima volta nei numeri 17 – 18 della rivista “Nuovi Argomenti” nel novembre – febbraio 1956. (da P.P.P Le ceneri di Gramsci edizione Einaudi pagina 173). I versi del poemetto sono 307 divisi in 6 lasse molto lunghe. Le strofe sono formate da terzine di versi che oscillano intorno all’endecasillabo, a rima incatenata di origine pascoliana – dantesca. Da U. Fiori pagina 230) “Il discorso prende le mosse dalla registrazione di una sconfitta storica: è passato un decennio dalla fine della lotta di liberazione e sono crollate le speranze, allora vive, di “rifare la vita”, di rinnovare dalle fondamenta la società italiana. È un momento di vuoto e di sconforto, il movimento operaio è in crisi, trionfa la restaurazione moderata.” (da G. Baldi pag. 763).
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Introduzione alla genesi del poemetto Le Ceneri di Gramsci
Pasolini arrivò a Roma nel gennaio del 1950 e nel 1954 scrisse il poemetto Le Ceneri di Gramsci. Tra il 1951 e il 1954, Pasolini scrisse altri poemetti che precedono quest’ultimo. La genesi del poemetto Le Ceneri di Gramsci è da ricercare in questi primi quattro anni della vita romana di Pasolini; sono gli anni in cui Pasolini scopre Marx e Gramsci. In questi quattro anni Pasolini conduce una vita nuova rispetto a quella del Friuli da dove era stato cacciato per motivi omo-erotici. I primi quattro anni di Pasolini a Roma sono molto difficili: disoccupato, abita in una casa in affitto e la mamma è costretta a lavorare come serva presso una famiglia romana. Questo mondo romano delle borgate è molto diverso dal mondo contadino ma sano del Friuli; in questi quattro anni scrive qualche articolo e incontra Sergio Citti che gli fa conoscere il linguaggio delle borgate romane. Pasolini in questi anni fa un apprendistato di vita, continua a scrivere poesie, conosce uomini di cinema e coltiva dentro di sé l’ardente desiderio di uscire dall’anonimato delle borgate per entrare nel mondo della letteratura e del cinema ufficiale. Nello stesso tempo conosce il poeta omosessuale Sandro Penna con il quale stabilisce un sodalizio di coppia che li porta la notte a cercare giovani romani con cui praticare sesso omosessuale. Pasolini si vanterà presto dei rapporti omo-erotici con molti giovani romani. Questi quattro anni, sono anni di estrema miseria ma anche di grande conquista culturale ed intellettuale: la scoperta di Gramsci e anche la conquista di molti giovani romani con rapporti omosessuali. Ma in questi quattro anni, secondo me, Pasolini non si identifica con il mondo del sottoproletariato romano come scrive Pier Vincenzo Mengaldo: “il rapporto di Pasolini con questa realtà è, prima che di natura ideologica, è un fatto di identificazione psicologica, autorizzato dall’equazione fra le rispettive emarginazioni: col relativo rischio di continui slittamenti e sovrapposizioni da un piano all’altro e di mainmise ideologica del lettore, perpetrata surrogando alla falsità del logos l’istanza, né vera né falsa ma di per sé incontestabili, di un’esperienza personale violentemente patita” (dall’opera Poeti italiani del Novecento – pag. 782 – Edizione Oscar Mondatori del 1978), perché in effetti Pasolini applica in questi poemetti e mette in primo piano la sua caratteristica peculiare che lo distingue da tutti gli altri poeti e cioè l’equazione valida soltanto per lui diversità=originalità la cui somma produce la bellezza di tutte le sue opere poetiche, in prosa e filmiche. Dopo le prime esperienze di poesia scritta in dialetto friulano e la nascita della prima poesia in italiano (L’usignolo della Chiesa Cattolica), Pasolini scrive i primi romanzi (Amado mio, Atti impuri e Ragazzi di vita) e Le Ceneri di Gramsci. Mentre per capire i romanzi basta sapere che essi trasportano, descrivono e riportano la vita delle borgate romane, da Pasolini vissute in prima persona, per capire bene il poemetto Le Ceneri di Gramsci bisogna, invece, capire perché lui usa il genere delle terzine di origine dantesca pascoliana e non il dialetto romano dei giovani che usa nei romanzi. La risposta la offre lo stesso Pasolini nel famoso articolo La libertà stilistica del 1957 pubblicato sulla rivista Officina: “la lingua che era stata portata tutta al livello della poesia, tende ad essere abbassata tutta al livello della prosa, ossia del razionale, del logico, dello storico, con l’implicazione di una ricerca stilistica esattamente opposta a quella precedente. Ne deriva una, probabilmente imprevista, riadozione dei modi stilistici pre-novecenteschi”. Ora io credo che questi poemetti, dal primo L’appennino all’ultimo La terra di lavoro, passando attraverso Le ceneri di Gramsci, hanno una bellezza soltanto pasoliniana dovuta appunto all’equazione fondamentale della sua lexis: originalità + diversità=bellezza poetica, romanziera e filmica. Pasolini si differenzia da tutti gli altri poeti, scrittori e registi del suo tempo perché in ogni sua opera poetica artistica fa emergere questa equazione unica e irripetibile. La bellezza della sua opera è data da questo risultato unico dovuto alla sua diversità di omosessuale e alla sua originalità di scrittura e di genio poetico. Questo genio poetico si fonda, oltre che sull’equazione fondamentale originalità + diversità = bellezza, anche sul fatto che la nuova vita di Roma gli fece cambiare stile di scrittura rispetto alla poesia friulana e lo portò alla ricerca di un nuovo stile espressivo, come spiega lui stesso nell’articolo La libertà stilistica pubblicato su l’Officina quando parla di riadozione dei modi stilistici pre-novecenteschi. Infatti nessun altro poeta di quel tempo ebbe l’intuizione di riproporre e ritornare alla terzina dantesca pascoliana perché tutti pensavano a una ricerca neo realistica e quindi sul presente e non sul passato. Questo nuovo modo di poetare mi fa dire che Pasolini fu un poeta eccezionale che lo portò ad essere “un caso speciale” di poeta che può essere anche definito “il poeta maledetto italiano per antonomasia” alla Rimbaud. Pasolini stesso in una lettera del 1950 scritta a Silvana Ottieri, già è consapevole della sua nuova vita che lo aspetta: “La mia vita futura non sarà certo quella di un professore universitario: ormai su di me c’è il segno di Rimbaud o di Campana o anche di Wilde, ch’io lo voglia o no, che gli altri lo accettino o no. È una cosa scomoda, urtante, inammissibile, ma è così: e io come te, non mi rassegno”. Dunque, condivido il giudizio espresso da Italo Calvino nella lettera pubblicata ne “Il Contemporaneo” del 1956: “ma appunto per il fatto che è finalmente una poesia che muove dalla discussione ed è per di più una bellissima poesia, che riassume e supera l’elezione della tradizione italiana della poesia civile, della sapienza verbale dei maestri dell’ermetismo, e delle esigenze realistiche più recenti, io sono convinto che con Le ceneri di Gramsci si apre una nuova epoca della poesia italiana”. Secondo me, Biagio Carrubba, la vera novità del poemetto Le ceneri di Gramsci è che Pasolini non solo non rinnega il suo entusiasmo per Gramsci, come invece sostiene Vincenzo Cerami, nell’opera Letteratura Italiana – Einaudi Editore – IV Volume – Pag. 658, che scrive: “in questo poemetto centrale il poeta “abiura” la militanza politica con un drammatico interrogativo”; ma la novità più importante è che il poemetto inaugura in Italia una poesia omoerotica (non esplicitamente manifestata ma comunque chiara per chi lo conosceva personalmente e per gli altri lettori che riescono a leggere bene tra i versi). Infatti tutta la quinta lassa è dedicata a giovani che chiamano altri giovani, e a giovani con il sesso maschile gonfio, e non si parla per niente di amore etero sessuale; oltre a parlare della sua vita omosessuale, Pasolini alla fine del poema, all’auto-domanda “mi chiederai tu di abbandonare questa disperata passione di essere nel mondo?” si risponde che lui non abbandonerà la sua vita omoerotica ma la seguirà ancora. Dunque la vera novità delle Ceneri di Gramsci non sta nel Pasolini “poeta civile” ma nel Pasolini “poeta omoerotico”; quindi con questo poemetto Pasolini apre la via a una poesia effettivamente nuova, omoerotica, rispetto al panorama poetico italiano fatto di amore tradizionale e di altri temi generali accettabili alla mentalità italiana dell’epoca. Secondo me questa interpretazione del poemetto in chiave di poesia omoerotica, ma oggettiva e realistica, è molto diversa dalle interpretazioni che ne ha dato Rinaldo Rinaldi, per il quale, invece, il poemetto Le Ceneri di Gramsci, è frutto di una poesia visionaria, fantasmagorica come scrive a pagina 129 dell’opera Pier Paolo Pasolini, Mursia editore, del 1982: “Se però riconsideriamo, per concludere, l’intera raccolta uscita nel 1957, dobbiamo ammettere che questi scossoni, queste fessure e compromessi, non intaccano il progetto fondamentale originario. Ciò che resta alla fine della lettura è pur sempre la poesia come pratica fantastica onirica…La totalità della poesia fa a meno del Gramsci storico come fa a meno del soggetto storico Pier Paolo Pasolini: al loro posto compare un Gramsci fantasma, una polverizzazione di spettri”. Invece secondo me la maggiore e più importante novità del poemetto consiste nel fatto che Pasolini parla della sua omosessualità (accettabile) che sconfina nella sua pedofilia (inaccettabile). Infatti tutta la quinta lassa, Pasolini la dedica alla descrizione della sua vita omoerotica e al suo peccato inconfessabile espressa ed esplicitata tra le righe del poemetto, ma non confessabile alla società italiana degli anni ’50 piena di pregiudizi e ancora legata al concetto tradizionale dell’amore e del sesso. Ma nelle opere successive Pasolini confermerà sempre più manifestamente, nelle sue opere poetiche, la sua vita omoerotica. Quindi alla domanda finale della VI lassa, “Ma io, con il cuore cosciente/ di chi soltanto nella storia ha vita/, potrò mai con pura passione operare, / se so che la nostra storia è finita?”, versi che molti critici hanno avuto difficoltà ad interpretare dato che nostra storia è ambiguo (Pasolini, Gramsci). Io, Biagio Carrubba, penso e suppongo che l’unica risposta possibile alla domanda e all’ipotesi di Pasolini è la seguente: io, Pasolini, non potrò seguire Gramsci nel suo ideale politico e filosofico, data la vuotezza del tempo, ma seguirò la mia vita omoerotica perché corrisponde alla mia originalità e alla mia diversità fondamentale. Quindi, io, B. C., deduco ed evinco che la risposta di Pasolini si deduce dai versi 256 – 265 della VI lassa, che io, B. C., riporto qui sotto.
Quanto più è vano
– in questo vuoto della storia, in questa
ronzante pausa in cui la vita tace –
ogni ideale, meglio è manifesta
la stupenda, adusta sensualità
quasi alessandrina, che tutto minia
e impuramente accende.
Modica, 29 aprile 2023 Prof. Biagio Carrubba
Modica, 02 maggio 2023
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