DAL “CORPUS TIBULLIANUM”
LE ELEGIE D’AMORE DI SULPICIA, (I SEC. a.C.)
NIPOTE DI M.V. MESSALLA CORVINO (64 a.C. – 8 d.C.).
ELEGIE DI SULPICIA
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ELEGIE DI SULPICIA
ELEGIA VIII (IV 2)
Sulpicia s’è adornata per te nelle tue Calende, o possente Marte:
se sei saggio, scendi tu stesso dal cielo ad ammirarla.
Venere ti perdonerà: ma tu, o violento, bada
che nell’ammirarla le armi non ti cadano vergognosamente a terra.
L’agguerrito Amore, quando vuole infiammare gli dèi,
fa sì che risplendano due fiaccole negli occhi di lei.
E qualunque cosa ella faccia, dovunque diriga il passo,
le Grazie ne atteggiano le membra e quasi ne fanno corteggio.
Se scioglie i capelli, è bella con le chiome disciolte,
se li acconcia di nuovo, è adorabile con le chiome acconciate.
Accende i cuori se si mostra vestita di porpora tiria,
li accende, se candida avanza in una nivea veste.
Tale il felice Vertumno nell’eterno Olimpo,
ha mille ornamenti, e tutti mille appropriati.
Ella è la sola tra le fanciulle degna di ricevere da Tiro
le molli lane tinte due volte in preziosi succhi,
e di possedere tutti i profumi che miete nei campi odorosi
il ricco Arabo che coltiva aromatiche essenze,
e tutte le perle che il bruno Indiano stanziato
presso i mari orientali raccoglie sui lidi del Mar Rosso.
E dunque celebratela, o Pieridi, nelle sacre Calende,
e tu, o Febo, fiero della tua lira di testuggine.
Ella riceva per molti anni questo onore solenne:
nessun’altra fanciulla è più degna del vostro coro.
ELEGIA IX (IV 3)
O cinghiale, risparmia il mio giovane amante sia che ti aggiri
per i floridi pascoli della pianura, o per le solitudini di un ombroso monte,
e non ti avvenga di aguzzare i tuoi duri denti per assalirlo;
gli sia custode Amore e lo serbi incolume.
Ma già me lo sottrae la passione per la caccia ispiratagli dalla dea di Delo:
oh, periscano le selve e possano scomparire i cani!
Che follia, qual demenza è mai questa di straziare le delicate mani
per cingere di reti i colli folti di alberi?
Che giova penetrare furtivamente nelle segrete tane delle fiere,
e graffiarsi le candide gambe tra gli spinosi rovi?
Tuttavia, o Cerinto, purché mi sia concesso di errare con te,
io stessa porterò le ritorte reti per i monti,
io stessa cercherò le orme dell’agile cervo, e
toglierò la ferrea catena al veloce cane.
Allora sì mi piaceranno le selve, se si potrà dire di me,
o mia luce, che ho giaciuto con te davanti alle reti:
allora il cinghiale, anche se verrà presso gli agguati,
se ne andrà illeso per non turbare le gioie del nostro avido amore.
Ora in mia assenza, Venere stia lontano da te, per legge di Diana;
o casto giovane, tocca le reti con casta mano,
e se una donna tenti d’insinuarsi nel tuo animo, mio amore,
cada tra le feroci belve e finisca fatta a brani.
Ma lascia la passione della caccia al tuo genitore,
e torna indietro veloce a stringerti al mio seno.
ELEGIA X (IV 4)
Scendi tra noi e libera una tenera fanciulla dal suo male,
scendi tra noi, o Febo superbo della tua chioma intonsa.
Credimi, affrettati, e mai, o Febo, dovrai dolerti
di aver posto le tue mani risanatrici sulla leggiadra fanciulla.
Fa’ che la magrezza non invada le sue pallide membra,
e il colore del morbo non le deturpi il corpo sbiancato,
e qualunque sia il male, qualsiasi la sventura che temiamo,
li trascini via in mare un fiume con le sue rapide acque.
Vieni, o divino, e porta con te tutti i succhi,
tutti i magici segreti che risollevano i corpi stremati,
non tormentare il giovane che teme per la vita della fanciulla,
e innalza per la tua sovrana preghiera senza fine.
Talvolta egli supplica, talora, vedendola languire,
scaglia aspre parole contro gli dèi immortali.
Deponi il timore, o Cerinto: il dio non colpisce gli amanti.
Ma tu continua sempre ad amare: la tua fanciulla è salva.
Non vi è bisogno di pianto: riserva piuttosto le lacrime
a quando ella si mostrerà crudele verso di te.
Ma ora ti appartiene interamente, a te solo pensa nel suo candore,
e invano siede in attesa una credula turba.
Febo, sii propizio: ti sarà attribuita una grande gloria
per aver salvato due vite guarendo un corpo solo.
Presto sarai colmato di lodi, e lieto sarai, quando ambedue
gareggeranno felici nel renderti i dovuti onori sui sacri altari.
Allora ti dirà beato la pia schiera degli dèi,
e ognuno desidererà per sé il possesso delle tue arti.
ELEGIA XI (IV 5)
O Cerinto, quel giorno che mi diede a te dovrà sempre
essere da me ritenuto santo e annoverato tra i giorni di festa.
Alla tua nascita le Parche predissero alle fanciulle una nuova schiavitù,
e ne vollero affidare a te il superbo governo.
Io ardo più di ogni altra, e godo, o Cerinto, del mio amore
purché anche tu arda di un reciproco fuoco.
Scambievole sia l’amore, te ne prego per i nostri dolcissimi
furtivi convegni; te lo chiedo per i tuoi occhi e per il tuo Genio.
O Genio, al mattino accogli lieto gli incensi, asseconda i miei voti,
purché egli, pensando a me, s’accenda di passione.
E se egli per caso già da ora sospira per altri amori,
te ne prego, o divino, abbandona le are ardenti del fedifrago.
E tu, o Venere, non essere ingiusta: o entrambi ugualmente
a te legati ci uniamo, oppure sciogli i miei vincoli.
Meglio tuttavia se l’uno e l’altra restiamo avvinti
da una salda catena che nessun giorno potrà mai spezzare.
Il mio giovane ha lo stesso desiderio, ma lo formula più in segreto:
infatti ha pudore di dire apertamente queste parole.
Ma tu, Natalizio, poiché sei un Nume e tutto intendi,
ascoltalo: che importa se egli prega palesemente o in segreto?
ELEGIA XII (IV 6)
O Giunone, venerata nei compleanni, accogli tutti i sacri incensi
che la saggia fanciulla ti porge con delicata mano.
Oggi è tutta per te, per te si è adornata felice,
per poter sostare, degna di ammirazione, davanti ai tuoi altari.
Ella attribuisce a te, o dea, la causa degli ornamenti,
tuttavia c’è qualcuno a cui ella desidera piacere.
Ma siile ugualmente propizia, o divina, né alcuno separi gli amanti,
e prepara al giovane, ti prego, un reciproco legame.
Sarà una bella unione: egli non potrà più degnamente servire
nessun’altra fanciulla, né lei potrà servire nessun altro uomo.
Nessuno attento custode li sorprenda nelle ardenti effusioni,
e Amore suggerisca loro mille sotterfugi.
Ascoltala, e vieni splendida nella veste purpurea:
avrai tre offerte di focaccia, o dea casta, e tre offerte di vino.
Ora l’attenta madre prescrive alla figlia ciò che ella desidera:
ma quella (Sulpicia), già sicura di sé, altro chiede nel suo animo.
Arde, come le guizzanti fiamme ardono sugli altari,
e anche se le fosse concesso, non vorrebbe essere risanata.
Sii benigna al giovane; e al sopraggiungere del prossimo anno,
questo stesso amore gli appaia, già antico, nei loro voti.
ELEGIA XIII (IV 7)
Infine è giunto l’amore, e sarebbe per me onta
maggiore celarlo che renderlo noto a qualcuno.
Ecco, invocata dalle mie Camene, Venere citerea
ha voluto condurlo a me e deporlo nel mio seno.
Venere ha mantenuto le promesse: narri le mie gioie
colui che si dice non le abbia mai conosciute.
Non vorrei affidare le mie parole a tavolette sigillate,
affinché nessuno le conosca prima del mio amante.
Ma il peccato mi è dolce, e disdegno atteggiare
il viso per godere fama di virtù.
Si dirà che appartenni a un uomo degno di me,
e io fui degna di lui.
ELEGIA XIV (IV 8)
Ecco un compleanno sgradito che dovrò trascorrere tristemente
senza il mio Cerinto in una tediosa campagna.
Che cosa vi è di più dolce della città?
O forse si convengono ad una fanciulla
un casolare e il gelido fiume che scorre nell’agro aretino?
Fermati infine, o Messalla, che troppo ti preoccupi di me;
spesso, o mio congiunto, i viaggi non sono opportuni.
Anche se tu non permetti che agisca secondo la mia volontà,
pur condotta via, ti lascio l’anima e i sensi.
ELEGIA XV (IV 9)
Sai che il triste pensiero di quel viaggio è svanito
dall’anima della tua fanciulla.
Ora le è consentito di essere a Roma nel suo giorno natale.
Celebriamo tutti insieme questo compleanno
che forse ti giunge quale più non speravi.
ELEGIA XVI (IV 10)
Mi piace che ormai ti permetta molte cose senza curarti di me,
poiché non temi che io possa ad un tratto perdermi scioccamente
abbi a cuore una toga e una sgualdrina che reca
un pesante paniere, più che la tua Sulpicia, figlia di Servio!
Ma vi è chi si preoccupa per me, e cui arrecherebbe dolore,
in immenso dolore, se venissi posposta ad un ignobile letto.
ELEGIA XVII (IV 11)
Non senti, o Cerinto, un’affettuosa premura per la tua fanciulla,
poiché la febbre tormenta ora le mie membra stremate?
Ah non bramerei certo di guarire del mio triste morbo,
se pensassi che non lo desideri anche tu allo stesso modo.
A che mi gioverebbe vincere la malattia, se tu
con cuore indifferente puoi sopportare il mio male?
ELEGIA XVIII (IV 12)
Che io possa non essere più, o mia luce, la tua ardente passione,
come mi sembra di essere stata in questi ultimi giorni,
se in tutti gli anni della giovinezza ho commesso, stolta,
qualcosa di cui mi confessi maggiormente pentita
che dell’averti lasciato solo nella scorsa notte,
desiderando tenerti celato tutto il mio ardore.
MODICA, 23/10/2024
PROF. BIAGIO CARRUBBA
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