Parafrasi
Preambolo (versi 1 – 33)
Oh, fine pratico della mia poesia!
Questo fine mi toglie molto prestigio
e mi crea molta ansietà.
A causa degli insulti che ricevo
scrivo poesia per difendermi e rinuncio
alla mia dignità.
Ho perso la mia compagnia dei poeti
per i quali contano soltanto le pure
relazioni di passione e pensiero.
Soltanto la luce di aprile mi incoraggia
e mi dà fiato per reggere la vita.
I Tema (versi 34 – 130)
La mia felicità si trova soltanto nei
maschi adolescenti che hanno in sorte la
vita giusta. (versi 34-57).
Il mio amore è soltanto per mia madre
solo per essa impegno il mio cuore.
Per i miei coetanei arde soltanto la mia carne (versi 97-106)
Meglio la morte che rinunciare a loro (verso 106)
Con loro ho un segreto che non svelo
e questo atto è da ripetere tante volte perché per chi
non lo prova significa provare la morte come un dolore atroce. (versi 123-130)
II Tema (versi 131 – 165)
Io non ho ragione per essere diverso
non conosco il vostro Dio, io sono ateo
prigioniero soltanto del mio amore libero in ogni mia passione.
Io sono un uomo libero
sesso, morte, passione politica sono il semplice oggetto
a cui io dò il mio cuore elegiaco.
La mia vita non possiede altro. (versi 136-145)
III Tema (versi 166 – 175)
Nella mia fanciullezza calcai un conformismo
che mi salvava come un volo cieco. (versi 174 – 175)
IV Tema (versi 176 – 195)
Mi sento il reietto di un raduno di tutti i normali.
Cerco alleanze con i diversi, gli ebrei e i negri.
V Tema (versi 196 – 201)
Ma trovai la strada della salvezza nella poesia (versi 198 – 201)
VI Tema (versi 202 – 219)
Questo dono non fu un dono del cielo ma mi fu dato
dal mio coraggio di mostrarmi per quello che ero.
A vincere fu più il terrore della realtà e della
solitudine più che degli altri. (versi 207-217)
VII Tema (versi 220 – 246)
Io morirò senza avere conosciuto il profondo senso
di essere uomo. Sono come un cieco, un mostro
a cui nessuna cosa lo consola. Sono il trastullo di
una ingiustizia e reputo assurdo questo ordine prenatale. (versi 232 – 246)
VIII Tema (versi 247 – 258)
Dentro i ventri delle madri nascono figli ciechi,
pieni di desiderio di luce che attraversano la vita
nel buio e nella vergogna. Gli altri dicono che non
bisogna essergli di peso, ed essi, i figli ciechi obbediscono.
Così la loro vita si tinge di un colore diverso (versi 247 – 258)
II Parte
IX Tema (versi 259 – 271)
Parlo dell’Italia che ha dato soltanto servi e penso a
un processo contro di me e ripenso ai giudici che si gonfiavano
a recitare una parte. (versi 265 – 282)
X Tema (versi 272 – 309)
Il presidente della Corte parlava dialettale con gli uomini,
scolastico con i grandi (versi 286 – 289)
XI Tema (versi 310 – 342)
Descrive il Pubblico Ministero che aveva venduto l’anima
al diavolo in carne e ossa. Il suo odio per me era l’odio verso
la sua coscienza. (versi 319 – 342)
XII Tema (versi 343 – 387)
Arringa del poeta contro i giudici:
Voi siete uomini formali – umili per viltà, ossequienti per timidezza –
siete persone: in voi e in me, si consumi il rapporto:
in voi, di arido odio, in me, di conoscenza.
Ah Negri ed ebrei, povere schiere di segnati e diversi,
odiate, straziate il mondo degli uomini borghesi!
Solo un mare di sangue può salvare il mondo dai sogni
borghesi che farebbero del mondo un luogo sempre più irreale!
Solo una rivoluzione che fa strage dei borghesi
può esorcizzare il male. (versi da 358 – 387)
XIII Tema (versi 388 – 393)
Questo profeta, che non ho la forza di uccidere
una mosca, sono io. E la mia sorte si può liberare, soltanto,
dopo avere detto tutto questo, dopo avere profetizzato la rivoluzione
e, soltanto dopo la rivoluzione, la mia sorte si potrà liberare e il mio
discorso sulla realtà potrà cominciare, essere inteso ed essere capito, e la mia parola
potrà smuovere la realtà per liberare i borghesi dai loro pregiudizi
e mitigare, oppure annullare, il loro odio verso i negri, gli ebrei e gli eterodossi.
(Versi 388 – 393).
Il tema
Il tema del poemetto si dispiega lungo il testo, mentre lo svolgimento segue lo sviluppo personale ed esistenziale del poeta che analizza sé stesso e si confronta con il mondo culturale esterno. Inoltre il tema si snoda attraverso vari argomenti e temi, ognuno dei quali si collega a quello precedente, sviluppando quindi un ragionamento culturale e personale che si collega ai temi culturali e sociali degli anni ’60 vivi in tutto il mondo; tra questi c’era ovviamente il processo di decolonizzazione che in Europa era sostenuto dai partiti di sinistra e che veniva chiamato “cultura terzomondista“. Dopo il preambolo, Pasolini chiarisce alcuni concetti preliminari e poi introduce il tema vero e proprio del poemetto. Il tema nuovo del poemetto è, senza dubbio, la diversità del poeta in tutti i sensi: sessuale e culturale. Il poeta, che già si era reso conto della sua diversità sessuale, ora ne prende coscienza e la trasforma in una forza politica che contribuisce al processo di liberazione mondiale di tutti i diversi. Pasolini afferma nel poemetto che la sua diversità è una forza sessuale, morale e culturale che contribuisce al processo mondiale di liberazione dei diversi e degli emarginati; si rivolge quindi ai negri e agli ebrei che sono simboli dei diversi che lottano contro il colonialismo e infine nella parte finale del testo profetizza l’avvento di una rivoluzione mondiale per la liberazione dei diversi. Pasolini, avendo preso coscienza della dimensione politica del problema, ora non si fa abbattere e deprimere dalla sua diversità come scandalo e vergogna privata, come invece l’esprimeva nelle sue prime opere poetiche fino al poemetto Le ceneri di Gramsci. Pasolini, già con l’opera precedente, La religione del mio tempo, dichiara apertamente e dà sfogo a tutta la sua rabbia politica, come esprime nelle poesie della sezione Poesie Incivili. Ma rispetto a La religione del mio tempo, in Poesia in forma di rosa, Pasolini dichiara con orgoglio che la sua diversità sessuale e culturale va a rafforzare e contribuisce ad allargare la diversità degli altri (ebrei, negri, africani) e alla fine del poemetto li incita all’utopica rivoluzione e lotta mondiale di tutti i diversi. Nel poemetto Pasolini cerca un’alleanza solidale con tutti gli altri popoli emarginati, che in quel periodo storico di inizio anni ’60, erano i negri e gli ebrei, impegnati nel processo storico della decolonizzazione dai paesi europei colonizzatori. Alla fine del poemetto, Pasolini, preso da uno slancio emotivo ed empatico con i diversi e i reietti di tutto il mondo, li incita ad odiare il sistema borghese e a lottare contro i pregiudizi della borghesia. Il poemetto La Realtà, è parallelo ad altri due poemetti della stessa raccolta e cioè Profezia e L’Uomo di Bandung. Questi tre poemetti hanno come tema portante la rivoluzione mondiale dei diversi e dei popoli colonizzati cha aspiravano alla decolonizzazione completa. Quindi Pasolini vedeva nella rivoluzione e nella liberazione di questi popoli un fattore positivo anche per la sua liberazione.
Il messaggio
Il messaggio del poemetto è quello di affermare con enfasi e con convinzione che l’amore è una forza primordiale anche nella forma deviata dalla normalità. Pasolini non rinnega l’amore eterosessuale ma accetta con orgoglio e con piacere la sua diversità sessuale poiché fa parte della natura umana che accomuna così tutti i diversi del mondo. Come scrive nei versi 105 – 108: Meglio la morte/che rinunciarvi! Io devo difendere/questa enormità di disperata tenerezza/che, pari al mondo, ho avuto nascendo. Concetto ribadito nei versi 127 – 131: E mille volte questo atto è da ripetere:/perché, non ripeterlo, significa provare/la morte come un dolore frenetico, /che non ha pari nel mondo vitale… Ora l’amore omosessuale si contrappone come scandalo alla bigotteria dei borghesi e dei giudici che hanno accusato il poeta e lo hanno processato; per cui nella seconda parte del poemetto, il poeta descrive i giudici del suo processo, che hanno, secondo lui, facce normali; ma uno dei giudici ha venduto l’anima al diavolo perché dai suoi occhi traspare un odio viscerale contro il poeta. Ma il grande e vitale messaggio del poemetto resta quello dell’autoaffermazione e dell’auto accettazione da parte del poeta del suo carattere anticonformista rispetto alla normalità degli altri per cui il messaggio forte del poemetto diviene l’affermazione e la scelta di Pasolini di restare un uomo libero in tutti i sensi, culturale e sessuale. In questo senso, Pasolini ribadisce la sua scelta di essere un uomo libero da tutti e da tutto, persino da Dio, come afferma nei versi 134 – 139: Né ho ragione/per essere diverso, non conosco/il vostro Dio, io sono ateo: prigione/solo del mio amore, per il resto libero, /in ogni mio giudizio, ogni mia passione. /Io sono un uomo libero! E afferma che: Sesso, morte, passione politica, /sono i semplici oggetti a cui lui dà il suo cuore elegiaco e la sua poesia, che sono le uniche due cose che possiede. In effetti Pasolini, per tutta la vita, fu un uomo libero che combatté contro tutto e tutti e fu libero fino alla sua fine. Già nei versi 184 – 186, Pasolini, prevede il suo brutale omicidio, tragico, inaspettato e prematuro; questi versi preannunciano una morte annunciata ed attesa frutto della sua vita libertina e libertaria: da nulla consacrato, /non appartenente a nessuno, /libero di una libertà che mi ha massacrato. E infatti, come sappiamo, Pasolini fu trovato massacrato all’alba del 2 novembre del 1975, quasi sicuramente ucciso da sicari fascisti.
La tesi
Nel finale del poemetto Pasolini descrive, in modo alquanto utopistico, la grande liberazione dei popoli colonizzati e incita, da profeta, la rivoluzione che tutti i diversi e i reietti dovrebbero fare per liberarsi dalle catene del capitalismo. Questa cultura terzomondista, era allora molto diffusa in Italia e nel mondo ed era alimentata dalla rivoluzione concreta e reale che c’era stata nel 1959 a Cuba ad opera di Fidel Castro e Che Guevara, che avevano liberato Cuba da un terribile dittatore ridando speranza a tutti i popoli oppressi dall’imperialismo. Pasolini fa dunque sua la tesi della rivoluzione e la descrive come una battaglia cruenta, cruda e sanguinaria per liberare tutti i reietti del mondo come fa nei versi 376 – 387: Ah, negri/Ebrei, povere schiere/di segnati e diversi, nati da ventri/innocenti, a primavere/infeconde, di vermi, di serpenti, /orrendi a loro insaputa, condannati/a essere atrocemente miti, puerilmente violenti, /odiate! straziate il mondo degli uomini bennati! Solo un mare di sangue può salvare, il mondo, dai suoi borghesi sogni destinati/a farne un luogo sempre più irreale! /Solo una rivoluzione che fa strage/di questi morti, può sconsacrarne il male! Questo incitamento alla rivoluzione è fatto da Pasolini, che si sente un profeta, più che un poeta perché tutta la sua forza consiste nella sua diversità; solo quando il mondo sarà liberato dal capitalismo, allora potrà sorgere una nuova realtà nella quale lui potrà mostrarsi per quello che è. L’importanza e la bellezza della tesi del poemetto si evince anche dal confronto con la rappresentazione del sovvertimento rivoluzionario da parte degli oppressi e degli operai che lui ha descritto nello stesso periodo nell’altro poemetto La Profezia che fa parte della stessa raccolta, anche se nell’edizione di giugno, Pasolini soppresse il poemetto. Ecco il finale de La Profezia:
Essi che pregarono
alle lotte operaie…
…deponendo l’onestà
delle religioni contadine,
dimenticando l’onore
della malavita,
tradendo il candore
dei popoli barbari,
dietro ai loro Alì
dagli Occhi Azzurri – usciranno da sotto la terra per rapinare –
saliranno dal fondo del mare per uccidere, – scenderanno dall’alto del cielo
per espropriare – e per insegnare ai compagni operai la gioia della vita –
per insegnare ai borghesi
la gioia della libertà –
per insegnare ai cristiani
la gioia della morte
distruggeranno Roma
e sulle sue rovine
deporranno il germe
della Storia Antica.
Poi col Papa e ogni sacramento
andranno come zingari
su verso l’Ovest e il Nord
con le bandiere rosse
di Trotzky al vento…
(Dai Meridiani – Tutte le poesie, vol. I, pagg. 1290 – 1291).
Entrambi i poemetti hanno come tesi principale la descrizione della rivoluzione mondiale degli sfruttati, ma nel poemetto La Realtà questa è fatta dai diversi e dai reietti, mentre nel pometto La Profezia è fatta dai poveri, dai deboli, dagli operai. Nel finale della Profezia, Pasolini indica inoltre gli obiettivi che si prefiggono i popoli oppressi: la gioia della vita, della libertà e della morte e lo fanno sotto le bandiere rosse di Trotzky, come per dire che questa rivoluzione ha una impronta e una ideologia molto marcata del comunismo di Trotzky, mentre la rivoluzione della realtà è fatta da singoli soggetti e da tutti i popoli sfruttati, in nome della libertà di tutti i diversi e di tutti reietti, senza una ideologia prestabilita in nome della libertà mondiale. I due pometti hanno in comune il tema ma si differiscono nella forma esteriore perché La Realtà prosegue e finisce con le terzine, mentre La Profezia è un calligramma a forma di croce, che è uno stile nuovo, inerente e specifico di alcune poesia della raccolta Poesie in forme di rosa. Un’altra piccola differenza è il cambiamento di soggetto delle due rivoluzioni che è dovuto sicuramente a un incontro a Parigi di Pasolini con Jean-Paul Sartre che gli raccontò la storia di Alì dagli Occhi Azzurri che il poeta pose come epigrafe e sottotitolo del poemetto La Profezia: A Jean-Paul Sartre, che mi ha raccontato la storia di Alì dagli Occhi Azzurri.
Analisi della forma
Genere
Poemetto di argomento personale, esistenziale e politico.
Metrica
Il poemetto è composto da 393 versi in forma di terzine di endecasillabi irregolari con rima incatenata ma molte volte libera.
Le figure retoriche
Le figure retoriche sono moltissime:
- Enjambement (Versi 3-4) “la mia/lingua“
- Ossimori (Verso 12) “stanca e vitale“
- Catafore (Verso 10) “quel mio cuore elegiaco“
- Allitterazioni (Verso 15) “pian piano“
- Interiezioni (Verso 1) “Oh“
- Esclamazioni (Verso 1) “Oh, fine pratico della mia poesia!“
- Ellissi (Verso 37) “nelle sudate“
- Vox Media (Verso 26) “la sua felicità primaverile“
- Sintagmi originali (Verso 41) “nell’orgasmo della città festiva“
- Similitudini (Verso 44) “come di cuccioli lupi“
- Domande retoriche (Verso 69) “ma in che cosa sperano?“
- Apostrofi (Verso 376) “Ah negri, ebrei, povere schiere“
- Iperbati (Verso 239 – Verso 244) “assurdo” “è questo ordine prenatale“
Il linguaggio poetico
Il linguaggio poetico del poemetto è ricchissimo di immagini originali e di figure retoriche che innalzano lo stile manieristico a uno stile iperrealistico. Le immagini raffinate danno al poemetto un livello molto alto di ricercatezza e di originalità. Il linguaggio poetico rende il poemetto un’opera speciale, eclatante, vistosa perché esso è costruito con parole astratte e concrete, chiare ed oscure, ostiche e leggere, così che esse danno al poemetto uno stile letterario mono linguistico e mono stilistico. Tutto il linguaggio poetico, nel suo insieme ha una levitazione pensile, sospesa nell’aria, che dà una immagine e un’aria sospesa al poemetto che diventa astratto e concreto, aereo e terrestre, per cui il lettore ha la sensazione di leggere qualcosa di rarefatto ed evanescente che non sta né in terra né in cielo e che gli sfugge continuamente nelle varie sequenze del testo, anche se il linguaggio poetico resta attaccato alla realtà sociale e culturale del tempo. Inoltre il linguaggio poetico del poemetto è, altresì, enfatico, pieno di apostrofi, di sospensioni e di puntini di sospensione che rendono il poemetto quasi una filippica, una arringa contro i pregiudizi borghesi. Nella parte finale Pasolini declama una perorazione a favore dei diversi, dei negri e degli ebrei e li istiga ad attuare la rivoluzione mondiale per trasformare la realtà: da una concatenazione sociale e statale opprimente ed irreale ad una società liberata, reale e solidale.
La lexis
La lexis del poemetto è curiale, aulica, personale e a tratti di maniera, nell’accezione di stile e tecnica particolare di un poeta. La lexis di Pasolini, che si snoda nel poemetto, lo fa assomigliare a un abito femminile rinascimentale il quale è ricco di merletti, frange, trine, e pizzi che rendono l’abito classico, ornato e decorato, dandogli una eleganza raffinata, curiale e cortese. Anche il poemetto acquista una maniera curiale e aulica che ne determina, in buona parte, la propria bellezza. Ma il poemetto raccoglie su di sé tutte le peculiarità e le caratteristiche della lexis di Pasolini che sinteticamente sono: 1) la tendenza a scrivere lunghi poemetti che qualche volta sfociano in un po’ di prolissità a causa di qualche frangia e merletto in più; 2) l’inclinazione ad ornare i suoi componimenti poetici con particolari dettagli vivi e vividi che rendono il testo poetico icastico e carnoso; 3) la tendenza a dare al poemetto un valore umano ed etico forte, pieno di tutti i sentimenti ostici e ostili propri del poeta che si riversano nei confronti degli altri interlocutori presenti nel testo: 4) la pratica a riempire il testo di moltissime figure retoriche che ricamano l’argomento trattato tanto da farlo assomigliare ad un abito rinascimentale impreziosito da pizzi e merletti; 5) la tendenza, molto ripetitiva di Pasolini, a riparlare sempre della sua fanciullezza e della sua giovinezza anche quando alcune volte potrebbe evitare di farlo. Anche il poemetto La Realtà risente di tutte queste caratteristiche pasoliniane per cui alla forma corrisponde un abito luccicante che riceve la luce e la riflette in tante luminosità diverse con molte sfaccettature di colori. Questa luce dell’abito domina i contenuti che sono composti dalle acque tempestose e agitate dei comportamenti e della personalità del poeta che scaglia i suoi sentimenti rabbiosamente contro gli altri.
Il tono emotivo
Il tono emotivo del poemetto è veramente molto intenso e duro poiché è pieno di sentimenti negativi, ostili, come sono i sentimenti che il poeta scaglia contro i cosiddetti normali, che lo giudicava un mostro e un anti sociale. Già nel preambolo del poemetto, Pasolini, esprime la sua acrimonia contro chi lo insultava e lo criticava in quegli anni e lui si lamenta che ciò gli causa la perdita dei suoi amici poeti padani. Pasolini prosegue manifestando altri sentimenti ostili come il livore, la rabbia, la disperazione, la ribellione e l’odio contro i giudici perché, in quegli anni, veniva bersagliato e processato dalla giustizia in processi spesso inscenati su futili cause per farlo diventare un capro espiatorio. Edoardo Esposito conferma questa mia tesi quando scrive: “A difesa del poeta, andrà ricordato che l’Italia di quegli anni, reduce da un governo Tambroni, eletto con l’appoggio dei fascisti, e incerta sull’esperimento del primo centro-sinistra, trovava proprio nella sua persona il capro espiatorio ideale di pretese tendenze irreligiose e soprattutto politicamente eversive, e che Pasolini dovette subire nel corso degli anni una vera e propria persecuzione in cui le accuse di oscenità o di “vilipendio alla religione di Stato” servivano anzitutto a disinnescare la potenzialità esplosiva di una protesta essenzialmente civile, ed eversiva semmai nel coraggio con cui era continuamente sostenuta” (dall’introduzione al libro Poesia in forma di rosa – Ed. Garzanti – Serie Gli Elefanti – Pag. X). Circola anche nel poemetto un senso di disperazione del poeta contro l’immobilità della realtà italiana e contro il neocapitalismo italiano e mondiale; in questo senso il poemetto si aggiunge alla cultura del terzomondismo proprio di quegli anni. Ma il poemetto è anche pieno di un sentimento di solidarietà e di fraternità verso tutti i diversi, gli infelici e gli sfruttati della terra, i quali non solo soffrono per la loro diversità, (o eterodossia) ma sono costretti a subire le umiliazioni e le vessazioni dei cosiddetti normali che li costringono a tacere e a fingere per non essere di peso a loro. Questo concetto è espresso nei versi 247 – 258:
Dentro i ventri
delle madri, nascono figli ciechi
– pieni di desiderio di luce – sbilenchi
– pieni d’istinti lieti:
e attraversano la vita nel buio e la vergogna.
Ci si può rassegnare – e i feti
viventi, povere erinni, possono in ogni
ora della loro vita, tacere o fingere.
Gli altri dicono sempre che non bisogna
essergli di peso. Ed essi obbediscono. Si tinge
così tutta la loro vita di un colore diverso.
E il mondo – il mondo innocente! – li respinge.
Il fascino e la bellezza della poesia
Il primo motivo di fascino, per me, del poemetto sta nella rappresentazione e nella raffigurazione che il poeta fa di sé stesso dalle quali ne esce una figura di uomo, altèro, indocile, indomabile che non ha paura di nessuno e che combatte contro tutto e contro tutti. Questo poeta “diverso” afferma di possedere una forza e una energia interiore inesauribile e invincibile che gli permettono di lottare contro la mentalità dominante. Egli si dichiara ateo, diverso, indipendente nei suoi giudizi e nelle sue passioni, nei rapporti amorosi con i giovinetti; dichiara di non volere rinunciare al sesso “perché non farlo significherebbe provare la morte come un dolore frenetico“. Il poeta dichiara di riservare il suo amore soltanto alla madre, di seguire soltanto la poesia, di lottare contro i pregiudizi della mentalità borghese, di essere felice della sua “mostruosità” e di accusare per questo i giudici di essere uomini formali, umili per viltà, ossequienti per timidezza ed è pronto ad istigare tutti i diversi del mondo alla rivoluzione mondiale per affogare i borghesi in un mare di sangue. Il poeta ha una percezione alta di sé, denota una fierezza e possiede una coscienza della propria superiorità che lo rende orgoglioso di sé stesso. Ora, mentre per me tutte queste caratteristiche fanno di Pasolini un poeta veramente libero, determinato contro tutto e contro tutti per cui lo ritengo un simbolo della libertà assoluta, queste stesse caratteristiche sono giudicate da Edoardo Esposito, con una sfumatura leggermente negativa, nel seguente modo: “L’appello alla ragione e ai sentimenti schiacciati dalla logica neocapitalistica e borghese non va immune infatti, in Pasolini, dall’esibizione non solo orgogliosa ma anche compiaciuta della propria diversità, e da un vittimismo insistito che finisce ogni volta per riproporre sé stesso sulla scena del Golgota, esposto in croce” (dall’introduzione al libro Poesia in forma di rosa – Ed. Garzanti – Serie Gli Elefanti – Pag. IX). Giudizio veramente raffinato, squisito e molto diverso dal mio perché Esposito insiste più sul vittimismo di Pasolini mentre per me Pasolini rappresenta un poeta libero, così come ha dimostrato di essere durante tutta la sua vita, e quindi non è stato per niente una vittima dei giudizi e pregiudizi degli altri. Un altro motivo di fascino, per me, è senz’altro la visione apocalittica della rivoluzione che ne dà Pasolini che si trova nella parte finale del poemetto. Se uniamo questa visione apocalittica, con quell’altra pur essa apocalittica, che Pasolini dà nel poemetto Profezia, ne esce una rappresentazione apocalittica tremenda sobillata da tutti i reietti del mondo che sono istigati ad uccidere i capitalisti affogandoli in un mare di sangue e a distruggere il sistema capitalistico attraverso una lotta feroce e sanguinaria. Questa previsione apocalittica mi sembra una rappresentazione dantesca; Dante, in molti gironi, fa bollire molti dannati dentro un fiume bollente ed in mezzo ad acque calde. Pasolini per dare questa rappresentazione apocalittica si trasforma in un profeta “sui generis” poiché sa che la sua profezia è data, non su testimonianze bibliche come quella prevista da San Giovanni, ma sulla sua “diversità” e “mostruosità” sessuale e culturale. Alla fin fine, qualunque sia la fonte dell’apocalisse, la rappresentazione pasoliniana, si avvicina ad immagini infernali così come potrebbe fare il Belzebù. Ora io mi chiedo perché questi due motivi mi affascinano tanto? La risposta è questa: io, Biagio Carrubba, nel mio periodo di anarchismo convinto (1976-1982) forse ho immaginato, desiderato anche io una tale rappresentazione apocalittica del capitalismo mondiale attraverso una rivoluzione fatta da tutti gli sfruttati del mondo, rappresentazione apocalittica che era in comune con moltissimi giovani rivoluzionari di quegli anni. Ora io penso che l’unica rivoluzione che si avvicina a questa rappresentazione apocalittica e nichilistica del capitalismo sia stata la rivoluzione comunista di Mao Tse Tung, il quale con la sua marcia dei contadini (1934-1935) faceva terra bruciata del capitalismo cinese fino ad abbatterlo completamente e a conquistare il potere statale, proclamando, il 1° ottobre 1949, la Repubblica Popolare Cinese, della quale fu il primo Presidente, sostenuto dal Partito Comunista Cinese. Questi due motivi mi affascinano perché mi avvicinano e mi coinvolgono alla descrizione che Pasolini ha fatto, della visione apocalittica della distruzione del mondo capitalistico, in questo poemetto, che in qualche modo mi riporta indietro ai miei anni ’70. Anche io nel mio periodo di anarchismo estremo mi sentivo un rivoluzionario solitario, utopista e velleitario e anche io mi sentivo un profeta inerme, impotente e millenaristico; ovviamente, oggi, non lo sono più perché sono diventato un perfetto integrato al sistema Italia. A questi due motivi di fascino “personali”, aggiungo gli altri motivi di bellezza oggettivi del poemetto: il primo motivo è dato dalla eleganza curiale ed aulica della lexis di Pasolini; il secondo motivo è dato dalla grande quantità di figure retoriche incluse nel poemetto; il terzo motivo è dovuto al fatto che Pasolini esprime sentimenti negativi, ostili come la disperazione, l’odio, la ribellione contro l’ordine borghese anziché l’integrazione e l’amore verso gli altri. Un ultimo motivo di bellezza del poemetto sta proprio nel fatto che esso riesce a suscitare e a risvegliare in me, sentimenti, emozioni, speranze, immagini molto sentite negli anni ’70, adesso sopite da molti anni, ma mai rinnegate.
Il mio giudizio critico sul poemetto
Io, Biagio Carrubba, giudico il poemetto La Realtà un esempio concreto di cultura “underground“, cioè l’espressione di una cultura alternativa che si oppone alle tradizioni, alle convenzioni borghesi, alla mentalità dominante e si fa portavoce e di una cultura segreta, clandestina, contestataria che emerge dal fondo contro quella dei reazionari. Nella cultura di quegli anni ebbe molto successo un saggio di Umberto Eco, “Apocalittici e integrati” del 1964. Il contenuto del saggio riguarda la letteratura, ma quello che a me preme mettere in rilievo, è invece, l’individuazione delle due categorie di persone: gli apocalittici, cioè coloro che vedono il futuro della società apocalittico e distruttivo e gli integrati, che invece si integrano nel tessuto sociale, senza protestare e interagendo con gli altri. Ovviamente il poemetto si situa nella categoria degli apocalittici. Il poemetto “La Realtà” esprime prima di tutto l’anticonformismo di Pasolini, contro i pregiudizi borghesi e il sistema capitalistico. All’inizio degli anni ’60, Pasolini già scriveva di sé stesso: “io/sempre disperatamente anticonformista (lo sanno cani e porci) /ero, in fondo, conformista. Mi difendevo così, povera anima – /ma di un conformismo fatale che era, infine, paura e bisogno di farsi perdonare” (giudizio scritto nel gennaio 1962). (Dai Meridiani, vol. I, pag. 1755). Con le sue opere e con questa ultima in particolare, Pasolini, si situa come un poeta alternativo ai poeti integrati, come Ungaretti, Montale e Quasimodo, i quali esprimevano, con le loro opere, una concezione integrata della realtà parlando dell’amore in senso classico e di argomenti personali, e non di politica alternativa, in sintonia con la cultura della società; invece il poemetto “La Realtà” e l’intero libro si pongono come “underground”, contestatari ed alternativi agli altri poeti e alla cultura borghese. I motivi dell’alternatività del libro derivano dal fatto che è uno dei pochi, se non il solo, di quegli anni che parla di politica in modo chiaro e netto e in particolare il poemetto indica nella rivoluzione dei diversi, dei negri, degli ebrei. La strada maestra da percorrere per la liberazione di tutti i reietti del mondo. Nella parte finale del poemetto, Pasolini ci dà una ricostruzione icastica e cruda della rivoluzione apocalittica del mondo perché si scaglia contro i borghesi ed esprime il sogno di una rivoluzione anarchico-comunista globale. Una bellissima frase di Pasolini è: “se un poeta non fa più paura è meglio che abbandoni il mondo” che appunto testimonia il suo essere contro il sistema borghese in ogni occasione con tutte le sue opere. Il fascino del poemetto sta dunque in questo: suscitare e risvegliare in me e nei lettori riflessioni politiche presenti, passate e future, vive ancora oggi e mai abiurate. Come è evidente il tema trattato da Pasolini sulla realtà dei diversi, dei negri e degli ebrei è oggi diventato drammaticamente d’attualità, quando, da anni, ormai migliaia di siriani e africani o muoiono, ancora oggi, nel mar Mediterraneo, oppure riescono a sbarcare o in Italia o in Spagna o in Grecia, creando così molta sofferenza a sé stessi e a tutti gli Stati europei che si sono divisi, a loro volta, tra apocalittici o integrati. Come è evidente ogni giorno la spaccatura tra paesi integrati e apocalittici crea sensi di colpa sia agli integrati che agli apocalittici perché tutte queste nazioni non riescono a trovare soluzioni adeguate per i migranti che sbarcano in Europa.
Modica, 09/ 07/ 2018 Prof. Biagio Carrubba
Modica, 29 aprile 2023
Modica, 02 maggio 2023
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