IO E LA MIA ANIMA
I
Ora che sono in procinto di riporre la mia anima alla morte
mi accorgo di quanto il mio corpo sia invaso da una molteplicità
di attacchi di malesseri e di malanni che stanno distruggendo
il mio già debole, precario e fragile stato di salute, cagionevole,
psicosomatico e la corporatura fisica che, con il tempo,
è divenuta obesa, lenta, imponente e anche panciuta.
Ora che mi accingo a porgere il mio spirito alla fredda terra
mi tornano in mente i pensieri più reconditi e più nascosti,
che non ho mai rivelato a nessuno per paura o per pudore.
Ora che sono prossimo a consegnarmi alla mera materia
sono pronto a confessare, a manifestare e ad esplicitare
tutti i miei handicap che ho celato agli altri, da sempre.
Ripenso ai miei handicap che mi hanno tormentato
e afflitto, purtroppo, dalla mia fanciullezza fino ad oggi:
dalla dislessia al ritardo cognitivo, dal lento e ritardato
apprendimento al poco sviluppo razionale, logico,
mnemonico e linguistico, dalla incapacità di parlare,
annaspicando e incespicando, e di formulare nuove
idee e nuovi concetti ragionativi, all’handicap fisico,
vitale, intimo e nascosto agli altri. Questi sono solo
alcuni degli handicap che, da sempre, ho camuffato
agli altri per fare credere che io fossi una persona
normale, sana, normodotata e integra. Ora che sono
arrivato al termine della mia seria vita, posso dire,
con intima gioia e con sobria soddisfazione, che sono
riuscito nel mio proponimento e intento, cioè quello
di non farli vedere e comprendere agli estranei e ai
colleghi di lavoro, i quali non si sono mai accorti di
nulla e mai hanno notato i miei handicap dissimulati:
fisici, psichici, logici, linguistici e di apprendimento.
II
Ho preso coscienza di queste mie gravi difficoltà
logico e linguistiche già alla scuola elementare.
Un aneddoto distinto che mi ricordo ancora oggi,
con nettezza e con nitidezza, è il seguente.
Un falegname vicino di casa, che aveva intuito
il mio ritardo lessicale, per mettermi alla prova,
davanti a mio padre, mi invitò a leggere il nome
della traversa: VIA CALATAFIMI, che faceva
angolo con la sua anonima falegnameria di Scicli.
Io, avendo intuito il suo scopo malizioso e greve,
lessi il nome della traversa con calma, piano piano,
con attenzione e con chiarezza in modo corretto,
cosicché il falegname rimase interdetto e incerto
sulle mie reali capacità logiche, lessicali e mentali.
Da questo fatto in poi, insieme alle difficoltà,
psicolinguistiche che manifestavo in classe,
rispetto agli altri alunni, cominciai a prendere
coscienza delle mie difficoltà logico-linguistiche,
che da allora in poi ho cercato di dissimulare
agli altri, a volte riuscendoci, e altre volte meno.
Comunque questi ritardi lessicali e questi handicap
c’erano e sono diventati, nel corso degli anni,
un vero e pesante fardello di cui, soltanto ora,
da pensionato, me ne sono liberato, non dovendo
dare conto di niente a nessuno, se non a me stesso,
e accettandomi per quello che sono stato e sono.
Anche le classi della scuola media statale furono,
per me, anni tristi e pieni di difficoltà per il lento
sviluppo psicosomatico e per il ritardato sviluppo
psicosociale, interpersonale e interazionale.
III
In prima media fui bocciato sia per i vari voti
insufficienti e sia per immaturità (così disse
un prof. a mio padre). Nacque così in me,
il complesso di inferiorità perché mi sentivo
inferiore ai miei compagni di classe, dato che
li vedevo e li percepivo a me superiori in tutte
le discipline scolastiche, specialmente nelle
materie tecnico-scientifiche e in matematica.
La scuola media fu, per me, quindi, un periodo
buio e terrificante, anche, per le difficoltà ad
esprimermi con parole adeguate, per il ritardo
linguistico, per l’apprendimento concettuale e
mnemonico che incontrai nei 4 anni di scuola.
L’adolescenza fu, per me, una età di sviluppo e
di formazione difficile, complessa e ingarbugliata.
Con questa aura indistinta, sconvolta e confusa,
inconsapevole del mio presente, seguii la maggior
parte degli altri compagni di classe che si iscrissero
tutti quanti nell’unico liceo scientifico di Scicli.
Così anch’io mi iscrissi al liceo scientifico, ignaro
del mio presente e inconsapevole del mio futuro.
Avevo con me, soltanto, una personalità insicura,
incostante, volubile, mutevole, malleabile, variabile,
flessibile e debole, ma aperta ad acquisire le nuove
conoscenze, tramite lo studio; ma possedevo, anche,
la forte consapevolezza di apprendere, con la mia
buona volontà, la nuova e maggiore cultura che
il liceo scientifico mi offriva. Ero sostenuto, anche,
fin da allora, da una inconscia sinderesi che
con il tempo si è rafforzata e rivelata ed io ho
imparato a usarla con intelligenza fino ad oggi.
Proprio al primo anno del liceo, per fortuna,
incontrai un giovane modicano, laureando
in filosofia, G. Blanco, che abitava, allora
a Scicli, il quale mi aiutò a studiare il latino
e così superai i primi anni del liceo scientifico.
Da allora in poi ho sempre studiato con piacere,
con impegno e dedizione, da solo, fino alla tesi
di laurea in Filosofia, discussa e conseguita
a Catania nel novembre del 1979, con ottimi
voti, con orgoglio e con mia somma felicità.
IV
Ora che sono vicino a deporre il mio corpo al nulla,
guardo, con sgomento, il mio corpo divenuto obeso,
grasso, menomato e invecchiato drasticamente,
dopo l’infausta e invalidante trombosi che mi
ha colpito sei mesi fa e che, ancora oggi, limita,
gravemente, le mie posture e i miei movimenti,
e condiziona, fortemente, i miei passi e la mia
andatura, arrancante e annaspante. Per tutta
la mia vita, adulta, ho sempre avuto malesseri
e handicap che hanno sempre condizionato
e limitato la mia vita fisica, quotidiana,
passionale, amorosa, sociale e personale.
A questi handicap, in questi ultimi anni, devo
anche aggiungere le difficoltà del mio stomaco
che ha dato e continua a darmi problemi di lenta
e cattiva digestione, dovuti ad una ereditaria e rara
malformazione all’intestino. In tutti questi anni
ho visto e notato le diverse reazioni delle persone,
specialmente delle varie donne con cui ho avuto
a che fare, che hanno reagito in modo differente:
alcune hanno accettato, con simpatia, la mia persona,
mentre altre donne l’hanno rifiutata o criticata
con sdegno e ostilità. Inoltre so che molta altra
gente sta peggio di me, o per malattie più gravi
delle mie o perché colpita da morte improvvisa,
atroce e assolutamente imprevista, come è successo,
qualche settimana fa, alla mia carissima amica
Carmela G., alla quale è venuta a mancare, purtroppo,
l’amata e stimata figlia Valeria D., che io conobbi,
frequentai e con la quale giocai, quando lei era
ancora una ragazzina vivace, bella, gioiosa e graziosa.
Lei, insieme a suo fratello minore, frequentavano
la scuola elementare di Scicli di via san Nicolò.
V
Ora che la mia situazione affettiva e famigliare
è conclusa definitivamente voglio confessare e
ringraziare tutte le varie donne che ho incontrato,
con cui ho convissuto e che ho amato nel corso
della mia vita. Per prima voglio menzionare, lodare e
ringraziare il mio primo grande amore, Carmela. G.,
che ho conosciuto e frequentato alla fine dell’Università.
Questa giovane donna, separata e madre di due figli,
mi ha voluto veramente bene, mi ha confortato,
aiutato e sostenuto, sia durante il servizio militare
a Cagliari, nel 1980; sia aiutandomi a studiare le materie
per conseguire ed ottenere il mio diploma, come
insegnante di sostegno per alunni diversamente abili.
Diploma che mi ha permesso di inserirmi nel mondo
del lavoro, per la prima volta, a Milano, in una scuola
media statale. Dopo voglio ringraziare Margherita C.,
la mia prima moglie, la quale mi ha consentito, con
la sua compagnia, di avere l’unico figlio, Leonardo,
e di togliermi dalla mesta e povera solitudine di Scicli.
Dopo voglio ringraziare Maria I. di Modica che,
con il suo comportamento affettuoso, premuroso
e amoroso, mi ha permesso di uscire dalla triste e acre
solitudine di Ragusa. Infine devo, assolutamente,
ringraziare, apprezzare ed elogiare la mia attuale
seconda moglie che, veramente, mi ha aiutato,
assistito, accudito e amato, con tanto leale amore,
con tanti sacrifici e dedizione, fino a tutto oggi.
Ora che sono arrivato alla fine della mia modesta vita
voglio ringraziare, anche, la morte, che mi libererà
da tutti i malanni, dai dolori, dalle difficoltà lessicali,
dai ritardi psicolinguistici, dalle carenze logiche e
fisiche, e dagli handicap che la vita mi ha donato,
elargito, cosparso con fiori e profuso a piene mani,
gratis.
VI
Ora che non mi aspetto più niente dalla vita,
so che, tra poco, mi attende la terribile e tetra nece.
L’unica cosa che spero, in questi giorni, è quella
di avere un buon presente e una florida salute.
Spero, anche, di partecipare a una buona ed efficace
democrazia e di assistere ad una politica italiana
onesta e proficua. Un’altra gioia che mi resta, oggi,
è quella della composizione di qualche componimento
poetico postcontemporaneo. Un altro desiderio,
che ho, è quello di arrivare a prendere, a settembre,
la prima rata della mia buonuscita, come insegnante,
di scuola secondaria di secondo grado, dopo
41 anni di insegnamento. Non ho conseguito niente
di importante nella mia vita, non sarò, certamente,
ricordato per il mio genio o per la mia vaglia, ma,
sicuramente, non ho mai fatto niente di male a nessuno,
né alle cose, né agli animali e né alla natura.
VII
Ora che reco a mente tutto il mio passato e
il mio presente non posso non ricordare tutte
le persone che mi hanno trattato e fatto del male, e
quelle che mi hanno aiutato e fatto del bene.
Tra le prime persone negative voglio menzionare
l’ultimo Preside, pessimo, strano, curioso, ostico,
feroce con i deboli e debole con i feroci, ostile,
ambiguo e bifronte, D.S., di un istituto statale
professionale di Modica, dove, io, B. C., ho
insegnato, con diletto e impegno, negli ultimi 20 anni.
Tra le seconde persone positive voglio ricordare
il mio angelo custode che mi ha aiutato e sostenuto
a completare gli ultimi faticosi anni scolastici e
di portare a termine l’ultimo irto anno scolastico,
appesantito e complicato dalla didattica a distanza.
Questo aiuto didattico on line dell’operoso Orazio C.
mi ha permesso di maturare la pensione di oggi.
VIII
Ora che devo restituire la mia anima alla natura,
ringrazio i miei genitori che mi hanno dato la vita,
la quale vita mi ha permesso di generare, a sua volta,
la vita a mio figlio Leonardo, al quale vorrei dirgli:
“Vorrei spiegarti, anche, che l’unico e vero padre
naturale sono stato io e non tuo nonno che, invece,
ti ha rovinato la vita, perché ti ha sottratto la tua
vera identità di figlio, generato da me, il tuo vero
e unico padre, che ti ho dato la vita. Tuo nonno,
invece, è stato un padre abusivo, putativo,
illegittimo e falso, perché ti ha fatto credere
di essere lui il tuo vero padre. Infatti tuo nonno
ti ha fatto crescere facendoti somigliare a sé
stesso, educandoti con le sue idee di fascista e
inculcandoti la sua ideologia fanatica di destra.
Tu vivi una vita che non è la tua, ma è la vita
brutta, infausta, terra terra e torbida di tuo nonno.
Io, B. C., giudico la sottrazione dei figli legittimi
ai veri padri naturali un atto innaturale e odioso,
così come ha fatto tuo nonno nei miei confronti
sottraendoti a me e togliendomi la gioia di padre e
la libertà di educarti come io avrei voluto per te.
Io ti avrei educato con le buone maniere della
democrazia e della libertà, ti avrei impartito
una buona, chiara e onesta ideologia di sinistra.
Comunque sia, ormai tutto è passato
e tu ormai sei grande e con la tua maturità puoi
giudicare il suo comportamento reo, lesivo
e ingannevole.” Infine spero di rivederti ancora
un’ultima volta, prima che io dia e riponga
la mia triste anima alla terra e alla nuda natura
di questo mondo.
IX
Ora che sono arrivati gli ultimi giorni della mia vita
sono sempre più certo che si muore da soli e non c’è
nessun Dio che ascolti la nostra e ultima preghiera
perché non esiste nessun Dio creatore dell’Universo.
C’è soltanto l’impassibile natura che accoglie e
sotterra nel suo ventre, dopo la morte, tutti gli
esseri viventi: oggetti, vegetali, animali e umani.
Infine io, B.C., voglio pronunziare le mie ultime
parole famose: “O umana gente rendete e riportate
alla natura la vostra anima, ancora più degna,
ancora più giusta, ancora più buona, ancora
più generosa e ancora più felice di come vi è
stata consegnata o prestata, o donata o
semplicemente perché è immanente alla vostra
mente sin dalla nascita della vostra vita terrena,
perché, dopo di questa vita terrena, secondo me,
non c’è più nessun altro viaggio, escatologico
e soteriologico, ultraterreno da percorrere,
illusorio e cristianamente inteso.”
X
Del resto, secondo me, è meglio così: perché
il corpo umano trasformandosi nella materia o
annullandosi nel nulla finisce di soffrire e penare
una volta per sempre; invece, credere e illudersi, che
l’anima vada a rivivere nell’inferno, come Dante
insegna nella Divina Commedia, quando descrive
le terribili pene delle anime discese nell’inferno,
significa non avere il senso naturale della realtà,
ma significa, anche, immaginare e fantasticare
un mondo ultraterreno che non esiste, inverosimile,
immaginifico, infernale, fantomatico, distopico,
(l’Inferno) e utopico (il Purgatorio e il Paradiso).
Anime condannate a una nuova vita evanescente
e senza fine che il sommo poeta definisce “ombre”.
Esse sono condannate ad avere un corpo aereo,
fittizio, e costrette a subire e a provare: pene, pianti,
tormenti, afflizioni, dolori, umiliazioni, derisioni e
degradazioni per l’eternità, così come Dante scrive,
con caratteri eterni e scultorei, nelle celebri terzine
scolpite sopra la nuda roccia della porta dell’inferno:
“PER ME SI VA NELLA CITTÀ DOLENTE,
PER ME SI VA NELL’ETTERNO DOLORE,
PER ME SI VA NELLA PERDUTA GENTE.
GIUSTIZIA MOSSE IL MIO ALTO FATTORE:
FECEMI LA DIVINA POTESTATE,
LA SOMMA SAPIENZA E ‘L PRIMO AMORE.
DINANZI A ME NON FUOR COSE CREATE
SE NON ETTERNE, ED IO ETTERNA DURO.
LASCIATE OGNI SPERANZA, VOI CH’ENTRATE.”
(Inferno, canto III, versi 1 – 9).
Io, B. C., tra il nulla eterno e le pene eterne
scelgo, sicuramente, il nulla eterno perché non
voglio mai finire tra i torturati, i maltrattati,
i derisi, i vilipesi, i bolliti e gli infelici viventi
di Dante, dannati in eterno.
Modica, 10 luglio 2021 Prof. Biagio Carrubba
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