Tiberiano. Due splendidi carmi.
Tiberiano visse, quasi sicuramente, tra gli anni del 200 e gli anni del 300 (III e IV sec. d.C.). Veramente su chi potrebbe essere Tiberiano si hanno delle incertezze. Il primo si chiama Annio Tiberiano, prefetto del pretorio in Gallia negli anni 336 – 337 d.C. Vi è anche un secondo Giunio Tiberiano, prefetto di Roma nel 303-304 d.C. Chiunque sia tra i due ci rimangono quattro carmi raccolti nella famosa e benedetta Anthologia Latina del VI sec. d.C. Essa ha conservato quattro carmi classificati da Riese con i numeri 809, 719b, 810 e 490. Il primo carme (809) riguarda la descrizione di un luogo ameno (locus amoenus) in 20 settenari trocaici. Il secondo carme è una invettiva contro il potere corruttore dell’oro. Il terzo carme narra la sorte di un uccello precipitato in volo. Il quarto carme (490), in 32 esametri, esprime tutta la meraviglia e le richieste del poeta di fronte a Dio onnipotente. Io Biagio Carrubba, riporto soltanto il I e il IV carme perché li reputo buoni e belli, completi e perfetti nella loro struttura e nello sviluppo del loro tema. A questi due carmi dò anche il mio titolo personale che manca nell’Anthologia Latina. Il titolo del primo carme è Paesaggio primaverile. Il secondo è Dio onnipotente. Il primo carme Paesaggio primaverile è la perfetta descrizione di un luogo ameno primaverile nel quale il poeta riesce ad imitare i suoni, i profumi e i colori della natura. Il poeta descrive, in particolare, il percorso di un fiumicello attorniato da tanti uccelli che emettono i loro versi e riflette i vari colori dei fiori dei prati confinanti.
Ecco il testo del primo carme.
Paesaggio primaverile.
Un fiume serpeggiava tra l’erba, scendeva nella fresca valle,
ridente del biancore dei ciottoli, dipinto dei colori del prato.
In alto il ceruleo lauro, il mirto verdeggiante alla carezza
del vento sibilante fluttuavano:
di sotto si stendeva un morbido prato di bei fiori.
Il terreno rosseggiava di crochi e risplendeva ai gigli.
Poi un bosco odorava dei respiri delle viole:
e tra tutti questi doni primaverili, tra la grazia dei boccioli
la rosa, regina di ogni dove e fulgida di colori,
bella come Dione, fiore dorato spiccava.
Sull’irrorato manto erboso svettava un bosco rugiadoso,
e qua e là fiotti di acqua viva, errando,
mormoravano al flusso delle gocce luccicanti.
L’edera e il muschio avvolgevano gli antri;
nella penombra le specie più canore degli uccelli
ora con voci stridule ora con dolci note
cantavano, mentre il fiume accordava
il suo mormorio alle foglie
a cui la Musa del vento dava voce.
Così, per chi passava in mezzo al verde
incantato di musiche e profumi,
uccelli, fiume, vento, fiori ed ombra lo inebriavano.
Il secondo carme Dio onnipotente esprime tutto il sincretismo e l’eclettismo del poeta nei riguardi delle filosofie e delle religioni romane a lui contemporanee. Il poeta, infatti, mette in mostra la sua cultura filosofica e riesce a costruire un testo organico e compatto partendo dalle idee del Neoplatonismo, ma vi sono anche influssi del sotterraneo Cristianesimo, o del primo cristianesimo liberato, accettato ed istituzionalizzato dall’Imperatore Costantino con il famoso editto di Milano del 313 d.C. Infatti il poeta chiama Padre (Pater) il dio onnipotente, che era nell’uso del linguaggio cristiano.
Ecco il testo del secondo carme.
Dio onnipotente
Onnipotente, a cui l’antico cielo del mondo guarda,
unico sempre sotto mille nomi, eppure irraggiungibile
per numero ed età, con quale degno nome, se ce n’è uno
che ti è gradito e a noi ignoto. Invoco il nome per cui
l’immensa terra trema e gli astri fermano le loro orbite.
Tu solo, tu molteplice, tu primo ed ultimo,
mediano e dopo il mondo, termine infinito delle epoche fugaci.
Altissimo, tu osservi dal principio il vortice dei duri fati umani,
le nostre vite travolte dal tempo,
per poi tornare alle sfere superiori, perché ritorni
nel mondo e rientri nel fluire temporale
quando osservi ciò che esso ha perduto.
Tu, se pure ti è concesso rivolgere la tua mente
sul tuo volto per scrutarlo, ti accorgi
dove racchiudi gli astri immensi e cingi
il vasto etere; tu forse sotto figura vorticosa
di fulminee membra, sei, vagamente,
un bagliore di fuoco, un igneo raggio
con cui abbagli tutto e tutto vedi
e oscuri il nostro sole e il nostro giorno.
Tu sei l’intera stirpe degli dei, la causa e la forza
delle cose e tutta la natura, dio solo incalcolabile.
Tu pieno di ogni sesso, per te un tempo nacque
questo dio, questo mondo, questa sede di uomini e dei,
o tu Lucente, augusta stella e fresco fiore.
Ti prego, sii benigno, e dammi di conoscere perché
fu creato il mondo, e come nacque e come venne fatto;
dammi di sapere le cause eccelse, o padre, e con che leggi
un giorno sospendesti al cielo il peso dei mondi,
e le particole con cui tessesti l’anima armoniche
e dissimili, e qual è il principio vitale delle stelle.
Questi due carmi mi sembrano due pezzi unici, molto belli e compatti, perfetti e completi, che portano molto in alto la bellezza e la perfezione della poesia latina.
MODICA, 26/11/2024
PROF. BIAGIO CARRUBBA
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