IO, BIAGIO CARRUBBA, INCONTRO L’INSIGNE POETA DANTE ALIGHIERI.

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PARAGRAFO N. 1

“Facile è la discesa all’Averno:

giorno e notte è aperta la porta del nero Dite;

ma tornare sui propri passi per uscire all’aria aperta,

questa è l’impresa, questa la fatica”

Virgilio. Eneide. Canto VI. Versi 126 – 130.

Alla fine della mia vita, leggendo e ripensando a tutti i canti

dell’Inferno della Commedia, tanto suggestiva, seducente,

allettante, ma accidentata nella lettura, io, B. C., mi sprofon-

dai tanto in essi, che incominciai a immaginare, inventare,

fantasticare, – la commedia è una fiction – di trovarmi laggiù,

in un bosco fitto di alberi alti e frondosi, con chiome larghe e

verdi. Erano circa le ore 12:00 di venerdì del 15 ottobre 2021.

Il sole riscaldava, rapidamente, la selva oscura, per la qual cosa,

io B. C., provai ansia sia per la mia solitudine e sia perché non

capivo e non sapevo dove mi trovassi. Percorsi un bel tratto

di sentiero, quando, all’improvviso, mi ritrovai davanti alla

porta dell’Inferno spalancata, che mi invitava ad entrare giù

per la diritta discesa che portava nei cerchi concentrici infer-

nali. Osservai la porta dell’Inferno e capii che era una grande

porta che fendeva e penetrava le ripide pareti di roccia alle

pendici di un colle la cui porta, alta e larga, traforava la crosta

terrestre e la discesa della quale conduceva al primo cerchio,

ampio e brullo, ovvero il vestibolo dell’anti Inferno. Arrivai

davanti alla porta, alta e larga; alzai gli occhi e vidi una

scritta incisa sopra la porta dell’Inferno; lessi le prime

parole e riconobbi subito le immortali terzine di Dante

Alighieri. Pensai che mi sarebbe piaciuto conoscere, in

primis, chi fossero le ultime e nuove anime dannate che

vi erano entrate e discese negli ultimi secoli, dopo quelli

già conosciute e visitate da Dante, ancora in vita, famoso

poeta fiorentino, fattosi accompagnare dal poeta latino

Virgilio. In secundis, io, B. C., ero anche curioso di vedere

e di osservare da vicino i famosi cerchi, i gironi e le bolge,

così come erano state viste e descritte, con grande esattez-

za, da Dante nell’Inferno della sua Divina Commedia.

In tertiis, il mio desiderio riguardava le conoscenze sul siste-

ma di comunicazione fra i diavoli cornuti e Satana e come

venivano gestiti tutti i gironi e le bolge e come i diavoli ap-

plicavano la legge del contrappasso, differenziata in base

alla pena ideata e descritta con cura da Dante. Mi guardai

attorno, ma non vidi nessuno; eppure, avevo bisogno di

qualcuno che già c’era stato e che mi conducesse dentro

l’Inferno, che conoscesse i cerchi, i gironi e le bolge, e che

riconoscesse i diavoli e i mostri infernali che avevano ge-

stito, avevano dominato e avevano tenuto a bada le anime,

perse e dannate dell’Inferno. Dunque considerata la mia

semenza umana e per non vivere come un bruto, ma per

seguire la mia virtù e la mia conoscenza, mi guardai, atten-

tamente intorno alla selva. All’improvviso, vidi, per mia

deliberata scelta, per la mia coscienza, per la mia scienza

e per mia volontà, Dante Alighieri in persona, fiero, super-

bo, imponente, che mostrava, nei suoi atteggiamenti e

movimenti, una buona e nobile presunzione, e mostrava,

anche, negli occhi, vividi e lucidi, una vivida memoria e una

arguta e perspicace intelligenza. Dante, appena mi vide, si

presentò a me, vestito con il suo tradizionale lucco e mi

disse, con un tono persuasivo e soave, queste parole di

chiara e netta identificazione:

<<Non omo, omo già fui,

e li parenti miei furono toscani,

fiorentini per patria ambedui>>

(Dante. Inferno. Canto I. Versi 67 – 69)

Io, B. C., subito gli risposi che avevo la sincera e concreta

intenzione di scendere laggiù in fondo ai gironi dell’Inferno

per conoscere, visitare e vedere le ultime anime, perse e

dannate, per l’eternità. A questa mia proposta, Dante,

con fare gentile e premuroso, mi fece capire di assecon-

dare il mio intendimento e mi disse, con parole, chiare e

nette, che era pronto e disponibile ad accompagnarmi

fin laggiù nel fondo all’imbuto infernale e di accompa-

gnarmi nel cupo del lago ghiacciato di Cocito e portar-

mi, anche, davanti alla testa, alla corporatura gigante-

sca e alla faccia di Lucifero.

Io, B. Carrubba., lo guardai stupefatto, stupito e sbalordito, perché non mi sarei mai aspettato di trovare Dante, vivo e sollecito, lì, in persona, disponibile a ridiscendere con me facendomi da guida e da scorta. Mi disse che era pronto e disponibile a farmi da guida e da psicopompo, sostituendo e prendendo, così, il posto di Virgilio, che gli aveva fatto da guida razionale e da scorta esploratrice. Dante mi disse, anche, che, dopo la sua morte naturale, e, dopo il suo ritorno sulla Terra, e, dopo la composizione della Commedia, e, dopo aver riferito agli uomini il messaggio principale del suo viaggio ultraterreno, la sua anima era rimasta sulla Terra perché era morta con il suo corpo. Dante, poi aggiunse che, però, il suo spirito di poeta e di profeta era sopravvissuto alla sua morte, perché la trasformazione della sua anima in spirito eletto è un privilegio che spetta soltanto agli uomini magni che si rivelano proficui, positivi, costruttivi, inventivi, scienziati e poeti che fanno bene all’umanità e la fanno progredire. Infatti, il suo spirito poetico e profetico, dopo 700 anni dal suo primo viaggio nei tre regni ultraterreni, mi disse che, grazie al mio invito, al suo spirito gli si presentava, così, la possibilità di ritornare nell’Inferno e poter, quindi, ritrovare e rivedere i cerchi, i gironi e le bolge infernali e le novità che nel frattempo erano subentrate nell’Inferno che aveva visto e lasciato 700 anni prima. Lo spirito di Dante, inoltre, mi disse che era molto contento di rifare il viaggio insieme a me perché ora non aveva più il fardello dei suoi peccati di allora, anzi vi tornava libero e puro da ogni preoccupazione fisica e metafisica. Infine, Dante mi disse che questo secondo viaggio nell’Inferno costituiva per lui l’occasione buona per affermare e manifestare tutte le verità nuove che lui aveva acquisito e maturato in questi 700 anni che lo separavano dal suo viaggio nei tre regni ultraterreni e dalla sua morte naturale. Dante mi espose, dunque, le seguenti verità, fondamentali ed elementari Watson. La prima verità era, secondo lui, quella di asserire che Dio non esiste e che non è mai esistito. La seconda verità era quella di non amare più Beatrice come donna angelo, ma semmai di averla come buona amica. La terza verità era quella di non credere più a tutti i santi del Paradiso perché dopo la morte naturale di ogni uomo e donna non c’è più niente da vedere e non c’è nessun viaggio ultraterreno da fare, perché l’anima muore con il corpo. La quarta verità, mi disse Dante, era quella che anche la sua anima era morta; ma poi, Dante, aggiunse, anche, che ora parlava come uno spirito immortale di poeta. La quinta verità è, secondo Dante, quella di vivere nel modo più onesto e retto possibile, di vivere bene e meglio ogni momento della giornata secondo il consiglio del carpe diem del poeta latino Orazio Flacco e secondo il monito del doman non c’è certezza del poeta e politico fiorentino Lorenzo il Magnifico. Lo SPIRITO IMMORTALE e POETICO di Dante concluse il suo discorso con questi bellissimi versi di Vincenzo Monti:

Il tempo edace,

fatal nemico, colla man rugosa,

ti combatte, ti vince e ti disface.

Io, B. C., mi mostrai, subito, accondiscendente, ossequioso e ubbidiente, come Dante lo fu nei confronti del poeta Virgilio. Quindi abbassai il viso in atto di riverenza e di rispetto verso il grande e insigne poeta Dante che aveva composto l’immortale e ponderosa opera della Commedia. Poi lo ringraziai, facendogli un bel e festoso inchino. Così, io e Dante, decisi e convinti, entrammo, insieme, attraverso la porta dell’Inferno, sulla quale, ancora, c’erano scritte e scolpite le famose terzine che Dante aveva letto e scritte più di 700 anni fa.

Ecco i versi didascalici, puri e duri, dell’Inferno.

Ecco i versi del marchio di fabbrica dell’Inferno.

Ecco i versi, che rappresentano lo stemma infernale

di Lucifero, incise e intagliate nella roccia sopra la porta.

Ecco i versi che raffigurano, certamente, l’impronta

originaria, peculiare e fondamentale dell’Inferno.

Ecco i versi che rappresentano, sicuramente, il vestigio

intagliato, scolpito e lasciato, volutamente, da Dio.

Ecco i versi che Dio ha imprentato, ab eterno, e che

preannunciano, avvertono e sentenziano, definitiva-

mente, l’infelicità eterna per le anime dannate, che

vi entrano. Nell’Inferno si entra con tanta facilità, ma,

coloro che vi entrano, una volta entrati, per una legge

ab aeterno, non possono più uscirne.

“PER ME SI VA NE LA CITTA’ DOLENTE,

PER ME SI VA NE L’ETTERNO DOLORE,

PER ME SI VA TRA LA PERDUTA GENTE.

GIUSTIZIA MOSSE IL MIO ALTO FATTORE;

FECEMI LA DIVINA PODESTATE,

LA SOMMA SAPIENZA E ‘L PRIMO AMORE.

DINANZI A ME NON FUOR COSE CREATE

SE NON ETTERNE, E IO ETTERNO DURO.

LASCIATE OGNE SPERANZA, VOI CH’INTRATE.”

(Inferno. Canto III. Versi 1 – 9).

MODICA 19 MARZO 2022

PROF. BIAGIO CARRUBBA

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