IO E DANTE GUARDIAMO, CON MERAVIGLIA, LA NUOVA SCARPATA E UNA PROFONDA GOLA.

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PARAGRAFO N. 4

Io e Dante, appena scesi nell’ampia pianura brulla e secca del vestibolo, cioè l’antinferno semicircolare, dove arrivavano e sostavano tutte le anime, perse e dannate, prima di scendere l’ampia scalea che dal vestibolo portava giù nel primo cerchio, vedemmo migliaia di anime, perse e dannate, che si affollavano, si spingevano e si strattonavano fra di loro, per scendere, prima possibile, l’ampia scala che le portava nel primo cerchio. Appena scese nel primo cerchio c’era Minosse, all’ingresso dell’ampia scarpata, che si era formata a causa di un terremoto e che tagliava in due tutti i cerchi, i gironi e le bolge dell’Inferno. Le anime, perse e dannate, scendevano dal vestibolo nel primo cerchio tramite un’ampia scalea formata da tanti gradini, ampi e ripidi, e sembrava una scala sontuosa e regale, come la scala della Reggia di Caserta. Noi, io e Dante, vedemmo, anche, che tutte le anime, perse e dannate, tremavano davanti a Minosse perché erano ansiose di sapere subito quale fosse la pena che Minosse emetteva per loro; ed esse volevano sapere, anche, in quale baracca sarebbero andate a finire. Io e Dante vedevamo chiaramente, anche se dall’alto, che la scarpata rocciosa finiva con una calle profonda, semibuia e stretta che si apriva e si allargava nel cupo del lago ghiacciato di Cocito. Anche Dante ha descritto la volontà e il desiderio delle anime, perse e dannate, di attraversare velocemente il fiume Acheronte, così come la giustizia divina aveva stabilito affinché la loro paura si trasformasse nel desiderio delle anime, perse e dannate, fossero pronte e disposte a scendere giù nei gironi indicati e designati da Minosse. Ecco i versi di Dante:

<<Figliol mio>>, disse il maestro cortese,

<<quelli che muoion ne l’ira di Dio

tutti convegnon qui d’ogne paese;

e pronti sono a trapassar lo rio,

ché la divina giustizia li sprona,

sì che la tema si volve in disio.

(Inferno. Canto III. Versi 121 – 126).

Io e Dante, appena entrati nel primo cerchio, guardammo

giù e ci parve che l’imbuto, buio e infernale, fosse rimasto

tale e quale a quello visto e visitato dai due grandi pionieri

e poeti, molti secoli prima di me. Io B.C. e Dante, fummo

suggestionati e impressionati da questo spettacolare imbuto

abissale discendente a gironi rivolti in giù e disposti a preci-

pizio verso l’imbocco dell’imbuto. Ma ci accorgemmo, subito,

anche, che all’inizio del primo cerchio si era creata una grande

scarpata che, con pareti verticali e ripidi, tagliava a metà

tutti i cerchi rocciosi che scendevano a chiocciola verso giù.

All’inizio della scarpata si era formata una grande strada

che tagliava tutti i cerchi, i gironi e le bolge con due pareti

rocciose parallele e perpendicolari all’ampia scarpata che

terminava con una calle, stretta e semibuia, che finiva sui

gradoni ampi e declinanti che immettevano sul lago ghiac-

ciato di Cocito. Dante mi spiegò che nell’Inferno erano fre-

quenti grandi terremoti che smuovevano e lesionavano le

rocce dei gironi, creando, così, larghe e alte spaccature e

profonde gole. A queste parole di Dante, io, B. C., pensai,

nella mia mente, senza riferirlo a Dante, questo pensiero:

<<Ecco la grande e vera novità dell’Inferno. Non c’è

più bisogno di scendere giù per i gironi dell’Inferno,

così come avevano fatto Dante e Virgilio. Ora davan-

ti a noi si stagliava una scarpata trasversale che ci

faceva da scorciatoia e ci portava direttamente e

rapidamente sulla distesa ghiacciata del lago di

Cocito>>. Poi sognai. E sognai la stessa strada che

sognava Gesualdo Bufalino quando, ogni notte,

faceva lo stesso sogno. Ecco l’incipit del suo capo-

lavoro letterario:

“O quando tutte le notti – per pigrizia, per avarizia – ritornavo a sognare lo stesso sogno: una strada color cenere, piatta che scorre con andamento di fiume tra due muri più alti della statura di un uomo; poi si rompe, strapiomba sul vuoto.” (Da Diceria dell’untore. Incipit del I capitoletto. Pag. 7).

Infine, io, B. C., nel dormiveglia del sogno mi dissi:

<<Si! La Divina Commedia altro non è che un sogno

ininterrotto che culmina in un’estasi spirituale, fat-

ta da Dante, che da uomo in carne e ossa, viene

trasformato, per volontà divina, in un’anima pura,

purificata e contemplativa della luce divina, capace

e meritevole di guardare Dio in faccia. Si! Dante

Alighieri, nel suo sogno, ha subito la trasformazione

e la trasfigurazione da uomo in carne e ossa ad anima

candida e purificata. Questa purificazione è stata

voluta e ordinata da Dio in persona, dato che tutto

ciò, che avviene sulla Terra, è prestabilito ed attuato

attraverso la Sua Divina Provvidenza, che regola,

controlla e segue tutte le vicissitudini degli uomini,

dalla loro nascita alla loro morte. Ciò avviene, anche,

nell’Inferno, per ordine e volontà di Dio, attraverso

la Sua Divina Provvidenza>>. Poi, però, quando mi

svegliai dal dormiveglia, ripensai a questa genesi

della Divina Commedia, come se fosse un’opera

poetica infusa da Dio nella mente di Dante.

Subito dopo, quando ripensai a questa genesi divi-

na, capii subito che era una ipotesi sbagliata e

quindi, nella mia mente, la ritrattai. E io, B. C.,

confuterò questa ipotesi sbagliata, della scienza

infusa da Dio nella mente di Dante, nella quinta                

tesi del paragrafo numero 12 alla pagina 27.

MODICA 19 MARZO 2022

PROF. BIAGIO CARRUBBA

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