
La “Consolatio Philosophiae” è stata l’ultima grande opera filosofica della cultura latina, scritta in latino, da Severino Boezio (n. 475-480 d.C., m. 524 d.C.).
In questa opera poetica-filosofica Boezio espone ed esprime tutto il suo pensiero filosofico e riesce a sintetizzare le tre grandi filosofie a lui antecedenti: la filosofia greca, la filosofia romana e la filosofia cristiana. Boezio parte dalla sua condizione di prigioniero, ingiustamente accusato dall’Imperatore Teodorico e tradotto nel carcere di Pavia, dove scrive per l’appunto “La consolazione della filosofia”. Per questo motivo, Boezio fa parte di tutti i filosofi uccisi dal potere politico: a cominciare da Socrate, Seneca e tanti altri fino a lui. Gli viene in soccorso la Filosofia che lo aiuta a superare l’ingiusta condanna a morte. Alla fine dell’opera, Boezio, in qualche modo, riesce a razionalizzare e ad integrare le tre filosofie precedenti e dà l’avvio alla filosofia medievale. L’opera filosofica comincia con una bella poesia nella quale il filosofo espone la sua triste condizione di prigioniero condannato a morte e si lamenta della sua mesta condizione. Quest’opera è, anche importante, perché è alla base di un’altra importante opera elegiaca scritta dal poeta Massimiano a lui contemporaneo, o di poco posteriore.
Testo della poesia che fa da introduzione a La consolazione della filosofia.
Io che un tempo, con giovanile entusiasmo,
composi canzoni, sono stato costretto, ahimè,
a intonare in pianto tristi nenie.
Ecco: le Muse, lacere, mi suggeriscono le cose
da scrivere e i versi elegiaci mi fanno scorrere
calde lacrime sul volto.
Ma le Muse, almeno, da nessun timore
si lasciarono distogliere dal seguirmi,
fedeli compagne, nel mio cammino.
Esse che furono un tempo gloria dei miei verdi anni
fortunati, alleviano ora le mie disgrazie
di vecchio infelice.
Improvvisa, infatti, incalzata dai mali, è giunta
la vecchiezza, e la sofferenza ha voluto
che iniziasse la sua stagione.
Anzitempo si spande sul mio capo la canizie
e tremola sul corpo esausto flaccida la pelle.
Oh! felice la morte per gli uomini, quando
nei dolci anni non li coglie, ma
ai doloranti giunge, sovente invocata.
Ma ahimè, quanto essa con sordo orecchio
trascura i miseri e impietosa ricusa
di chiudere gli occhi piangenti!
Mentre con beni fugaci mi allettava l’infida fortuna,
già un destino doloroso si preparava
a sommergere la mia vita;
ed ora che esso, rabbuiatosi, ha mostrato
il suo volto fallace, si prolunga con ingrati
indugi la vita vuota di speranze.
Perché, o amici, tante volte esaltaste la mia felicità?
Chi è caduto, non sapeva costui
ben reggersi sui suoi passi.
Bella la poesia latina, bella anche la filosofia latina.

Modica 07/ 05/ 2016 Prof. Biagio Carrubba
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