INTRODUZIONE ALL’OPERA POETICA ERATO E APOLLION DI S. QUASIMODO.

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INTRODUZIONE ALL’OPERA POETICA
ERATO E APOLLION DI S. QUASIMODO.

Quasimodo pubblicò la terza opera poetica ERATO E APOLLION nel 1936 con una importante e chiarificante introduzione del poeta e critico letterario Sergio Solmi. L’opera comprendeva anche poesie già scritte nei volumi precedenti. Le poesie continuavano sia i contenuti sia la forma, i temi e lo stile di OBOE SOMMERSO. Le poche poesie nuove sono dedicate alle due figure del titolo: Erato e Apollion. Erato era una delle nove muse protettrice della poesia amorosa e Apollion era una divinità medioevale che proteggeva il ciclo naturale della terra, la riproduzione dei terreni e la distruzione dei campi. Le prime tre poesie sono dedicate alle due divinità. La prima poesia è SILLABE A ERATO, la seconda poesia è CANTO DI APOLLION e la terza poesie è APOLLION. Dopo di esse, seguono le poesie che esprimono temi precedenti. Le poesie tendono a costruire immagini e situazioni dell’io del poeta che ritorna nella sua terra d’origine e cerca la sua amata scomparsa. La tecnica della scrittura è quella dell’ermetismo fondata sulla poetica della parola essenziale, pura, indeterminata, e sulla composizione di immagini che il poeta riesce a far vedere e a costruire come immagini sospese, tra la vita e la morte, tra la luce e il buio, tra la realtà e il sogno, tra il presente e il passato, tra l’indefinito e l’indeterminato, tra il passato e il presente e tra il presente e l’eterno.
1) Le poesie, che rimpiangono l’infanzia e la Sicilia, sono: L’ANAPO; INSONNIA; IN LUCE DI CIELI; LATOMIE.
2) Le poesie, che descrivono il pessimismo della vita presente e l’ambiente naturale, sono: AIRONE MORTO; SUL COLLE DELLE “TERRE BIANCHE”; AL TUO LUME NAUFRAGO; SOVENTE UNA RIVIERA; ISOLA DI ULISSE; SALINA D’INVERNO; SARDEGNA; DEL MIO ODORE DI UOMO; NEL GIUSTO TEMPO UMANO; CITTÀ STRANIERA; NEL SENSO DI MORTE.
3) Le poesie, che si rivolgono a Dio, sono: L’ANAPO; AL TUO LUME NAUFRAGO; DEL PECCATORE DI MITI.
Nella prima poesia, SILLABE A ERATO, Quasimodo riprende il tema della poesia riferendolo ad Erato che la descrive come una statua “ferma in posa dolce di sonno” e che rappresenta “serenità di morte estrema gioia”. Il poeta si rivolge a lei con il cuore in solitudine. Ecco l’incipit della prima strofa: “A te piega il cuore in solitudine, / esilio d’oscuro sensi/ in cui trasmuta ed ama / ciò che parve nostro ieri, / e ora è sepolto nella notte.”
Nella seconda poesia, CANTO DI APOLLION, Quasimodo riprende un canto dedicato alla sua amata “terrena notte”. Apollion scende sulla terra e vede morire la sua donna amata: “Poi il cielo portò foglie / sul suo corpo immoto: / salirono cupe le acque nei mari. / Mio amore, io qui mi dolgo / senza amore, solo”.
Nella terza poesia, APOLLION, il Poeta, invecchiato e smemorato, si rivolge ad Apollion: “Le mie mani ti porgo/ dalle piaghe scordate, / amato distruttore”.
Nella quarta poesia, L’ANAPO, il poeta ritorna nel passato della Sicilia e ricorda il fiume Anapo e dipinge un tempo, sospeso tra il passato e il presente, tra la morte e la vita e tra la realtà e il sogno. Ecco il finale della poesia: “In fresco oblio disceso / nel buio d’erbe giace: / l’amata è un’ombra e origlia / nella sua costola. Mansueti animali, / le pupille d’aria, / devono in sogno”.
Nella settima poesia, AL TUO LUME NAUFRAGO, il poeta si sente solo e si rivolge al Signore che lo conosce perché “Tu m’hai guardato dentro, / nell’oscurità delle viscere:/ nessuno ha la mia disperazione / nel suo cuore. / Sono un uomo solo, / un solo inferno”.
Nell’ottava poesia, INSONNIA, il poeta descrive un ambiente esterno sospeso tra finito ed infinito, tra presente e futuro immobile, un ambiente terrestre e celeste, dove il poeta dorme da anni e anni. Questa poesia si avvicina molto al bellissimo quadro Salvador Dalì “Gli orologi molli” del 1931.
Nella tredicesima poesia, IN LUCE DI CIELI, il poeta esprime sé stesso e ripensa la sua donna amata. È una poesia che, per certe espressioni, ritornerà nella sua ultima opera poetica. Nella seconda strofa scrive: “Cara giovinezza; è tardi. / Ma posso amare tutto della terra / in luce di cieli in tenebra di vento; / e, su ogni parvenza, la donna / che mi venne non è gran tempo, / al cui riso mi specchio, che amore chiamava, sua verde salute”.
Nella sedicesima poesia, NEL GIUSTO TEMPO UMANO, il poeta ricorda la sua giovane amata con nostalgia e con rimpianto. È una poesia che, secondo me, si avvicina e richiama molto la poesia “A Silvia” del Leopardi sia per il tema che per la forma, anche se il finale è ottimista mentre la poesia di Leopardi ha un finale tragico e pessimistico.

Ecco il testo della poesia.

Nel Giusto tempo umano

Giace nel vento di profonda luce,
l’amata del tempo delle colombe.
Di me di acque di foglie.
sola fra i vivi, o diletta,
ragioni; e la nuda notte
la tua voce consola
di lucenti ardori e letizie.

Ci deluse bellezza, e il dileguare
d’ogni forma e memoria,
il labile moto svelato agli affetti
a specchio degli interni fulgori.

Ma dal profondo tuo sangue,
nel giusto tempo umano,
rinasceremo senza dolore.

Nell’ultima poesia, DEL PECCATORE DEI MITI, il poeta si rivolge all’Eterno, il quale deve ricordarsi del Peccatori dei miti e deve ricordare la sua innocenza e le sue stimmate funeste. Ecco la strofetta finale: “Ha il tuo segno di bene e di male, / e immagini ove si duole / la patria della terra”.

Finale.

Anche questa opera poetica è prettamente ermetica e fu difesa, energicamente, dal grande critico letterario Carlo Bo nello scritto “Otto studi” del 1939.

 

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Modica 27/ 08/ 2018                                                                                      Prof. Biagio Carrubba

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