
Introduzione alla poesia “Un’altra risorta” di Guido Gozzano.
La poesia “Un’altra risorta” è il numero 19 dell’opera poetica “I Colloqui”. Questa poesia fu pubblicata da Gozzano sulla “Rivista Ligure” nel febbraio 1910 con il titolo “Novembre” e con la data: Torino, novembre 1909, dove però mancavano i versi dal 19 al 30, che furono aggiunti nella pubblicazione per il libro “I colloqui” nel febbraio del 1911. Questa aggiunta è contemporanea alla stesura di “Totò Merùmeni” poesia che riprende e riafferma tutti i concetti e i sentimenti già espressi in Un’altra risorta cosicché essa vuole costituire il testamento umano e culturale dell’uomo e del poeta Gozzano e chiude “I Colloqui”. Per questo motivo i due testi poetici si possono chiamare poesie gemelle. La figura femminile della poesia è sicuramente Amalia Guglielminetti, la sua ex passione amorosa, ormai già diventata amica stimata ed amata, come si ricava dalle lettere tra i due poeti. La poesia riprende a sua volta l’atteggiamento di Amalia già delineato nella precedente poesia “Una risorta”.
Testo della poesia “Un’altra risorta”.
Solo, errando così come chi erra
Senza meta, un po’ triste, a passi stanchi,
udivo un passo frettoloso ai fianchi;
poi l’ombra apparve, e la conobbi in terra…
Tremante a guisa d’uomo ch’aspetta guerra,
mi volsi e vidi i suoi capelli: bianchi.
Ma fu l’incontro mesto, e non amaro.
Proseguimmo tra l’oro delle acacie
del Valentino, camminando a paro.
Ella parlava, tenera, loquace,
del passato, di sé, della sua pace,
del futuro, di me, del giorno chiaro.
“ Che bel Novembre! È come una menzogna
primaverile! E lei, compagno inerte,
se ne va solo per le vie deserte,
col trasognato viso di chi sogna…
Fare bisogna. Vivere bisogna
la bella vita dalle mille offerte”.
“Le mille offerte…Oh! vana fantasia!
Solo in disparte dalla molta gente,
ritrovo i sogni e le mie fedi spente,
solo in disparte l’anima s’oblia…
Vivo in campagna, con una prozia,
la madre inferma ed uno zio demente.
Sono felice. La mia vita è tanto
pari al mio sogno: il sogno che non varia:
vivere in una villa solitaria,
senza passato più, senza rimpianto:
appartenersi, meditare. Canto
l’esilio e la rinuncia volontaria”.
“Ah! Lasci la rinuncia che non dico,
lasci l’esilio a me, lasci l’oblio
a me che rassegnata già m’avvio
prigioniera del Tempo, del nemico…
Dove lei sale c’è la luce, amico!
Dove scendo c’è l’ombra, amico mio…”.
Ed era lei che mi parlava, quella
che risorgeva dal passato eterno
sulle tepide soglie dell’inverno? …
La quarantina la faceva bella,
diversamente bella: una sorella
buona, dall’occhio tenero materno.
Tacevo, preso dalla grazia immensa
di quel profilo forte che m’adesca;
tra il cupo argento della chioma densa
ella appariva una deità settecentesca…
“ Amico neghittoso” a che mai pensa?”.
“Penso al Petrarca che raggiunto fu
per via, da Laura, com’io son da Lei…
Sorrise, rise discoprendo i bei
denti…” Che Laura in fior di gioventù! …
Irriverente! Pensi invece ai miei
capelli grigi… Non mi tingo più”.
Parafrasi della poesia.
Vagando solo così come chi erra
senza meta, un po’ triste, a passi lenti,
udivo un passo frettoloso ai lati;
poi l’ombra apparve e la riconobbi.
Attento come chi è pronto a far guerra
mi volsi e vidi i suoi capelli bianchi.
L’incontro fu triste ma non litigioso.
Proseguimmo tra le foglie delle acacie
del Valentino, camminando a lato.
Lei, tenera e loquace, parlava
del passato, di sé, della sua pace,
del futuro, di me, del giorno chiaro.
(Amalia dice al poeta:)
“ Che bel novembre: è come una menzogna
primaverile! E lei, compagno inerte,
se ne va solo per le strade deserte,
con il viso trasognato di chi sogna…
Bisogna fare, agire. Bisogna vivere
la bella vita dalle mille offerte”.
(Il poeta risponde ad Amalia:)
“Le mille offerte… Oh! Vana fantasia!
Io ritrovo solo e in disparte
i sogni e le mie fedi spente,
solo e appartato l’anima dimentica…
Vivo in campagna, con una prozia,
la madre inferma ed uno zio demente.
Sono felice. La mia vita è così
simile al mio sogno; il sogno che non cambia:
vivere in una villa solitaria,
senza più passato, senza rimpianti:
appartenersi, meditare…Canto
l’esilio e la rinuncia volontaria”.
(Amalia risponde al poeta:)
“Ah! Lasci la rinuncia che non dico,
scegli l’esilio a me, preferisci l’oblio
a me, che rassegnata già m’avvio
prigioniera del tempo, della vecchiaia…
Dove Lei (la vecchiaia) sale c’è la luce, amico!
Dove io scendo c’è l’ombra, amico mio!”.
Ed era lei che mi parlava, quella
che risorgeva dal passato lontano,
sulle soglie tiepide dell’inverno? …
La quarantina la faceva bella,
nuovamente bella: una sorella
buona, dall’occhio tenero materno.
Io tacevo, poiché ero preso dalla sua grazia
da quel profilo forte che mi seduceva;
ella appariva giovane e fresca
tra il grigio-argento dei capelli folti
come una deità settecentesca…
Amalia dice: “Amico inoperoso,
a che cosa sta pensando?”.
(Il poeta risponde:)
“Penso al Petrarca che fu raggiunto
per via da Laura, come io son raggiunto da lei”.
Amalia sorrise, rise discoprendo i bei
denti…e risponde: “Che Laura giovane, in fior di gioventù!
Irrispettoso! …Pensi invece ai miei
capelli grigi che non tingo più”.
Il tema della poesia.
Il tema della poesia è certamente la ricerca della felicità tra i due protagonisti della poesia, ognuno dei quali sceglie strade diverse e completamente opposte. Il poeta sceglie la vita della solitudine e dello studio, rinunciando ad inserirsi nella vita attiva della società borghese, mentre Amalia sceglie la vita del bel mondo sociale che le offre mille offerte ed opportunità che lei vuole godersi in pieno. Il poeta sceglie la vita dello studioso, nella quale legge, studia, ozia filosofando, mentre Amalia opta per una vita concreta, prativa, attiva, operosa, corporale, gaudente, per provare tutte le gioie che la bella vita dalle mille offerte le offre per soddisfare quei desideri che ancora non ha realizzato e vivere “ancora sogno una aurora/ che gli occhi miei non videro” (vv. 41-42 della poesia “Una risorta”). Il poeta sceglie una vita da cenobita, come colui che vive solo per sé stesso per meditare lontano dalla gente, in silenzio e lontano dai frastuoni e dalla guerra economica all’opposto di chi è costretto a vivere nella società borghese. Il poeta può permettersi il ritiro nella sua villa solitaria perché è proprietario di essa e perché la rendita economica di poeta glielo permette, mentre chi non è poeta per natura deve provvedere con le altre capacità, mentali e fisiche. Il poeta dice di essere felice perché la sua vita è tanto simile al suo sogno e riconferma questa sua scelta anche nella poesia “Totò Merùmeni” che così termina: “Così Totò Merùmeni, dopo tristi vicende, / quasi è felice. Alterna l’indagine e la rima. / Chiuso in sé stesso, medita, s’accresce, esplora, intende/ la vita dello Spirito che non intese prima. / Perché la voce è poca e l’arte prediletta/ immensa, perché il tempo – mentre ch’io parlo! – va, / Totò opera in disparte, sorride, e meglio aspetta. / E vive. Un giorno è nato. Un giorno morirà” (vv. 53-60). Ma il poeta viene subito ripreso da Amalia, la quale lo rimbrotta perché gli dice che con quella rinuncia lui perde molte cose belle, in primo luogo l’amore di lei, e poi la scelta di una vita solitaria e romita che lo fa diventare un uomo morto al mondo. Dopo l’ultima domanda di Amalia: “Amico neghittoso a che mai pensa?” (vv. 48), il poeta ha ancora un ultimo sussulto di orgoglio e le dice che lui vive di un amore poetico, paragonandosi al Petrarca giovane, raggiunto da Laura, così come lui è stato raggiunto dall’amore di Amalia. Ma Amalia lo riprende ancora una volta dicendogli che anziché pensare a Laura sarebbe meglio pensare alla vita che passa inesorabilmente e a lei che sta terribilmente ed inevitabilmente invecchiando e per constatare questo non deve fare altro che guardare i capelli grigi che non tinge più. Ecco dunque il tema della poesia: tis àristos bios cioè quale è la forma migliore di vita per essere felici. Io, Biagio Carrubba, penso che entrambi i protagonisti abbiano ragione: la vita del poeta è bella perché la vita contemplativa e meditativa riempie l’anima di conoscenze e di una felicità spirituale a cui è impossibile rinunciare; invece, la vita di Amalia è bella perché la vita attiva e sessualmente appagante riempie il corpo e i sensi di una felicità appercettiva a cui è impossibile rinunciare, cosicché la miglior vita (tis àristos bios) è quella che unifica, sintetizza, fonde e realizza la vita meditativa e la vita attiva e sessuale, prendendo il meglio delle due vite e lasciando le manchevolezze di esse. Non è possibile scegliere tra ragione e sentimento: sono necessari entrambi. La vita bella è sintesi di ragione, sentimenti e sesso. Oggi io non potrei vivere più senza la vita meditativa e senza le poesie, ma non potrei vivere nemmeno senza l’amore affettivo e senza il sesso poiché la vita senza di essi diventa davvero povera, deprivata e deprimente tanto che sarebbe molto difficile vivere. Come si suole dire, vivere la magnifica vita d’amore e di poesia.
Sintesi della poesia: inizio, sviluppo e conclusione della poesia.
La poesia riporta il dialogo e descrive l’incontro, un po’ inaspettato, tra il poeta ed Amalia Guglielminetti, sua amica amata e sua ex amante, forse dopo un burrascoso litigio. La poesia inizia con la prima scena nella quale il poeta vaga, tutto da solo, per le vie di Torino, senza meta e un po’ triste, quando all’improvviso sente un passo frettoloso che lo affianca. Guarda l’ombra e la riconosce. Si volge e vede i suoi capelli bianchi. I due si mettono a parlare tra gli alberi del Valentino, camminando a paro. Lei parla continuamente di sé, del passato, di lui, del futuro, quando ad un certo momento lo apostrofa dicendogli: “E lei, compagno inerte, / se ne va solo per le vie deserte, / col trasognato viso di chi sogna…/ fare bisogna, vivere bisogna, la bella vita dalle mille offerte” (vv. 14 – 19). Il poeta è toccato in prima persona da questo rimprovero e risponde dicendole che lui è felice perché conduce la vita che ha sempre sognato di fare e cioè: “vivere in una villa solitaria, / senza passato più, senza rimpianto:/ appartenersi, meditare… Canto / l’esilio e la rinuncia volontaria” (vv. 27 – 30). Amalia subito gli risponde che lui lascia il suo amore, preferisce una vita solitaria e sarà dimenticato da tutti, mentre lei si avvia alla maturità, un’età piena di ombre. Il poeta ora l’ascolta, la guarda affascinato dalla bellezza matura di lei, che diventava sempre più amica buona, quasi una sorella dall’occhio tenero materno. Il poeta tace affascinato dalla grazia di lei che gli appariva giovane e fresca; all’ultima domanda di Amalia su che cosa stesse pensando, il poeta le risponde che stava pensando a Laura, che aveva fatto innamorare il Petrarca giovane, così come Amalia aveva fatto innamorare lui giovane. Amalia allora accorgendosi che il poeta era tutto preso dalla sua vita di poeta e cioè fuori dalla vita reale e fuori dal tempo lo rimprovera un’altra volta cercando di riportarlo alla triste realtà di lei che stava invecchiando e alla velocità del tempo che passa cosicché il poeta non gode le cose belle della vita e, un pò risentita e infastidita, così gli risponde: “Che Laura in fior di gioventù! Irriverente…Pensi invece ai miei capelli grigi … Non mi tingo più” (vv. 52 – 54).
Il messaggio della poesia.
Il messaggio della poesia è chiaro, semplice e proferito con voce alta, forte e quasi stizzito, da Amalia, quando dice: “Fare bisogna. Vivere bisogna/ la bella vita dalle mille offerte”. Bellissimi versi che riprendono in termini moderni e con parole nuove i celebri versi del “Carpe Diem” di Orazio Flacco. A questo messaggio antico il poeta vuole aggiungere però il suo pensiero personale: è necessario meditare, appartenersi, vivere in disparte dalla molta gente e chiuso in sé stesso, meditare, intendere la vita dello spirito, perché “ars longa, vita brevis”, perché il tempo vola. Ma la meditazione non basta; è necessario non vivere solo di poesia e di amori letterari perché il tempo, trascorrendo veloce, travolge ogni amore, trasforma e distrugge ogni cosa, imbianca i capelli e fa invecchiare e fa appassire la bellezza delle donne. Su questo argomento non posso non riportare il bellissimo sonetto che Gozzano aveva scritto e pubblicato sulla rivista “Il Piemonte” il 24 dicembre 1904. Esso è il terzo sonetto di quattro dal titolo “Domani”.
per l’amico Silla Martini de Valle Aperta.
Perché morire? La città risplende
in novembre di faci lusinghiere;
e molli chiome avrem per origliere,
bendati gli occhi dalle dolci bende.
Dopo la tregua è dolce risapere
coppe obliate e trepide vicende-
bendati gli occhi dalle dolci bende –
novellamente intessere al Piacere.
Ma pur cantando il canto di Mimnermo
sento che morta è l’Ellade serena
in questo giorno triste ed autunnale.
E l’anima trema nell’enigma eterno;
fratello, soffro la tua stessa pena:
attendo un’Alba e non so dirti quale.
La tesi della poesia.
La tesi della poesia è senz’altro il contrasto tra la bella vita dalle mille offerte e la considerazione e la riflessione che il poeta ne fa subito dopo: “Le mille offerte…Oh! Vana fantasia” (v. 19). Dunque Gozzano non crede alla vita attiva e pratica di tutti giorni e non crede che la gente possa offrire mille occasioni di piaceri. Egli invece si ritira nella sua campagna a fare una vita da cenobita. Egli canta il suo esilio in una villa solitaria lontano dalla molta gente, perché non riesce a lavorare come fanno tutti gli altri e perché si vuol tenere lontano dalla società borghese così dipinta nella bella poesia “Pioggia d’agosto”: “Lotte brutali d’appetiti avversi / dove l’anima putre e non s’appaga…” (vv. 25 – 26) e molto più diffusamente descritta nelle 31ª, 32ª, 33ª, 34ª strofe del poemetto “La signorina Felicita ovvero la Felicità”. Ma è Amalia che gli ricorda cosa perde ritirandosi nella sua villa: per prima cosa il piacere dell’amore di lei e poi la sua scelta di ritirarsi nella sua villa avrà la conseguenza di farlo dimenticato nel tempo dagli altri che sì, possono portare guai e danni, ma possono portare anche amore e felicità. Lo scontro tra le due Weltanschauung non potrebbe essere più inconciliabile e infatti non vi fu più conciliazione, tra i due protagonisti della poesia, sia nella poesia sia nella vita reale.
Contesto sociale, culturale, filosofico e letterario della poesia.
La poesia fa parecchi riferimenti sociali: Torino, dove c’è il “parco del Valentino”, e poi la sua villa. La poesia inoltre richiama il clima del 1910 e parla di un tiepido novembre tanto che sembra un mese primaverile. Il contesto culturale si riferisce alla cultura del poeta, a quella del primo decennio del XX secolo e alla Weltanschauung di Amalia che prenderà una strada diversa da quella del poeta. Il contesto filosofico è quello tre due visioni di vita opposte: quella del poeta dedita all’estetismo nemesi del grande D’annunzio come conferma nella poesia “Totò Merùmeni” quando scrive: “Totò non può sentire. Un lento male indomo/ inaridì le fonti prime del sentimento; / l’analisi e il sofisma fecero di quest’uomo / ciò che le fiamme fanno d’un edificio al vento” (vv. 45 – 48); la visione di vita di Amalia Guglielminetti, invece, si avvicina al futurismo di Filippo Tommaso Marinetti. Il contesto letterario è notevole perché parecchi sono i riferimenti letterari: prima di tutto l’inizio della poesia è una palese reminiscenza di due sonetti petrarcheschi; poi c’è il riferimento a D’Annunzio e infine uno a Pascoli. La poesia termina con un diretto riferimento alla vita del Petrarca che amò la bella Laura, la quale però non ricambio l’amore del poeta il quale se ne dolse per tutta la vita e ne cantò l’amaro innamoramento nel famoso “Canzoniere”; invece Gozzano amò Amalia e per un breve periodo fu ricambiato fino a che la malattia lo allontanò da lei come dice Marziano Guglielminetti: “Tanto più che la Guglielminetti, stando alle lettere scambiatesi tra di loro, incarnava nei suoi versi e nel suo modo di fare quel tipo preraffaellita di vergine da profanare tanto caro al D’Annunzio prima delle Laude. Ecco perché fu questa donna a diventare, d’ora in poi, l’ispiratrice pressoché unica della poesia di Gozzano: perché portava su di sé, vivente, le stigmate preziose e venerabili della letteratura, allo stesso titolo che le portava, già nel nome goethiano, la fittizia Carlotta dell’amica di nonna Speranza” (dall’introduzione Guido Gozzano – Tutte le poesie – Edizione I Meridiani – Arnoldo Mondadori Editore – Pag. XX).
Modica 22/ 01/ 2019 Prof. Biagio Carrubba
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