
Queste elegie attribuite a Massimiano sono state studiate e analizzate a lungo, con risultati emeriti, dal poeta e professore universitario Alessandro Fo (foto accanto).
ELEGIA N. 1
Tanti premi di bellezza chi elencherà con facili accenti,
o quale Musa potrebbe innalzare le tue lodi?
Per quanto io tenti di esprimere voci di augurio,
la parola vien meno, ed ansima il mio petto amante.
Vorrei essere Paride (non sarà troppa la fama di Elena?),
perché te a lui avrebbe assegnato la nuda Venere.
Quando i tuoi capelli d’oro dall’oro sono trattenuti,
superano le tue doti anche i biondi metalli.
Ciglia incantevoli spiccano ornate di amabile splendore
e come ebano misto a ricco avorio risplendono.
Regna sul volto una grazia tinta di giovanile rossore,
sicché perfino i roseti cedono vinti dalle labbra tue.
Il collo latteo risplende come un fascio di gigli
e della tua bellezza fioriscono le membra piacenti.
Chi, scoprendoti un po’ sul davanti, non toccherebbe
con mano quei tuoi seni turgidi, quei frutti maturi?
Com’è liscio il ventre sotto il petto impeccabile,
il fianco rotondo e morbidissima la coscia …
Sotto tale spettacolo di beltà si cela la visione dell’inguine:
e di quella di certo non posso dirmi testimone ignaro.
ELEGIA N.2
Incantevole luce mia, luce degli occhi, luce dei pensieri,
Lucifero così ti reca prima del giorno luminoso.
Incantevole, tieni me prigioniero con le catene di Venere
finché la sottomissione sarà piena: ed allora sarò libero.
Non diversamente Leandro ritornava tra le fredde onde:
era insicuro in mare, e tuttavia lo fece vincere Amore.
Non altrimenti arse d’amore Achille per la bionda Briseide:
uscì sconfitto anche lui, che di vittorie pur ne aveva viste.
Così una volta Dafne tormentò Apollo nell’intimo,
ed ancor più ne accese l’animo negandosi a lui.
Diversamente questa condizione brucia me: arde di più
colui che guardi, perché lo attiri con la grazia del corpo.
E adesso vorrei diventare un prezioso anello d’oro,
affinché le mie membra obbediscano alle tue mani tenere.
Con spontanea dedizione a te resterei sempre avvinto,
abbracciando stretto a mia volta il corpo tuo intero.
Se ti piacerà di adattare la mia immagine come cera
vorrò baci languidi, con le labbra nostre pressate fra loro.
CARME N.3
Chiunque tu sia che ascendi la vetta del monte elevato
e ammiri quell’opera multiforme, mentre osservi ogni cosa,
guarda questi popoli, sottomessi senza uccisione di alcuno:
non servirà venire allo scontro, e con cieco furore
consegnare la vita alle pericolose incertezze dal caso;
cedano le armi ai luoghi: i dirupi, anziché i soldati, ci difenderanno.
Creste fortificate, torri innalzate al di sopra delle costruzioni,
onde minacciose, coste da ogni parte tagliate a picco
e rovine incombenti sul cammino per cui avanzi incerto:
ebbene, tutto ciò promette vita sicura, dopo tanti pericoli.
La dimora si erge poggiata sulla muraglia, le scorciatoie abbreviano
il cammino a chi sale; stando in riposo, dalla sommità la sentinella
ogni cosa sorveglia, e pure gode del suo letto tranquillo.
Ma aver fortificato quel luogo non è tutto: piace guardar da lontano
la rocca, che invita all’interno delle mura col suo aspetto attraente.
Quali voti in cambio di tale dono si potrebbe compiere per te,
o potente Teodato, la cui sapienza riguardosa del mondo
provvide affinché nulla mancasse in questa fortezza,
mischiando con la natura l’arte, con l’utile il bello?
Gran valore ha l’abbattere intere genti in campo aperto,
ma ancora meglio è non subire le guerre, preferire la pace.
Sarà titolo di merito credere che, incombendo la rovina,
tanti popoli siano stati sconfitti, quanti la tua fortezza ne tutela.
CARME N.4
Questa rupe che splende fregiata di belle difese,
era un tempo cosa utile a nulla e nessuno.
Solo uccelli marini usavano qui dimorare,
quando il mare infuriava con acque agitate.
Ora una nuova fortezza tutela gli uomini; pur orride guerre
s’aggirino intorno: starai al sicuro, protetto da questa cima.
Roce e massi, acque e ponti, baluardi e torri
offrono altrettanti luoghi di morte e modelli di vita.
Teodato aveva visto questo picco, perlustrando indefesso
le sue rive e la desolata superficie dell’arido suolo,
e disse “Aspra terra, che produrre germogli non puoi,
saprai però meglio sorreggere ciò che si è costruito”.
Si tagliano i massi, si abbelliscono le sommità del muro,
e subito diventa attraente quel che era squallido prima.
Frutti diversi, varie promesse tiene ora in serbo una terra
resa piuttosto generosa, da sterile zolla che era.
E ciò che era del tutto privo di valore ora tanto ne ha acquisito
quanto valgono una salvezza sicura e una vita serena.
Gli dèi celesti concedano un’esistenza tranquilla a te,
ad opera del quale le rocce e i duri massi ci giovano.
Se potesse, direbbe grazie a te anche la natura,
lieta di offrire perfino le risorse che non ha prodotto.
CARME N.5
Rifinendo questa dimora con tanto varia accuratezza, qualcuno
ha mescolato l’incanto della campagna con le strutture della città.
In mezzo ai tetti degli edifici ammiriamo boschi e acque
e godiamo di tutto, allo stesso tempo, insieme.
Qui le fredde sorgenti, qui le dolci ombre degli alberi,
qui vedrai ciò che può piacere in ogni parte del mondo.
Sovrasta un platano eccelso le acque trasparenti come vetro,
e tremola la selva che si rispecchia nella corrente.
Il bosco oscuro è fitto di alberi dagli ampi rami,
sicché l’ombra fredda rianima le acque immote.
In mezzo alla calura sotto la verde fronda l’uccello canoro
rinnova il suo verso: ne risuonano il palazzo, le case, il bosco.
E le cose che da sole potevano piacere già separatamente,
mescolandosi risplendono ancor più di una doppia bellezza.
CARME N. 6
Una volta, scorrendo via rapida per luoghi appartati,
perdeva ogni pregio questa sorgente di campagna;
ora, rifornendo le dimore e passando vicino ad alti fastigi,
abbonda ancor meno impetuosamente delle acque di città.
Incanalata ad impieghi diversi attraverso bacini splendidi,
impara a fornire le risorse che non essa ha prodotto.
Ed ecco che pesci estranei giocherellano tra quei gorghi,
guardando ammirati luoghi di vita nuovi e trasparenti,
godendo di nuotare racchiusi in una prigione fortunata,
ora meglio cullati dall’onda nel suo grembo tranquillo.

Modica 27/ 08/ 2016 Prof. Biagio Carrubba
Commenti recenti