La Passione Via Crucis al Colosseo di Mario Luzi

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La Passione
Via Crucis al Colosseo
di Mario Luzi

La “Passione. Via Crucis al Colosseo” è un libretto poetico scritto da Mario Luzi in occasione della Pasqua 1999 ed è stato letto da Sandro Lombardi e Lucilla Morlacchi durante la liturgia pasquale celebrata da Giovanni paolo II al Colosseo il venerdì Santo del 02 aprile 1999. Il libretto è composto da tre parti fondamentali unitarie nel contenuto e nella forma; la prima parte è costituita dall’INTRODUZIONE; la seconda parte è costituita dalle quattordici stazioni che formano le scene maestre della VIA CRUCIS di Gesù Cristo fino alla Resurrezione; la terza parte è costituita dall’epilogo che è formato dal CORO, PREGHIERA che chiude l’opera poetica sulla Via Crucis. Una parte integrante del libretto poetico è la PREMESSA al libro stesso scritta da Mario Luzi che illustra il piacere e lo sgomento per l’importanza dell’incarico ricevuto e per il tema sublime, la Passione di Cristo, da trattare ed esplicitare e renderla quanto più umana possibile ed adeguata all’importanza della Liturgia Pasquale. Nella premessa Luzi illustra anche le modalità del lavoro di stesura del libro. Il poeta scrive che la Passione è “un ininterrotto monologo” (pag.5) di Gesù Cristo durante la Via Crucis nella quale Gesù, il figlio di Dio, confida a Dio, suo Padre, la sua angoscia e i suoi dubbi nati tra la sua natura divina e la sua natura umana e confessa, anche, il suo tormento per la sua triste fine e per il risultato finale, ma ha la soprannaturale certezza della sua natura divina che presto lo ricongiungerà al Padre. Mario Luzi spiega, inoltre, che ha usato un testo misto tra poesia e versificazione teatrale per far sì che il libretto fosse una rappresentazione poetica ma adatta anche alla recitazione teatrale. Infine Luzi spiega che lui ha sentito questo lavoro, molto bello e molto impegnativo, “come una progressione dolorosa di Gesù Cristo al ricongiungimento con il Padre e come un cammino mortale verso la Resurrezione” (pag. 6). “La Passione” è divisa, dunque, in tre parti: l’INTRODUZIONE che contiene un solo testo; la seconda parte, VIA CRUCIS, che descrive il percorso della Via Crucis, dalla prima alla quattordicesima stazione, fino alla deposizione dalla croce e alla miracolosa Resurrezione di Cristo. Ogni stazione ha un proprio titolo ed è formata da due parti: la prima parte riporta un brano dei Vangeli; la seconda parte riporta, invece, un testo che, scritto in forma poetica da Mario Luzi, commenta e interpreta i passi scelti dalle Sacre Scritture.

Le quattordici stazioni che compongono la Via Crucis sono le seguenti.
1. GESÙ NELL’ORTO DEGLI ULIVI;
2. GESÙ CONDOTTO DI FRONTE ALLE AUTORITÀ TERRENE;
3. LA SENTENZA;
4. GESÙ CARICATO DELLA CROCE;
5. GESÙ AIUTATO DAL CIRENEO;
6. GESÙ INCONTRA LE PIE DONNE;
7. GESÙ E IL PENSIERO DELLA MORTE;
8. UNA DONNA PIETOSAMENTE;
9. GESÙ E LA FAMIGLIA UMANA;
10. IL MALE E L’INNOCENZA;
11. IL LAMENTO DEI PIETOSI;
12. GESÙ E LA TERRA DEGLI UOMINI;
13. E’ DI UN UOMO INFATTI L’ESTREMO PENSIERO;
14. RESURRECTIO
La terza parte è costituita dal solo testo “CORO, PREGHIERA” che chiude il libretto poetico. Io, Biagio Carrubba, ho letto con molto piacere questo libretto e per me è stata una vera scoperta perché mentre prima pensavo che la Passione fosse un’opera minore di Mario Luzi, invece, ho scoperto, con mia meraviglia e stupore, che questo libretto costituisce il vero ultimo capolavoro del poeta. Infatti tutte le altre opere poetiche, scritte dopo questo libretto, che sono generalmente ritenute le più importanti e che proseguono lo stile naturale di Luzi conosciuto già dalle opere precedenti, che hanno una loro bellezza naturale, esse, secondo me, non raggiungono la bellezza e l’aura poetica de “La Passione – Via Crucis al Colosseo”. “La Passione” è il vero ultimo capolavoro poetico di Mario Luzi, perché oltre ad essere una esegesi su un evento sacro, è un libretto poetico dal tema omogeneo e compatto e dal linguaggio lineare, chiaro, uniforme e di altissimo livello poetico. Invece le altre opere sono costituite da opere poetiche allegoriche ma prive di coesione interna e disarticolate e non riescono a comporre un discorso lineare ed un messaggio uniforme come invece riesce a fare “La Passione”. Un altro motivo di bellezza de “La Passione” è costituito dal fatto che Mario Luzi riesce a descrivere al lettore, in modo reale, la Via Crucis e ad illuminarlo sui veri pensieri di Gesù Cristo in “interiore homine” e cioè tutti i pensieri che Gesù faceva mentre camminava sotto la Croce, in itinere ed in progress. Infine io, Biagio Carrubba, penso e suppongo che questi pensieri immaginati e creati da Mario Luzi siano quelli che effettivamente Gesù forse avrà potuto pensare durante la sua Via Crucis.

La Passione (2)
Via crucis al Colosseo

La Passione di Cristo di Mario Luzi elaborata e concepita per la Pasqua del 1999 ed espressamente richiesta dalla Chiesa di Roma, fu scritta dall’autore per la Via Crucis al Colosseo presieduta da Papa Giovanni Paolo II. L’opera poetica inizia con una breve introduzione scritta dal Luzi per inquadrare e chiarire il proprio punto di vista su Gesù Cristo, prosegue con una spiegazione e meditazione sulle quattordici stazioni della Via crucis e termina con una preghiera dedicata a Gesù Cristo risorto. Ecco il breve testo della INTRODUZIONE dell’Opera:

Padre, nella tua prescienza conosci tutto prima che sia
e quando è
lo guardi essere con il tuo sguardo imperscrutabile.
Quanto è lontana da te l’angoscia che mi opprime.
L’angoscia che mi leggi in viso
e nel cuore è quella del presentimento.
Tutto ti è comprensibile: anche questo;
eppure dubito talora
che questa sofferenza non ti arrivi
poi subito di questo mi ravvedo
perché so la tua misericordia.
Padre che sta per accadere che per te non sia già stato?
Che cos’è questo sgomento?
C’è nel tempo qualcosa che m’affligge,
il tempo è degli umani, per loro lo hai creato,
a loro hai dato il crearne, di inaugurare epoche, di chiuderle.
Il tempo lo conosci, ma non lo condividi.
Io dal fondo del tempo ti dico: la tristezza
del tempo è forte nell’uomo, invincibile. (pag. 11)

L’incipit dell’introduzione a “La Passione” è l’invocazione del giovane Gesù Cristo a Dio, chiamandolo “Padre”; e prosegue con la descrizione di suo Padre Dio che è onnisciente e sa tutto di tutto. Dopo l’incipit segue il tema dell’introduzione che è la descrizione dell’angoscia che il giovane Gesù sta per provare nell’imminente Passione e Via crucis, ma subito dopo Gesù Cristo si ravvede perché conosce la grande misericordia di Dio Onnipotente. Dopo segue il tema in cui il giovane Gesù distingue tra la dimensione atemporale in cui vive il Padre e la dimensione temporale in cui vivono gli uomini. Lui, Gesù, ora sa che ormai è alla fine della vita terrena ed è in prossimità di raggiungere la casa del Padre. Nella conclusione Gesù afferma che, sulla terra, vive male e soffre per questa sua vita terrena, ma si accorge che anche gli uomini vivono male la loro condizione di tristezza e di abiezione. La PREMESSA è molto importante perché spiega e dispiega il tono emotivo e il punto di vista che Gesù Cristo dà alla sua Passione che lo attende per OBBEDIRE alla volontà di suo padre, Dio Onnipotente. La premessa, inoltre, esprime, al contempo, il punto focale e nodale che Mario Luzi intende dare a Gesù Cristo crocifisso e risorto. La stimmung del poeta, cioè il sentimento prevalente dell’introduzione, è quella dell’angoscia del figlio di Dio il quale vorrebbe evitare a sé stesso la sua sofferenza umana. Questo presentimento di angoscia richiama due brani sacri.

Il primo brano è il salmo n.130 il cui incipit è questo.
“Dal profondo a te grido, o Signore;
Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti
alla voce della mia preghiera. […]”

Il secondo brano è una frase di Gesù riportata nel Vangelo di Matteo (v.26-41).
“[…] Lo spirito è pronto, ma la carne è debole. […]”.
Ma la cosa più sorprendente dell’INTRODUZIONE è che Gesù stesso non sa come andrà a finire la sua Passione e da questa discrepanza, che c’è tra il suo sapere umano e l’Onniscienza di Suo Padre, nasce la Passione e la sofferenza di Gesù Cristo, così come quando dice (in Marco 13-32).
“Quanto poi a quel giorno o a quell’ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre.”
Credo che, per comprendere il punto di vista di Mario Luzi, sia necessario esplicitare ed estrinsecare il Cristianesimo come lo sentiva il poeta che lo ha manifestato ed espresso in varie occasioni della sua vita e in vari momenti della sua produzione letteraria e poetica.
Io, Biagio Carrubba, riporto alcuni lacerti di Mario Luzi tratti da diverse opere scritte in ordine cronologico, in cui Mario Luzi esprime il suo punto di vista critico e teologico, dove il poeta espone, anche, il suo sentimento religioso, così sentito e appassionato su Cristo, sul Cristianesimo e sulla Chiesa Cattolica di Roma.
Il I lacerto è tratto da “Colloquio – Un dialogo con Mario Specchio” Mario Luzi, p.182, Garzanti, 1999.
“[…] La Parola è appunto l’attesa di una verità che si incarni e si tolga finitudine alla nostra finitudine, tolga limiti alla nostra finitudine. È l’incarnazione di Cristo, ed è poi la Pentecoste. Fino a che un’incarnazione di quel genere non è scesa nel continuum dell’uomo, la nostra finitudine era cieca […]”.
Il II lacerto è tratto da “Colloquio – Un dialogo con Mario Specchio” Mario Luzi, p.288, Garzanti, 1999.
“La centralità della figura di Cristo come colui che assume la morte, che riscatta la morte con la morte, dentro la morte, ritorna anche più avanti nel “Coro delle cose dipinte”, che accompagnano e salutano Pontormo ormai addormentato”.
Il III lacerto è tratto da “Colloquio – Un dialogo con Mario Specchio” Mario Luzi, pp. 295-296, Garzanti, 1999.
“[…] Si, veramente Cristo per me rappresenta proprio questo. È colui che produce, non quello che difende o impugna le cose per difenderle no, è quello che produce, che propugna, che porta avanti, insomma. Quindi cristico in questo senso. […]”.

Il IV lacerto è tratto da “quasi privato” Clorinda Ruzzi, p.3, Lietocollelibri, 2001
Ruzzi: “Come vive oggi il suo rapporto con Dio, professore?” Luzi: “Lo vivo vivendo”.
Quello che c’è intorno a noi, alla nostra vita è già un dono; è già divino. Non trovo alterità. Sembra eretico, ma non è; noi facciamo parte di questo prodigio che è la vita universale, dal cui interno si è staccato il messaggio per gli uomini, che sono i Vangeli. E il centro è Cristo”.
Il V lacerto è tratto da “quasi privato” Clorinda Ruzzi, p. 23, Lietocollelibri, 2001.
“ […] L’umanità è una specie forse prediletta, perché ha avuto il beneficio dell’incarnazione. Ma tante specie, tanti modi di vita sono al mondo… noi siamo uno: ma siamo quello che contribuisce alla perfettibilità dell’essere. In questo ha ragione Theillard de Chardin che non ha messo in contrasto la storia umana con quella divina. Però non sappiamo il disegno qual è, né il disegno che si va facendo…”. “È vero, ma noi assumendo il bene della vita dove c’è, in fondo siamo nel vivente. Che cosa vogliamo di più? Noi non possiamo esigere nulla di più che essere nel vivente, sapere e sentire di esserci. […]”.
Il VI lacerto tratto da “quasi privato” Clorinda Ruzzi, p. 30, Lietocollelibri, 2001
“[…] Cristo ha la certezza soprannaturale, ma le sue angosce sono umane; e questa è la condizione nostra; insomma, se pensiamo di aver chiara la grammatica universale, le conseguenze logico-sintattiche, siamo degli illusi. C’è la dismisura fra quello che possiamo vedere e quello che possiamo comprendere. Incolmabile. A noi non resta che registrare, sotto specie di infinito, questo nostro desiderio di infinito. […].
Il VII lacerto è tratto da “Le nuove paure”, Mario Luzi, pp.82-83, Passigli Editori, 2003.
“[…] La chiesa, per me, ha avuto il grande merito di trasmetterci i Vangeli, per il resto la considero un’organizzazione umana i cui errori e i cui antichi pregiudizi sono parte integrante di un magistero che, sicuramente, viene dalla Fonte, ma proviene anche dal tempo. CASSIGOLI- Il Papa sembra essere l’unica autentica voce di pace, spesso inascoltata e che si sta spegnendo nella sofferenza. Una figura che lei ha definito “cristica”, secondo quella visione del ‘Cristo dalla parte dell’uomo’ che le è molto cara. Ma perché il Cristianesimo dev’essere martirio e sofferenza e non gioia e speranza? […]”.
L’ VIII lacerto è tratto da “Vita fedele alla Vita”, Mario Luzi, p.103, Passigli Editore, 2004.
“[…] Io ho sempre messo al centro il Cristo e ripenso al monito di mia madre sull’eucaristia non come rito, ma come vera presenza. Questo ho ritrovato in don Flori, lui mi ha fatto sentire veramente la messa e l’eucaristia, quando, sacerdote, superava la sua e la nostra umanità, investendosi del sacrificio della messa, così avvertivi che nelle sue funzioni in lui il cristianesimo avveniva, in modo inesauribile. L’ho conosciuto nel 1978 e ci siamo frequentati per diciotto anni, tutte le estati, quando ero suo ospite nell’ex seminario di Pienza”.
Come è evidente dai lacerti su esposti, l’immagine di Gesù Cristo che esce dai giudizi di Luzi, è un’immagine di un giovane forte, convincente, positivo, propositivo, sicuro di sé e di suo padre (cioè Dio), in una parola Gesù Cristo coincide con l’immagine che ne esce dai Vangeli, cioè come guida degli uomini, il Messia, il Redentore dei peccati degli uomini e figlio di Dio che, nel giorno del Giudizio Universale, porterà la vita eterna all’umanità. Invece, inaspettatamente, l’immagine di Gesù Cristo che ne dà Luzi in questa Passione è l’immagine di un giovane debole, tentennante, perplesso, esitante, pauroso della morte e della vita che chiede continuamente aiuto a suo padre, Dio Onnipotente, che viene presentato “con uno sguardo imperscrutabile” (pag. 11) e quindi indecifrabile. Nonostante questa immagine poco rassicurante e positiva di Gesù Cristo, il percorso di Mario Luzi durante tutta la Passione è molto lucido, teso, intelligente e sostenuto. Questo nuovo punto di vista del poeta dà alla Passione un taglio razionale sia sul piano filosofico che teologico. Lo stile risulta limpido e personale cosicché alla fine ne esce un Gesù Cristo logico, intransigente e spietato nei confronti di sé stesso, di suo Padre e degli uomini. Nonostante l’immagine di Gesù Cristo sia molto differente da quella descritta nei Vangeli io, Biagio Carrubba, apprezzo molto sia lo stile luziano e sia la logica che Luzi esplicita ed estrinseca nella sua Passione.

La Passione (3)

I primi tre testi de “La Passione” di Mario Luzi intitolati, I “Gesù nell’orto degli ulivi”; II “Gesù condotto di fronte alle autorità terrene”; III “La sentenza”, corrispondono, grosso modo, alla prima stazione della Via Crucis tradizionale, che si rinnova ogni anno per Pasqua e che rappresenta le quattordici stazioni della condanna a morte di Cristo da parte del governatore romano Ponzio Pilato. I tre testi di Mario Luzi cominciano dall’Ultima Cena di Gesù Cristo (testo I), segue poi l’apparizione di Gesù dinnanzi a Ponzio Pilato (testo II), ed infine Gesù Cristo ascolta e subisce la condanna a morte da parte del governatore romano. Nel Primo testo (I) Mario Luzi mette in rilievo la paura, l’incertezza e l’esitazione di Gesù Cristo di fronte alla passione e la morte che lo attende. Mentre nei Vangeli canonici, Cristo si mostra sicuro di sé e del suo sacrificio ed è conscio della sua rivoluzione liturgica e religiosa rispetto alla tradizione ebraica, invece, nel testo del Luzi, Gesù è talmente impaurito e debole che dinnanzi alla previsione della morte esclama: “farnetico” (pag. 15) e spera che tutto ciò che è stato scritto nelle Scritture “sia revocabile” (pag. 15), ma accetta tutto questo solo per obbedire ed eseguire la volontà del Padre Dio Onnipotente. Poi, guarda con titubanza e sconforto la folla che arriva nell’orto degli ulivi e mostra molta paura, provocata dalla folla e dalla presenza di Giuda che con il suo bacio pubblico lo tradisce consegnandolo ai sommi sacerdoti. Infatti, il bacio costituisce l’inizio della sua Passione e del processo che lo porterà ad essere condannato a morte, prima dai sommi sacerdoti ebrei e poi da Ponzio Pilato. Ecco, invece, un passo del Vangelo dove Gesù si mostra non curante della sua imminente condanna a morte.
“[…] Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto. […]” Luca 49-50.
Nel secondo testo (II) Mario Luzi ancora una volta mette in evidenza le incertezze e le titubanze di Gesù Cristo di fronte ai sommi sacerdoti e alla folla fuori dal Sinedrio, che lo attendono per percuoterlo e schernirlo. Le riflessioni di Cristo sulla folla ed i suoi nemici sono improntate sulla sua impotenza di fronte al potere degli uomini e sulla sua debolezza di fronte al potere del male, che ha sulla terra “le sue sedi e i suoi nascondigli […]”. (Pag. 19). Lui, Gesù Cristo ha avuto, come armi di difesa soltanto l’amore, ma constata che la predicazione dell’amore non basta a far cambiare la natura brutale, maligna e feroce degli uomini. Inoltre, Gesù Cristo si rammarica della giustizia umana che è imparziale, come gli uomini, nell’emettere giudizi. Luzi afferma che “la presunzione di saziarla … viene dal demonio” (pag. 19). Infatti, in nome della giustizia divina e in nome di Cristo si commettono “empietà, soprusi, disegni miserabili, perfidie, ipocrisie” (pag. 19). Ecco un passo del Vangelo dove Gesù Cristo mostra la differenza tra la Giustizia divina e quella umana.
“[…] Gli rispose Gesù: “Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande.” Giovanni 19-11.
Nel terzo testo (III) Mario Luzi presenta Gesù Cristo davanti a Ponzio Pilato e ai sommi sacerdoti.
Cristo guarda con costernazione e sgomento l’atteggiamento dei giudici e della turba che lo schernisce e lo guarda con disprezzo. Gesù Cristo si fa tante domande sulla incomprensibilità dei giudici e non capisce il loro atteggiamento accusatorio. Addirittura, si chiede a cosa è servita la sua incarnazione, cioè il fatto di aver preso le sembianze umane, e si chiede se questa incarnazione è stata utile o inutile. Non riesce a capire perché il Padre ha voluto che lui si sacrificasse per salvare l’umanità e non capisce nemmeno perché “il prezzo del perdono e del ricominciamento” (pag. 23) devono essere la sua passione, la sua morte e la sua resurrezione. Per tutti questi pensieri e per questi quesiti che Cristo si pone, gli sembra di delirare tanto che conclude, rivolgendosi al Padre “Deliro, non badare, aiutami, ti supplico”. (pag. 23). Gesù Cristo, constatando la sua incomprensione di fronte alla volontà del Padre e all’atteggiamento beffardo della turba e dei giudici e alla famosa indifferenza di Pilato che lo vuole salvare dalla morte, capisce che le sue domande sono inopportune e inefficaci rispetto alla volontà imperscrutabile di Dio.
Il Luzi continua a descrivere Gesù Cristo come un giovane smarrito e vittima degli eventi umani e divini e succube della tracotanza e dell’arroganza umana.
Invece nei vangeli canonici Gesù, durante tutto il processo, si mostra fiero della sua predicazione e della sua rivoluzione religiosa tanto che di fronte alle accuse di Pilato ribadisce la sua fierezza ed il suo orgoglio di essere figlio di Dio.
Infatti all’accusa di Pilato, Gesù risponde: “Allora Pilato gli disse: Dunque tu sei re?
Rispose Gesù: Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità.” (Giovanni 18-37).
Il linguaggio dei tre testi e dell’intera opera “La Passione” di Mario Luzi è dall’inizio fino alla fine, lucido, logico, razionale, alto, lineare e presenta moltissime figure retoriche sparse lungo tutti i testi dell’intera opera, non intaccano la discorsività diretta e la prosa immediata dei monologhi interiori di Gesù rivolti al Padre. Difatti questo linguaggio è quasi prosastico più che essere un linguaggio poetico; è un linguaggio più per la lettura espressiva e teatrale perché l’opera poetica è rivolta, in primis, ad una comprensione mediata e comprensibile da parte di un pubblico vario, vasto e numeroso che lo ascolta durante il percorso dell’intera Via Crucis al Colosseo di Roma.
Quindi, il linguaggio de La Passione è, sia prosastico che poetico, poiché le parecchie ed incisive figure retoriche presenti nell’opera danno a La Passione un fascino ed una dimensione poetica, ma è anche adatta ad un pubblico elitario e solitario, poco numeroso che lo legge per un suo rinnovamento culturale e religioso. Il lettore, preso così dalla bellezza dell’opera, scopre un linguaggio solenne e serio come si addice alla tragedia e passione di Cristo, descritto nei suoi momenti di maggiore sofferenza umana e divina.
Io, Biagio Carrubba, condivido e apprezzo molto il giudizio di Frate Piero Sorci che così, afferma e scrive sul linguaggio poetico e teatrale della Passione.
“[…] In ogni caso sono da preferire testi in cui risuoni, correttamente applicata, la parola biblica e che siano scritti in un linguaggio nobile e semplice. Uno svolgimento sapiente della Via Crucis in cui parola, silenzio, canto, incedere processionale e sostare riflessivo si alternano in modo equilibrato contribuisce al conseguimento dei frutti spirituali del pio esercizio. […]”.
Tratto da “Cristo Crocifisso” Via Vivente-Via Crucis con la lettera agli Ebrei, p.11

La Passione (4)

I testi 5,6,7,8 de “La Passione” di Mario Luzi corrispondono pressappoco alle stazioni 2,3,4,5 e 8 della Via Crucis tradizionale. Il testo n.5 de “La passione” corrisponde perfettamente alla seconda stazione, cioè “Gesù è caricato della croce”. Invece, il testo 6 corrisponde perfettamente alla quinta stazione “Gesù sorretto dal Cireneo”, i testi 7 e 8 non trovano corrispondenza ad alcuna stazione ma bensì formano un dittico unitario sul tema della morte. L’unico contatto si trova tra il titolo del testo 7 (Luzi) e l’ottava stazione, “Gesù incontra le Pie donne”. Il testo 5 de “La Passione” é intitolato “Gesù caricato della Croce”. Il tema di questo testo è la natura divina di Gesù, alla quale gli ebrei, a parte i discepoli, non hanno mai creduto. Per Gesù, invece, affermare di essere il figlio di Dio, è stato il motivo determinante della sua condanna a morte da parte di Pilato dietro la pressione fortissima dei sommi sacerdoti ebraici che non gli perdonavano questa affermazione.
Il tema del testo rappresenta Gesù ancora una volta debole e schiacciato dagli eventi esterni e dalla condanna a morte, tanto che chiede a suo padre. “Tutto è scritto, lo so ma nulla è revocabile?” (pag. 28). Dio Padre Onnipotente ha voluto la passione e la morte di Gesù Cristo. Gesù all’inizio della Via Crucis sconfortato dice. “[…] Oh Padre, non vedo venire a me nessuno dei tuoi angeli.” (pag. 28). Con questo sconforto nell’animo e nel cuore Gesù comincia a camminare sotto la croce. Gesù non può rinnegare di essere il figlio di Dio per allontanare la morte perché misconoscendo la natura divina avrebbe rinnegato tutto ciò che aveva fatto prima, come dimostra il famosissimo episodio della trasfigurazione sul Monte Tabor.
“Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un altro monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. […]” Matteo 17-1,2.
Il testo 6 intitolato “Gesù aiutato dal Cireneo” è incentrato sulla paura di Gesù Cristo mentre percorre la Via Crucis sotto la pesante croce che ha sulle spalle.
Il tema del testo è dunque dato da una serie di domande che Gesù si pone e rivolge a suo Padre Dio:
“Ancora chiedo: è volontà tua oppure a questo scempio/ non hai posto rimedio, rimedio non ce n’era? […]” (pag. 31). La risposta, ancora una volta, è che non è possibile evitare la sofferenza e così Gesù riprende la Via Crucis con un peso ancora maggiore, tanto che subito dopo cade altre due volte. Famoso è l’episodio dell’uomo della città di Cirene che per un breve tratto sorregge la croce di Gesù. “Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a prender su la croce di lui. […]” Matteo 27-32. I testi 7 e 8, come detto precedentemente, costituiscono un dittico sul tema della morte. Il testo 7 intitolato “Gesù incontra le Pie donne” inizia con il bellissimo verso. “Conoscerò la morte. La conoscerò umanamente. […]”. (pag. 35). In questo bellissimo incipit del testo, Gesù durante la Via Crucis si prefigura già come sarà la sua discesa nello Sheòl (regno della morte/inferi) come il salvatore e il redentore degli uomini. Però Gesù è consapevole di essere il figlio di Dio e come tale lui starà lì solo tre giorni, “[…] poi la vita mi richiamerà a sé e avrà la vittoria […]” (pag. 35). Poi salirà al cielo e siederà alla destra del Padre così come era stato previsto dalle Sacre Scritture.
Secondo Luzi, Gesù non solo ha paura della morte, ma è anche angosciato dalla Via crucis perché “[…] è dolorosa e aspra nelle carni […]” (pag. 35).
In questo soliloquio in itinere tra Gesù e Dio onnipotente, Gesù ha di tanto in tanto un’illuminazione divina positiva verso il Padre che ha scelto la Terra “[…] per loro in mezzo all’universo […]”. (pag. 36). Nel frattempo, Gesù si rivolge alle Pie donne che lo seguono piangendo e dice a loro.
“Non è su di me che dovete piangere ma, […] sui vostri figli e su voi stesse […] perché prevedo che i miei fratelli rifaranno questa Via Crucis nei secoli, nei millenni”. (pag. 36). Questo presagio tragico e funesto chiude il testo 7 dando l’avvio al testo 8 che continua il tema della morte.
Il testo 8 intitolato “Gesù e il pensiero della morte” inizia con questo bellissimo verso: “Dall’orizzonte umano in cui mi trovo […]”. (pag. 39).
Gesù Cristo, ragionando con sé stesso, afferma che non ci sono due dimensioni del tempo: una eternità eterna e luminosa e l’altra terrena e buia, ma ne esiste soltanto una: quella luminosa di Dio. Accanto a questa vi è una regione marginale dove sostano i morti in attesa del giudizio finale. Però Gesù sa che gli uomini continuano a non credere all’esistenza di una sola eternità, ma bensì credono a due tempi perché “pensano ai demoni, pensano alla potenza delle tenebre”. (pag. 39).
Nel finale del testo 8 Gesù confessa al Padre tutta la sua paura verso la morte dicendogli: “[…] ho paura e dubito che la morte sia vincibile[…]”. (pag. 39). Il testo però si conclude affermando ancora una volta che lui Gesù è venuto proprio per questo: per salvare gli uomini e “vincere la vittoria della morte”. (pag. 39).
Celebre è il passo del Vangelo in cui Gesù riafferma la vittoria della vita e di Dio sulla morte dicendo. “In verità, in verità vi dico: chi crede in me ha la vita eterna”. Giovanni 6 – 47.
Anche in questi due testi che chiudono la prima parte della Via Crucis, il linguaggio poetico de “La Passione” si mantiene alto e solenne, chiaro e lucido, dimostrando interamente tutta la sofferenza umana e divina di Cristo. Emerge ancora una volta la figura di Cristo come debole e pauroso rimanendo però fiducioso nei confronti del Padre e continuando a sperare nella sua Resurrezione dopo la morte.

La Passione (5)

I testi 9, 10, 11 e 12 de “La Passione” di Mario Luzi costituiscono la parte centrale di tutta l’opera e sono testi molto importanti perché proprio in queste parti, secondo me, Biagio Carrubba, viene fuori la tesi sconvolgente e sconcertante di Luzi, fulcro di tutta l’opera. Ancora una volta Luzi si allontana dal percorso tradizionale della Via Crucis per dispiegare ed illuminare la sua tesi, e cioè che Gesù, non solo ha sofferto per la malvagità degli uomini, ma risponde a loro che gli hanno procurato e fatto provare anche un sentimento di odio e di rancore verso di loro. Nel testo 9 Gesù durante la Via Crucis continua il suo dialogo con Dio. Luzi comincia a far emergere la tesi di tutta “La Passione” e cioè la scoperta della natura del peccato che arreca dolore agli uomini. Infatti, secondo Luzi, Gesù, il Messia, vive e nutre verso gli uomini un sentimento di amore e odio; nello stesso tempo egli scopre e si rende conto della natura ambivalente degli uomini: buona e cattiva.
Da un lato, Gesù descrive con crudezza ed imparzialità la tendenza al male degli uomini ma, dall’altro lato, sa di esser venuto sulla Terra per salvarli così come il Padre ha voluto. Gesù ribadisce questa volontà di Dio Onnipotente in diversi passi, ne riporto uno. “[…] Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. […]”. Giovanni, 12-47.
Secondo Luzi il grande peccato degli uomini è quello “di essere uomini, genia greve di Adamo”, (pag. 43) cioè il primo uomo che insieme ad Eva, invogliata dal serpente, si ribella a Dio e commettono insieme il peccato originale della storia dell’umanità. Ovviamente Luzi vuole andare aldilà del mito della Bibbia e va nel cuore degli uomini che non conoscono la natura del proprio peccato e non sanno cosa fare per uscire dal peccato originale. In questo senso l’ignoranza del peccato in parte giustifica il comportamento ambiguo ed ambivalente degli uomini che, da un lato, vorrebbero salvarsi da soli ma, dall’altro lato, non ci riescono pur tentando ogni possibilità di salvezza, rimanendo così nello stato di tenebre e di peccato come afferma Giovanni che spiega la causa dello stato tenebroso dell’umanità. “[…] E il giudizio é questo: la luce è venuta al mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie” Giovanni, 3-19. Luzi prosegue facendo riferimento al grande sacrificio di Gesù che sacrifica la sua vita al posto degli uomini e asserisce: “Io lo laverò questo peccato, così è scritto” (pag. 43) perché la natura del peccato degli uomini è varia ed inesauribile e sono in pochi a salvarsi dalle loro colpe. Infatti per Gesù alcuni uomini: “sono empi e commettono empietà” e altri invece “non si macchiano di colpe di violenza”; infine un’altra parte nasconde le loro colpe e vive come ipocriti e questi sono: “i più nefasti per il mondo”. (pag. 43).
Ma Gesù contro gli ipocriti scaglia il suo anatema. “[…] Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all’esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità. […]” Matteo 23-27,28. Il testo 9 termina con l’affermazione di Gesù Cristo che tutti gli uomini “hanno un loro malessere nel cuore” (pag. 43) e ciò richiama un passo molto conosciuto del Vangelo di Matteo. “[…] Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena […].” Matteo 6-34. Il testo 10 mostra ancora più chiaramente la tesi de “La Passione” che vede Gesù nutrire amore per i suoi discepoli e per gli uomini, ma allo stesso tempo avverte anche l’odio e l’ostilità contro di lui; per questo motivo non li capisce e ne ha soggezione tanto che si sente solo dinnanzi a loro e si percepisce debole nell’affrontare la Passione. In questo testo infatti Gesù dice che la Via Crucis “È un cammino solitario, (e) nessuna pietosa lamentatrice lo compiange.”. (pag. 47). Ora mentre in questo testo prevale l’amore di Gesù per i discepoli, nel testo 11 emerge l’ostilità degli uomini verso di lui. Nel testo 10 lui ama “la famiglia umana finché era amabile e ben oltre” (pag. 47) e rivolgendosi ai suoi discepoli dice: “io non ero solo il maestro o il medico prodigioso/ma il fratello delle loro miserie e delle loro consolazioni”.
Questo testo termina con l’affermazione di Gesù che dice: “ma volevano in fondo proprio questo: che io li sovrastassi come maestro nella sapienza e nella potenza sanatrice”. (pag. 47 – 48). Questo verso fa riferimento a dei versetti di Giovanni. “[…] Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri. […].” Giovanni 13-34,35.
Il testo 11 dell’opera esprime in modo chiaro l’odio e l’ostilità degli uomini verso Gesù perché lo credono un impostore ed un blasfematore. Gesù avverte questa ostilità nei suoi riguardi e vede che essa si trasforma “in odio e in avversione”. (pag. 51) Gesù guarda con sgomento la derisione della folla e afferma: “la canea mi oltraggia, mi insulta e mi deride”. (Pag. 51). Di fronte a tanta derisione ed odio della turba Gesù cade quasi in depressione e scoraggiamento e dice a suo Padre: “Padre, il Figlio dell’uomo sente venirgli meno l’amore per gli uomini. Sarebbe la sconfitta più penosa, fa’ che questo non accada.”. (pag. 51). Questo finale del testo richiama molti passi dei Vangeli che esprimono l’odio ed il rancore degli uomini contro Gesù, ne riporto uno. “[…] I Giudei portarono di nuovo delle pietre per lapidarlo. Gesù rispose loro: “Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio; per quale di esse mi volete lapidare?”.
Gli risposero i Giudei: “Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio.” […]”. Giovanni 10-31/33.
Il testo 12 inizia con un riferimento netto e chiaro alla nona stazione della Via Crucis tradizionale e cioè il fatto che Gesù cade per la terza volta. Subito dopo Gesù continua la descrizione dell’odio e della derisione del popolo degli Ebrei nei suoi confronti e ne carpisce tutta la malignità e la malvagità affermando: “Il supplizio della misconoscenza e del tradimento alla loro perfidia é un piacere più sottile, lo delibano i sommi sacerdoti”. (pag. 55). Contemporaneamente Gesù guarda con amore sua madre e tutti coloro “che la accompagnano e molti altri addolorati e increduli”. (pag. 55). In mezzo a tanta confusione umana e dolore divino, Gesù fa riflessioni metafisiche ed escatologiche che riguardano il suo futuro e quello dell’umanità: “ma io sarò morto e risorto” (pag. 55) sia per quelli che avranno capito e si salveranno, sia per quelli che rimarranno chiusi nella loro ottusità. Il testo termina con la speranza di Gesù che “tutti potranno essere salvi, così vuole l’Alleanza” (pag. 55) ma intanto la folla lo spinge con forza e ferocia verso l’altura. Gesù, anche qui, appare come frastornato e disorientato ma è ben sicuro della sua natura divina e del suo insegnamento che ha seminato tra la gente e che si riassume nelle famose dieci beatitudini.
E allora solo coloro che crederanno in lui e nelle beatitudini saranno salvi come affermano i versetti di Matteo. “[…] beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi. […]” Matteo 5-11,12.
Il linguaggio poetico di questi quattro testi de “La Passione” continua la linearità e la lucidità di tutta l’opera, mostrandosi serrato e pieno di interrogazioni retoriche che danno all’opera poetica una stimmung, ancora una volta, malinconica e razionale. In definitiva il linguaggio poetico suscita un tono emotivo alto e forte e crea una riflessione teologica e morale costante e sferzante che non lascia respiro sia a chi vede, ascolta e partecipa alla Passione della Via Crucis, in prima persona al Colosseo e sia a chi la legge e la medita nel silenzio della propria casa.

La Passione (6)

I testi 13, 14 15 e 16 de “La Passione” di Mario Luzi corrispondono grosso modo alle stazioni undicesima, dodicesima, tredicesima e quattordicesima della Via Crucis tradizionale. Questi testi chiudono l’opera teatrale e poetica di Luzi così come le ultime quattro stazioni della Via Crucis terminano la Pasqua tradizionale cristiana, che porta alla Resurrezione di Gesù Cristo.
Il testo 13 coincide quasi perfettamente con l’undicesima stazione della Via Crucis tradizionale, dove Gesù viene inchiodato sulla croce. In questo testo Luzi fa vivere e rivivere a Gesù cristo moltissimi sentimenti interiori, dopo il rancore e l’odio già percepiti e sentiti durante tutto il percorso contro la turba che lo deride, lo flagella e lo strattona sulla strada che lo porta sulla collina del calvario dove sarà crocifisso. Durante il percorso Gesù, ormai rassegnato a morire, allontana il suo sguardo dalla folla aizzata contro di lui e medita sulla sorte e la natura dell’umanità che vive lontano da Dio e che non vuole riconoscere la natura divina di Gesù Cristo. Ma tutta l’attenzione di Gesù Cristo è rivolta a tutte le sue sensazioni ed emozioni che prova in interiore homine che Lui descrive ordinatamente e dettagliatamente. Gesù Cristo non mostra sentimenti di cinismo e scetticismo ma, vive e rivive i sentimenti più comuni dell’uomo medio che, a sua volta, vive nella sua vita una forte passione e un grave dramma o una brutta agonia che lo conduce alla morte. Questa coincidenza di sentimenti tra Gesù Cristo e l’uomo comune è una delle caratteristiche più belle ed affascinanti di tutta l’opera poetica e teatrale de “La Passione” di Luzi. Il testo 13 inizia con il sentimento più comune dell’uomo medio cioè l’affettività o l’affezione verso gli amici più cari e con l’amore per la vita e la bella Terra sulla quale vive l’umanità da sempre. Rivolgendosi al padre Gesù afferma: “Padre mio, mi sono affezionato alla terra quanto non avrei creduto.” (pag. 59). Gesù Cristo si è anche affezionato alla gente povera, amabile ed esecrabile, (pag. 59) alle case e perfino ai deserti della sua terra natale. Gesù, in procinto di morire, prova dolore e tristezza perché deve abbandonare i suoi discepoli e i bambini che ha conosciuto durante la sua breve ma movimentata e rivoluzionaria vita terrena.
Gesù constata che il “il cuore umano è pieno di contraddizioni” e ha scoperto che “la vita sulla Terra è dolorosa, ma è anche gioiosa” (pag. 59) e si rende conto che ora gli dà angoscia lasciarla. Ma durante la sua breve vita Gesù non ha mai perso il contatto con suo Padre ed ora non vede l’ora di tornare da Lui perché la Via Crucis lo fa tremare di paura e lo angoscia più del dovuto e sa che la morte gli trasfigurerà il bel viso. Gesù ha fretta di risalire in cielo e sa che dopo la morte sarà ricongiunto al Padre. Gesù sa anche che le sue ultime riflessioni sulla Terra sono troppo umane e quasi hanno dimenticato la natura divina della sua missione. E ancora una volta Gesù rivolgendosi al Padre gli dice di non badare alle sue parole che possono sembrare “quasi deliranti”, (pag. 60) ma deve considerare questo suo parlare “come un desiderio d’amore”. (pag. 60). Gesù è venuto sulla Terra per fare la volontà del Padre, e non è venuto di sua iniziativa ma solo per attuare il piano segreto e di imperscrutabile di Dio per la salvezza dell’umanità.
In mezzo allo sconforto e alla tristezza del momento Gesù guarda dentro sé stesso e avverte tutta la sua umana debolezza e il suo “stato umano d’abiezione” (pag. 60) che lo fanno sentire l’ultimo degli uomini e il più umile fra gli umili. Ma la realtà non è così; egli è il figlio unigenito di Dio che dona la sua vita per la salvezza dell’umanità e paga di persona con il suo sangue: “Il debito dell’iniquità alla iniquità”. (pag. 60).
Il testo 13 termina con lo sgomento di Gesù che guarda con afflizione il lavoro dei soldati romani che lo “afferrano, lo alzano alla croce piantata sulla collina”. (pag. 60). Ma Gesù fino all’ultimo non capisce il motivo della sua passione e della sua morte e con questo verso finale finisce il suo triste lamento. “[…] Ma tu sai questo mistero. Tu solo.” (pag. 60).
I passi evangelici che fanno riferimento a questo testo sono diversi, ne scelgo e ne riporto solo alcuni. “[…] Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. […]” Giovanni 5-30. “[…] Io non ricevo gloria dagli uomini. Ma io vi conosco e so che non avete in voi l’amore di Dio. Io sono venuto nel nome del padre mio e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste.” Giovanni 5-41, 42, 43. “[…] sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno. […]” Giovanni 6-38,39. “[…] In verità, in verità vi dico: “se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte. […]”. Giovanni 8-51. “[…] Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offre da me stesso, perché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio […]”. Giovanni 10-17,18. Il testo 14 corrisponde pressappoco alla dodicesima stazione e cioè alla morte di Gesù in croce. Ora nel testo di Luzi la prima cosa che si nota è che a parlare non è più Gesù Cristo ma il discepolo più caro e più amato, cioè l’apostolo Giovanni che guarda e osserva con tristezza e malinconia Gesù morente e crocifisso sulla croce. Giovanni ascolta e capta le ultime stentate e sussurrate frasi di Gesù morente sulla croce. Giovanni dapprima ascolta l’ultimo dialogo di Gesù con i due ladroni poi ascolta il consiglio che Gesù gli dà. Questi due ladroni sono anche il simbolo della doppia natura umana, quella buona e quella egoistica. Il primo ladrone, più egoista dell’altro, si rivolge a Dio e gli dice: “Sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi”. (pag. 63). L’altro ladrone, più umano e comprensivo, lo redarguisce dicendogli: “Neanche tu hai timore di Dio” (pag. 63) e poi rivolgendosi a Cristo gli dice: “Gesù ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. (pag. 63). E Gesù, ripresi i sensi, lo rassicura: “Stasera sarai con me in Paradiso”. (pag. 63). Questo dialogo lo riferisce Luca nel suo Vangelo; il che significa che Luca lo ha riferito a Giovanni.
Invece Giovanni riporta altre parole che Gesù rivolge a Giovanni e lo invita a prendersi nella sua casa, Maria la madre di Gesù Cristo. Dopodiché Gesù chiede dell’acqua perché ha sete ma gli porgono una spugna imbevuta di aceto e Gesù dice “tutto è compiuto. E, chinato il capo, spirò”. (pag. 62). I passi evangelici che fanno riferimento alle ultime parole di Cristo in croce sono. “[…]Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno. […]” Luca 23-33, 34. “[…] Gesù, gridando, a gran voce, disse: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito. Detto questo spirò”” Luca 23-46.
Il testo 15 corrisponde perfettamente alla tredicesima e quattordicesima stazione della Via Crucis tradizionale cioè “Gesù deposto dalla croce” (13) e “Gesù deposto nel sepolcro” (14), e alla quindicesima stazione e cioè alla probabile e invisibile Resurrezione di Gesù Cristo.
Il testo 15 descrive la deposizione di Gesù Cristo dalla croce e viene sepolto nella tomba del “discepolo nascosto, il ricco Giuseppe di Arimatea”. (pag. 69). Gesù fu avvolto in un lenzuolo bianco e deposto dentro la tomba chiusa con “un masso fatto rotolare subito a chiudere l’ingresso”. (pag. 69). Dopo tre giorni di morte le donne andarono a portare gli aromi a Gesù ma videro con meraviglia e sbalordimento che l’ingresso della tomba era aperto e non trovarono più Gesù coricato dentro la tomba. Ma videro “due angeli in vesti sfolgoranti che esclamano: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” (pag. 71) e le donne sbigottite corsero “ad annunciare l’evento miracoloso agli apostoli stupiti ed increduli”. (pag. 71). I primi discepoli che arrivarono alla tomba vuota furono Pietro e Giovanni, e quest’ultimo raccontò che molti non credettero, mentre lui credette alla Resurrezione di Gesù. Chi non credette erano stati coloro che “non avevano ancora compreso la scrittura che cioè egli doveva risorgere dai morti. I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa. […]” Giovanni 20-9, 10.
Tra coloro che non credettero alla Resurrezione vi fu anche il discepolo Tommaso, il quale esclamò: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo. […]” Giovanni 20-25.
Quando Gesù ricomparve sulla terra fra i suoi discepoli disse a Tommaso: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” Giovanni 20-29.

La terza e ultima parte del poemetto CORO, PREGHIERA è composta da un solo testo.

Il testo 16 corrisponde quasi completamente alla possibile quindicesima stazione della Via Crucis e cioè alla Resurrezione di Gesù vera e propria della Pasqua cristiana. Questo testo inizia con due bei versi: “Dal sepolcro la vita è deflagrata. La morte ha perduto il duro agone” (pag. 75). Infatti, quando Cristo, il Redentore, risorge dal sepolcro, la vita rinasce ed esplode di nuovo in Gesù Cristo così come era stato prescritto nelle Sacre Scritture e voluto da Dio. La morte ha perduto la sua battaglia contro Gesù e Dio. Essa non fa più paura né a Gesù né agli uomini i quali hanno visto che essa può essere vinta e sconfitta dalla Resurrezione con l’esempio di Gesù Cristo. Gli uomini si sono riconciliati con Dio per mezzo del sacrificio di Gesù che si é immolato per la salvezza dell’umanità. Ora, secondo Luzi, l’umanità ha stipulato una nuova stabile alleanza con Dio e così gli si riapre un’altra volta la via della salvezza, ma questa via ha la porta stretta, per cui è necessario ancora una volta l’aiuto e il soccorso di Dio. L’intera opera teatrale e poetica termina con l’ultima supplica di Luzi a Dio.
“Ora si, oh Redentore, che abbiamo bisogno del tuo aiuto,
ora si che invochiamo il tuo soccorso,
tu, guida e presidio, non ce lo negare.
L’offesa del mondo è stata immane.
Infinitamente più grande è stato il tuo amore.
Noi con amore ti chiediamo amore.
Amen” (pag. 75).

I passi dell’insegnamento di Gesù e del suo Kerigma sono tanti, ne riporto alcuni tra i più belli e significativi. “[…] Gesù disse: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno” […]”. Giovanni 11-25. “[…] Gli disse Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto” […]” Giovanni 14-6,7. “Vi lascio la pace, vi dò la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: vado e tornerò a voi; se mi amaste, vi rallegrereste che io vado dal Padre, perché il padre è più grande di me.” Giovanni 14-27,28. “Di nuovo Gesù parlò loro e disse: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita.” Giovanni 8-12.

I motivi della bellezza de “La Passione” di Mario Luzi

Io, Biagio Carrubba, credo che i motivi della bellezza e del fascino de “La Passione” di Mario Luzi siano dovuti ai seguenti fattori.
Primo. Per il linguaggio lucido e razionale di tutta l’opera. Infatti il linguaggio è, sia comune e semplice, ma è anche costruito e basato su molte figure retoriche ricercate come l’ellissi, la sinchisi e tante altre. In definitiva la lexis di Mario Luzi è personale ma è anche coinvolgente ed accattivante per il lettore che si immedesima alla Passione di Gesù Cristo. Il fascino dell’opera deriva anche dall’interpretazione, nuova e personale che ribalta completamente la figura di Gesù Cristo storico come è presentata nei Vangeli, e dalla rappresentazione sofferta ed umana che ne dà l’autore.
Secondo. Per la sapiente costruzione del mondo interiore di Gesù Cristo. Infatti Mario Luzi descrive dettagliatamente tutti i sentimenti in progress e in itinere che Cristo prova in interiore homine: dall’odio verso la turba alla nostalgia verso il Padre, dalla debolezza alla abiezione e dall’amicizia verso i discepoli all’amore per la bella e terribile terra (pag. 59).
Terzo. Per la sintesi dell’opera come poesia e come teatro. Infatti Luzi riesce a scrivere un’opera religiosa che è adatta, sia per la sacra rappresentazione liturgica della Via Crucis del Colosseo nel 1999, ma anche perché è, nel contempo, un’opera poetica costruita con molte figure retoriche e con lo stile tipicamente luziano.
Quarto. Perché l’opera poetica La Passione rinnova molto la Via Crucis tradizionale, rendendola più vivace e adatta alla recitazione teatrale al Colosseo e rinnovandone il linguaggio poetico, teatrale e liturgico.
Quinto. Perché La Passione richiama alla mente molti film che ricostruiscono la Via Crucis di Gesù Cristo. Tra questi ne cito tre per la loro bellezza: Il Vangelo secondo Matteo di Pierpaolo Pasolini (1964), bellissimo film in bianco e nero che ripropone ancora oggi la drammaticità, la sofferenza e il dolore di Gesù Cristo durante la Via Crucis mettendo in primo piano il dolore della madre nel vedere il figlio crocifisso. Un altro film divertente è Il ladrone di Pasquale Festa Campanile (1980) con due bravissimi attori Enrico Montesano ed Edvige Fenech. Il protagonista Montesano recita nel ruolo del ladrone che con i suoi imbrogli e peripezie vorrebbe imitare il miracolo di Gesù ma ovviamente non vi riesce. Alla fine muore crocifisso alla destra del Signore redarguendo il ladrone che sta alla sinistra di Gesù.
Il terzo film, ultimo in ordine cronologico (2004) è La Passione di Mel Gibson; questo film, molto bello per la crudezza delle scene, mette in primo piano tutta il contrasto tra il politeismo dei romani e il monoteismo di Gesù Cristo. Infatti i romani e i sommi sacerdoti ebrei condannano Gesù sia per il suo eretismo e la sua blasfemia e lo irridono per la sua follia teologica che per loro era incomprensibile e inaccettabile.

Il mio giudizio personale su “La Passione” di Mario Luzi.

Io, Biagio Carrubba, credo che nella storia dell’antica Roma che va dal 753 a.C. al 476 d.C. vi sono stati molti eroi e uomini eccezionali che hanno mostrato tutto il loro valore etico ed ideologico a cui hanno sacrificato la loro vita personale. Tra questi miti vi sono certamente due giovani temerari ed intrepidi che hanno esibito tutto il loro coraggio dando un alto esempio di sé stessi: il gladiatore Spartacus e il riformatore religioso Gesù Cristo. Io credo che sia Spartacus che Gesù siano stati due grandi eroi che hanno fatto qualcosa di eccezionale per rinnovare la società romana ma hanno anche lanciato il loro messaggio libertario ed escatologico alle future generazioni. Entrambi hanno in comune il fatto che sono morti crocifissi da parte dell’esercito romano ma sono differenti l’uno dall’altro, Spartacus non aveva ricevuto alcuna istruzione e non conosceva la storia romana ma era coraggioso, impavido ed intraprendente; invece Gesù conosceva, in parte, le Sacre Scritture e su di esse concepì e costruì tutta la sua utopistica ideologia messianica. Dunque la loro morte è il risultato delle loro azioni e della loro tenacia nel lottare per ciò che volevano ottenere. Entrambi hanno avuto due esistenze completamente diverse ma la morte in croce li accomuna creando intorno a loro un alone di libertà e misticismo. Il gladiatore Spartacus combatté con le armi della rivolta la Repubblica Romana organizzando un esercito di duecentomila schiavi contro il fortissimo esercito romano. Spartaco si presenta come nobile e coraggioso tra gli schiavi di allora mentre Gesù con l’insegnamento delle sue parabole promette ai suoi discepoli la vita eterna nel regno dei cieli. La morte di Spartaco avvenne per mano del console Crasso nel 73 a.C. Invece la morte di Gesù avvenne nel 33 d.C. per mano del governatore romano Ponzio Pilato, su istigazione dei sacerdoti ebrei. Alla fine della rivolta Spartacus morì in croce sulla strada che da Roma portava a Napoli, la sua fine gloriosa fu ed è ancora oggi un modello di vita per la conquista della libertà materiale, politica e sociale, per i milioni di diseredati e schiavi che ancora oggi vivono, soffrono e lottano sulla terra per conquistare la loro libertà, materiale, politica e sociale. Anche Gesù Cristo morì per le sue idee religiose e teologiche, sulla strada che da Gerusalemme portava al Calvario lasciando anche lui un modello di vita spirituale, religiosa e mistica. Sia Gesù che Spartacus hanno lasciato un sentimento di fascino per tutti coloro che vogliono conquistarsi la libertà personale e spirituale. Alla fine di questa breve analisi del confronto tra Spartacus e Gesù io mi chiedo: quale via tra i due modelli di vita oggi è praticabile? Credo a nessuno dei due modelli, perché entrambi impossibili, impraticabili ed utopistici. Ma se io, Biagio Carrubba, dovessi proprio sceglierne uno allora sceglierei di morire combattendo per la libertà. Infatti credo che se fossi rinchiuso in un monastero da solo per predicare e lodare Dio ventiquattro ore su ventiquattro non riuscirei a resistere nemmeno un solo giorno: perché o morirei o diventerei folle. La conferma di questo mio pensiero l’ho avuta in questi mesi guardando una trasmissione dedicata alla vita reclusa che svolgono frati e suore di clausura all’interno dei vari ordini e distribuiti in tutto il territorio. Infatti non riuscirei a sopportare la monotonia e la solitudine che caratterizza la vita monastica, mentre resisterei più di qualche giorno in un campo di battaglia perché mi permetterebbe di vivere un po’ di più. Quindi tra la vita e la morte dei due modelli, sceglierei, senza dubbio, Spartacus anche perché io, Biagio Carrubba, amo la libertà terrena più di ogni altra cosa, più della stessa vita eterna promessa da Gesù Cristo. Del resto credo fermamente che la vita, beata e risorta, promessa da un giovane idealista profeta ebreo, sia una pura follia ed una pura invenzione metafisica.

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Modica, 15 /12/ 2018                                                                         Prof. Biagio Carrubba.

Riletto, riveduto, ricorretto e aggiornato e pubblicato oggi 15/ 12/ 2018.

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