CARMI DI CATULLO.
Introduzione.
La poesia latina, dopo gli inizi storici con Ennio e con Lucilio, ricominciò, alla grande, con i poeti neoterici e con il bel canzoniere di Gaio Valerio Catullo che, per fortuna, ci è pervenuto per intero. E’ un canzoniere lirico – amoroso dettato a Catullo dal suo amore e dalla sua passione per la giovane amante, di nome Clodia, già sposata con Metello Celere, ma che Catullo chiama col nome di Lesbia, in onore e in omaggio alla poetessa greca Saffo. Il canzoniere, che ha per titolo “I CANTI”, contiene anche tanti altri bei carmi ispirati e centrati su altri temi, come: l’amicizia, la società civile, il Carpe Diem, i canti di nozze e la politica a lui contemporanea. Tutti questi temi anticipano gli argomenti e le tematiche che saranno poi ripresi dai grandi poeti lirici, epici ed elegiaci come: Orazio, Virgilio, Tibullo, Properzio e Ovidio.
Catullo canta anche il lamento per il fratello morto in Bitinia, nel carme numero 101. Questo carme, molto bello e famoso, è l’elogio funebre per il fratello morto nella Troade e ripreso dal grande poeta Ugo Foscolo. Ma le poesie più belle, più graffianti e più dilettosi rimangono quelle dedicate e incentrate su Lesbia, nelle quali Catullo fa trasparire, in modo evidente, ancora oggi, a distanza di 21 secoli, tutta la veemenza, la rabbia, l’impeto, la passione e l’amore di Catullo per lei. Infatti Catullo esprime in molti carmi una vasta varietà di sentimenti molto forti che provava per Lesbia: la gelosia, la rabbia, la passione e l’amore. Ma lei non lo ricambiava per niente: era fedifraga (per natura) e insensibile all’amore del poeta e lei non rinunciò mai a farsi copulare da tanti altri. Concetto ben espresso da Luca Canali nella ”Antologia della Poesia Latina”, che così scrive a pagina 181: “E tutti i sentimenti, amore e odio, gioia e disperazione, tenerezza e malinconia, entusiasmo e raccoglimento, vivono in questa poesia cui non è possibile chiedere una più riposata meditazione senza fraintenderne il significato”.
La poesia di Catullo, dopo l’esperienza dei poeti preneoterici e neoterici fra i quali spiccavano Lutazio Catulo, Valerio Edituo e Levio Melisso, riprese le tematiche di questi poeti chiamati da Cicerone, con disprezzo, “Neoteroi”. Infatti Cicerone seguace della poesia di Ennio denigrò la poesia dei poetae novi definendoli Cantores Euphorionis. La traduzione esatta di neoteroi è però “poeti moderni”. La poetica di questi poeti nuovi era una sintesi delle idee di Callimaco e del nuovo modo di poetare a Roma, dove i poeti neoterici introdussero il distico latino. Il latinista Luca Canali spiega molto bene le caratteristiche della nuova poesia dei nuovi poeti, che a pagina 32 – 33 della “Storia della poesia latina” così scrive: “La sua poetica, quella dei poetae novi: componimenti brevi, raffinatezza ma anche energia dello stile, spregiudicatezza nei contenuti e disimpegno politico. E su tutto un inesausto labor limae” […] . E Roma si era sempre fondata sul mos maiorum, sull’impegno politico, sull’espansione militare, su di una religione statale e sulla castità dell’amore coniugale”.
La poetica dei poeti nuovi, a sua volta, era stata importata dalla poetica del grande scrittore cirenese Callimaco che nelle sue opere aveva indicato le caratteristiche della poesia innovativa rispetto alla poesia epica tradizionale. Le tre caratteristiche nuove della poesia innovativa – alessandrina erano: brevità, raffinatezza e dottrina. Queste caratteristiche nuove furono studiate, assimilate e importate dai poeti nuovi latini di cui Catullo diventò il poeta più famoso, più esperto e l’interprete più innovativo fra i poeti romani.
Io, Biagio Carrubba, ho riletto il canzoniere lirico – amoroso di Catullo con piacere e con diletto, a distanza di vent’anni quando lo lessi per la prima volta. Allora mi piacque molto ed oggi mi piace ancora di più, perché lo trovo, ancora oggi, piacevole e dilettevole, lodevole e vivace, per la varietà e per l’intensità dei sentimenti espressi. Credo che ciò sia dovuto alla capacità di Catullo di esprimere le sue varie e contraddittorie emozioni in modo brioso ed immediato. Credo, inoltre, che la bellezza di questo canzoniere derivi dall’uso del “tempo presente” dei verbi che lo mantengono ancora vivo e vivace a distanza di 21 secoli, come se il tempo si fosse fermato al momento in cui Catullo lo scrisse. Questa mia riflessione l’ho trovata confermata, anche, da Alfonso Traina che nella introduzione ai CANTI di Catullo, a pagina 39, così scrive: “da una parte l’accentuazione del rapporto dialogico, la presenza e l’importanza degli indicatori di I e II persona, il continuo riferimento alla situazione di enunciazione veicolato dai deittici e dal presente verbale, la presenza e l’importanza della enunciazione, cioè i mezzi messi in opera dallo enunciatore per influire sul comportamento del partner …”.
Io, Biagio Carrubba, credo che un altro motivo di bellezza sia dovuto alla forma chic dei carmi. Una forma originale e modellata sulla brevità e sulla leggerezza callimachea (leptòn: esile, sottile). Infatti i canti di Catullo sono brevi, eleganti, raffinati e hanno uno stile tutto personale e creativo. Secondo me, Catullo è riuscito, molto bene, a trasportare e a trasformare la leptos callimachea (leggerezza) nel lepidus latino (aggraziato, piacevole). La leggerezza di Callimaco e il lepidus di Catullo sono diventati in italiano lepidezza che vuol dire battuta, spirito, arguzia, facezia.
CARME 1
A chi donerò questo prezioso nuovissimo
libretto ancora lucido di pomice?
A te, Cornelio, a te che alle mie cose
attribuivi un senso fin dagli anni
in cui, unico fra noi, tu affrontavi
la storia universale in tre libri
così colti e tormentati, mio Dio.
Valga quel che valga, il libretto
è tuo: Musa, vergine mia,
fa’ che mi possa sopravvivere.
CARME 2
Passero, svago della mia ragazza –
gioca con te, ti tiene sempre in grembo
e quando hai fame ti dà l’unghia e tu
mordicchi provocato – quando lei,
questa mia nostalgia della luce,
cerca il gioco – perché? – un ristoro
da una sua pena (è la mia fede) pace
da un fuoco greve – potessi
giocare insieme a te così, placare
questa torbida angoscia del mio cuore.
CARME 3
Piangete, Amori e Brame dell’Amore,
e quanto è gentilezza sulla terra:
morto è il passero della mia ragazza,
morto lo svago della mia ragazza,
quello che amava più della sua vista:
delizioso era e la riconosceva
come una bimba conosce sua madre
né mai s’allontanava dal suo grembo,
vi saltellava sopra in lungo e in largo
e pigolava ma solo per lei.
Ora scende il cammino delle tenebre
da cui, si dice, non tornò nessuno.
O buio maledetto della morte
che inghiotti tutto ciò che è gentilezza!
Che passero gentile mi hai rapito.
O che disgrazia! O sventurato passero!
Per causa tua la mia ragazza piange
e i begli occhi si gonfiano e s’arrossano.
CARME 5
Dobbiamo, Lesbia mia, vivere e amare,
le proteste dei vecchi tanto austeri
tutte, dobbiamo valutarle nulla.
Il sole può calare e ritornare
per noi, quando la breve luce cade
una eterna notte resta da dormire.
Baciami mille volte e ancora cento
e dopo ancora mille e dopo cento,
e poi confonderemo le migliaia
tutte insieme e non saperle mai,
perché nessun maligno porti male
sapendo quanti sono i nostri baci.
CARME 7
Mi chiedi, Lesbia, quanti dei tuoi baci
mi basteranno, mi saranno toppi –
quante le sabbie libiche distese
laggiù a Cirene fertile di silfio
tra il fiammeggiante oracolo di Giove
e il sacro sepolcro dell’antico Batto,
quante stelle in silenzio nella notte
contemplano i segreti amori umani,
tante volte basterà baciarti
e sarà troppo al tuo Catullo folle,
il conto che il curioso non può fare
né la lingua maligna maledire.
CARME 11
Furio, Aurelio, compagni di Catullo
quando andrà in fondo all’India più remota
dove le onde dell’aurora battono
sorde le rive,
tra gli Ircani e i voluttuosi Arabi
i Sagi, i Parchi armati di saette,
al Nilo dalle sette fauci dove
colora il mare,
o quando varcherà le erte Alpi
dietro i ricordi di Cesare il grande,
al Reno della Gallia, e tra i selvaggi
Britanni più lontani,
pronti, voi e io, a provocare
ogni destino che gli Dèi vorranno –
farete alla mia donna questo spiccio
brutto discorso:
“Io la saluto con i suoi trecento amanti,
che abbraccia tutti insieme, ma nessuno
ama davvero e a tutti uno per volta
rompe la schiena,
e non si volti indietro più al mio amore
caduto per sua colpa come al margine
del prato cade un fiore che l’aratro
tocca e va oltre”.
CARME 31
Sirmione, pupilla delle isole e delle penisole
quante nel vasto mare e nei limpidi laghi sostiene
l’uno e l’altro Nettuno,
con quanta gioia ti rivedo
appena credendo a me spesso di avere lasciato
i campi di Tinia e Bitinia, e di vederti al sicuro!
Oh, cosa è più dolce che liberi dagli affanni
deporre ogni peso dall’animo e giungere al fine
al nostro focolare, stanchi di straniere fatiche,
e trovare riposo nel letto così a lungo sognato.
E’ questo l’unico vero compenso per tanti travagli.
Salve, leggiadra Sirmione, esulta del padrone che torna;
esultate anche voi, onde del lago di Etruria;
rida tutto ciò che sa ridere nella nostra dimora.
CARME 37
Lercia bettola e voi bettolieri
numero nove dagli Imberrettati,
credete solo voi d’avere un cazzo
e di fottervi tutte le ragazze
e che il resto del mondo sia cornuto?
Seduti in fila da coglioni in cento,
in duecento, sapete che potrei
metterlo in bocca a tutti voi lì seduti?
Be’ sappiatelo bene. Voglio scrivere
o arrapati tutti i vostri nomi
sull’intera facciata del casino.
Perché la mia ragazza che è scappata,
amata come mai sarà amata,
per cui mi son battuto molto e bene,
si trova lì seduta insieme a voi,
con lei ve la spassate che è un piacere.
Tutti. Ma ciò che è peggio, la gentucola,
quella che va a puttane per le strade.
In testa a tutti, o capelluto,
figlio di Spagna terra di conigli,
Egnazio, rimediato dal barbone
e dal piscio spagnolo per i denti.
CARME 40
Ravido, poverino, ma che idea
buttarti a testa bassa sui miei giambi.
Non hai pregato un Dio come si deve
e lui t’ispira una lotta perduta?
O forse hai voglia di notorietà?
Che cerchi? Fama a tutti i costi?
E l’avrai, dal momento che hai voluto
fare all’amore con l’amore mio.
La pena da scontare sarà lunga.
CARME 43
Salve, ragazza dal naso non piccolo,
dal piede non grazioso, occhi non neri,
dita non lunghe, bocca non ben netta,
conversazione non troppo elegante,
amante di un fallito in quel di Formia.
In provincia ti dicono graziosa?
Vieni paragonata alla mia Lesbia?
Tempi stupidi. Tempi senza spirito.
CARME 58
Celio, Lesbia, la mia Lesbia, lei,
Lesbia, la sola che Catullo ha amato,
più di se stesso ha amato e tutti i suoi,
ora per tutti i vicoli e gli incroci
succhia il seme magnanimo di Remo.
CARME 68 (Ultimi versi)
Soltanto questo dono, un dono fatto di canto,
a compenso di tutto il tuo bene, ho potuto renderti, Allio,
perché questo giorno, o un altro, o un altro ancora, non coprano
il tuo nome di un velo di ruggine impenetrabile.
Gli Dèi vi aggiungeranno in abbondanza quei doni
che Temi soleva recare alla pietà degli antichi.
Siate felici, tu e la donna che è la tua vita,
la casa che fu la gioia mia e della mia donna,
colui che mi ha consentito l’approdo nel porto,
colui dal quale è derivato, per me, tutto il mio bene,
e la donna a me più cara di tutti e di me stesso,
la mia luce. Finché lei vive, vivere è dolce per me.
CARME 72
Una volta dicevi, Lesbia, “Per me non c’è che Catullo,
neanche Giove vorrei al posto suo”.
A quel tempo t’amavo non come la gente un’amante,
ma come un padre ama i figli, ama i generi.
Adesso ti conosco. Per questo, se brucio di più,
mi vali molto meno. Mi sei molto di meno.
“E’ tanto strano”. Ma un’offesa così ti costringe
ad amare di più e a voler bene meno.
CARME 75
Lesbia mia, la tua colpa ha così deformato il mio spirito,
distrutto da se stesso nella sua fedeltà,
che se diventi buona non sa più volere il tuo bene,
e se tutto farai, non cesserà d’amarti.
CARME 76
Se il ricordo del bene compiuto in passato
dà piacere al pensiero d’essere stati giusti,
di non aver mai tradito, e offeso il nome divino
per ingannare l’uomo, mai in nessun rapporto,
molte gioie t’aspettano, e per molti anni, Catullo,
per questo amore senza gratitudine.
Perché quanto gli uomini ad una persona
dire e fare il bene, tu lo hai detto e lo hai fatto.
Tutto è morto, donato a uno spirito ingrato.
Perché allora continui a torturarti?
Perché non ti fai forte, ti stacchi da questo, ritorni,
senza essere più infelice, se gli Dèi no lo vogliono?
E’ difficile, ad un tratto, un lungo amore, lasciarlo.
E’ difficile, sì, ma devi farlo. E come vuoi tu.
E’ la sola salvezza. E tu devi vincere, devi.
Cerca di farlo, se puoi, e anche se non puoi.
O Dèi, se è divino avere pietà, se mai soccorreste
qualcuno sulla terra nell’ora della morte,
guardatemi. Io sono infelice. E se la mia vita fu pura,
strappate questa malattia mortale,
che penetra nelle fibre acuta come un torpore
e mi toglie dal cuore tutto il gusto di vivere.
Non chiedo, no, che lei mi possa riamare,
e che diventi pura, perché non è capace:
io ho voglia di stare bene, guarire dal mio tetro male.
Datemi questo, o Dèi, per la mia fede.
CARME 79
Lesbio è il bello. Eh già, se Lesbia lo preferisce
a Catullo e a tutta la sua gente.
Ma il bello venda Catullo e tutta la sua gente
se chi lo conosce arriva al terzo bacio.
CARME 83
Lesbia dice di me, col marito, ogni male possibile;
ciò manda in visibilio quello scemo.
Mulo, quanto capisci. Se facesse, se mi scordasse,
sarebbe senza febbre. Invece strilla e vocia.
Ricorda, se ricorda! E ciò che va nel profondo,
è arrabbiata. Un febbrone che la cuoce.
CARME 85
Odio e amo. Ma come, dirai. Non lo so,
sento che avviene e che è la mia tortura.
CARME 86
Per molti, Quinzia è bella. Per me, è splendida.
Alta e dritta. Accordo sui particolari.
Sulla sintesi bella no. Il fascino manca.
È un corpo vasto totalmente insipido.
Bella è Lesbia. Perché è bellissima tutta,
ogni grazia ha rubato a tutte quante.
CARME 87
Nessuna donna può dire d’essere stata amata
davvero, come tu, Lesbia, sei stata amata.
In nessun patto umano ci fu la purezza di cuore
che questo amore mio ti ha rivelato.
CARME 92
Lesbia, sparla, non smette mai di sparlare
sul mio conto. Che io crepi se non mi ama.
Sintomi uguali per me. Io la stramaledico
ogni giorno. E che io crepi se non l’amo.
CARME 101
Venuto tra tante distese di genti e di acque,
ti reco, o fratello, l’offerta di un rito dolente
per rendere l’omaggio supremo dovuto alla morte
e dire vane parole al tuo cenere muto,
poiché la fortuna mi tolse la tua umana presenza,
sventurato fratello a me ingiustamente rapito.
Ma questo, che è antico costume dei padri,
con l’ultimo triste saluto rivolto alla tomba,
accoglilo asperso di molto pianto fraterno,
e ancora, o fratello, salute in eterno e addio.
CARME 107
Il sogno, il desiderio, contro ogni speranza, appagato,
è la gioia dell’anima più vera.
Così anche a me tu dai una gioia più cara dell’oro,
tornando, Lesbia, quando più ti bramavo,
e ti bramavo senza sperare, e tu vieni da te,
per me. Giorno di privilegio, questo.
Chi è così fortunato? Che cosa si può sulla terra
desiderare più della mia vita?
CARME 109
Vita mia, mi fai sperare questo amore nostro
in letizia perpetua, senza ombre.
Dèi grandi, fate che possa promettere il vero,
che lo dica col cuore, con purezza,
e ci sia dato continuarlo per tutta la vita
questo patto d’amore, senza fine.
Finale
Sento ancora, come vivi e gustosi, i baci dati da Catullo a Lesbia; immagino le sue sfuriate di gelosie, i suoi lamenti e le sue frustrazioni, e rivivo anche la gioia e la felicità vissute da Catullo con Lesbia. Insomma, io, Biagio Carrubba, rileggendo il canzoniere di Catullo, ho provato, ancora una volta, una grande sensazione estetica ed ho riprovato, anche, un gran diletto culturale, passionale e poetico.
Credo, infine, che un altro motivo che contribuisce a creare la venustà dei carmi di Catullo sia il fatto che tutti noi lettori, chi per poco tempo chi per molto tempo, abbiamo provato gli stessi sentimenti dispiegati e descritti da Catullo. Infatti, io Biagio Carrubba, credo che i sentimenti, tristi e drammatici o leggeri e lepidi, di Catullo abbiano la forma, la lepidezza e una tensione emotiva forte che rinnovano una catarsi che ritorna e si ripete ancora oggi.
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