
Introduzione alla poesia “IL PENSIERO DOMINANTE”
(Canto XXVI) di G. Leopardi.
Nel 1830 il Leopardi ritornò a Firenze, dove conobbe la giovane e bella signora Fanny Ronchivecchi, sposata al medico Antonio Targioni Tozzetti. Il poeta frequentò la casa della bella signora e se ne innamorò, ma non rivelò mai il suo amore per la giovane donna, anche perché lei sembrava innamorata di Antonio Ranieri. Nacque, così, un gioco delle parti nel quale il Leopardi ebbe la peggio, perché dovette fare buon viso a cattivo gioco. Dopo un anno di questa passione travolgente, ma tutta interiore e silenziosa, Leopardi maturò, nell’ ambiente fiorentino, le poesie dedicate a Fanny Targioni Tozzetti e scrisse la prima poesia del ciclo di Aspasia, ispirata e suscitata dalla passione amorosa per la bella e gaudente signora. L’ultima poesia del ciclo è “Aspasia”, scritta a Napoli nel 1834 o 1835, che chiuderà il ciclo delle poesie amorose, nelle quale il poeta riverserà e sublimerà la sua passione amorosa e tutti i suoi sentimenti ed emozioni, che saranno gli ultimi vivi e fervidi prima dell’ultimo isolamento napoletano. A Napoli, Leopardi maturerà le ultime grandi liriche ispirate dalla natura, dalle nuove ideologie politiche, ma prive del sentimento dell’amore, nato dalla frequentazione con la bella signora fiorentina Fanny. L’amore fu l’argomento della prima poesia del ciclo di Aspasia, amore che Leopardi tanto sognò ma non ebbe mai la gioia di realizzare e vivere, e dovette subirlo, soffrirlo e patirlo guardandolo, soltanto, attraverso il suo tenero ed intimo amico Antonio Ranieri. Il canto fu composto, probabilmente, nella primavera del 1831 a Firenze, dove il poeta rimase fino al 1833. La canzone è composta da 14 strofe per un totale di 147 versi con un vario gioco di rime e assonanze.
TESTO DELLA POESIA “IL PENSIERO DOMINANTE”.
Dolcissimo, possente
dominator di mia profonda mente;
terribile, ma caro
dono del ciel; consorte
ai lúgubri miei giorni,
pensier che innanzi a me sì spesso torni.
Di tua natura arcana
chi non favella? Il suo poter fra noi
chi non sentì? Pur sempre
che in dir gli effetti suoi
le umane lingue il sentir proprio sprona,
par novo ad ascoltar ciò ch’ei ragiona.
Come solinga è fatta
la mente mia d’allora
che tu quivi prendesti a far dimora!
Ratto d’intorno intorno al par del lampo
gli altri pensieri miei
tutti si dileguàr. Siccome torre
in solitario campo,
tu stai solo, gigante, in mezzo a lei.
Che divenute son, fuor di te solo,
tutte l’opre terrene,
tutta intera la vita al guardo mio!
Che intollerabil noia
gli ozi, i commerci usati,
e di vano piacer la vana spene,
allato a quella gioia,
gioia celeste che da te mi viene!
Come da’ nudi sassi
dello scabro Appennino
a un campo verde che lontan sorrida
volge gli occhi bramoso il pellegrino;
tal io dal secco ed aspro
mondano conversar vogliosamente,
quasi in lieto giardino, a te ritorno,
e ristora i miei sensi il tuo soggiorno.
Quasi incredibil parmi
che la vita infelice e il mondo sciocco
già per gran tempo assai
senza te sopportai;
quasi intender non posso
come d’altri desiri,
fuor ch’a te somiglianti, altri sospiri.
Giammai d’allor che in pria
questa vita che sia per prova intesi,
timor di morte non mi strinse il petto.
Oggi mi pare un gioco
quella che il mondo inetto,
talor lodando, ognora abborre e trema,
necessitade estrema;
e se periglio appar, con un sorriso
le sue minacce a contemplar m’affiso.
Sempre i codardi, e l’alme
ingenerose, abbiette
ebbi in dispregio. Or punge ogni atto indegno
subito i sensi miei;
move l’alma ogni esempio
dell’umana viltà subito a sdegno.
Di questa età superba,
che di vote speranze si nutrica,
vaga di ciance, e di virtù nemica;
stolta, che l’util chiede,
e inutile la vita
quindi più sempre divenir non vede;
maggior mi sento. A scherno
ho gli umani giudizi; e il vario volgo
a’ bei pensieri infesto,
e degno tuo disprezzator, calpesto.
A quello onde tu movi,
quale affetto non cede?
anzi qual altro affetto
se non quell’uno intra i mortali ha sede?
Avarizia, superbia, odio, disdegno,
studio d’onor, di regno,
che sono altro che voglie
al paragon di lui? Solo un affetto
vive tra noi: quest’uno,
prepotente signore,
dieder l’eterne leggi all’uman core.
Pregio non ha, non ha ragion la vita
se non per lui, per lui ch’all’uomo è tutto;
sola discolpa al fato,
che noi mortali in terra
pose a tanto patir senz’altro frutto;
solo per cui talvolta,
non alla gente stolta, al cor non vile
la vita della morte è più gentile.
Per còr le gioie tue, dolce pensiero,
provar gli umani affanni,
e sostener molt’anni
questa vita mortal, fu non indegno;
ed ancor tornerei,
così qual son de’ nostri mali esperto,
verso un tal segno a incominciare il corso:
che tra le sabbie e tra il vipereo morso,
giammai finor sì stanco
per lo mortal deserto
non venni a te, che queste nostre pene
vincer non mi paresse un tanto bene.
Che mondo mai, che nova
immensità, che paradiso è quello
là dove spesso il tuo stupendo incanto
parmi innalzar! dov’io,
sott’altra luce che l’usata errando,
il mio terreno stato
e tutto quanto il ver pongo in obblio!
Tali son, credo, i sogni
degl’immortali. Ahi finalmente un sogno
in molta parte onde s’abbella il vero
sei tu, dolce pensiero;
sogno e palese error. Ma di natura,
infra i leggiadri errori,
divina sei; perchè sì viva e forte,
che incontro al ver tenacemente dura,
e spesso al ver s’adegua,
nè si dilegua pria, che in grembo a morte.
E tu per certo, o mio pensier, tu solo
vitale ai giorni miei,
cagion diletta d’infiniti affanni,
meco sarai per morte a un tempo spento:
ch’a vivi segni dentro l’alma io sento
che in perpetuo signor dato mi sei.
Altri gentili inganni
soleami il vero aspetto
più sempre infievolir. Quanto più torno
a riveder colei
della qual teco ragionando io vivo,
cresce quel gran diletto,
cresce quel gran delirio, ond’io respiro.
Angelica beltade!
Parmi ogni più bel volto, ovunque io miro,
quasi una finta imago
il tuo volto imitar. Tu sola fonte
d’ogni altra leggiadria,
sola vera beltà parmi che sia.
Da che ti vidi pria,
di qual mia seria cura ultimo obbietto
non fosti tu? quanto del giorno è scorso,
ch’io di te non pensassi? ai sogni miei
la tua sovrana imago
quante volte mancò? Bella qual sogno,
angelica sembianza,
nella terrena stanza,
nell’alte vie dell’universo intero,
che chiedo io mai, che spero
altro che gli occhi tuoi veder più vago?
altro più dolce aver che il tuo pensiero?
2
Parafrasi e costruzione diretta della poesia “IL PENSIERO DOMINANTE”.
Pensiero dolcissimo, possente,
dominatore della mia mente;
terribile, ma dolce
dono del cielo;
compagno dei miei tristi giorni,
pensiero, che torni così spesso
nella mia mente.
Chi non parla della
tua misteriosa natura?
Chi non sentì il suo potere?
Eppure ogni volta che il sentimento amoroso
si fa sentire stimola la lingua
a parlare e sembra nuovo
per chi ascolta ciò che esso dice.
La mia mente si è fatta vuota
da quando tu (pensiero di Fanny) domini e stai da solo
in mezzo ad essa. Gli altri pensieri
si dileguarono tutti di un tratto.
E tu sei rimasto solo, gigante,
in mezzo ad essa, come una torre
in un solitario terreno.
Le mie azioni giornaliere,
la mia vita intera
sono diventate poco o niente
alla mia vista, ad eccezione di te.
Gli svaghi, le compagnie e
la vana speranza di un remoto piacere
sono diventati niente in confronto
della gioia che mi viene da te.
Come il viandante che viaggia
nel roccioso Appennino, sorride
alla vista di un campo verde,
così io, dopo una conversazione salottiera,
ritorno a te con desiderio, o mio pensiero
dominante, come se tu fossi un giardino verde
e la tua presenza rinforza i miei sentimenti.
Mi sembra quasi incredibile
che io sia riuscito a sopportare,
per un tempo così lungo,
la mia vita infelice e la gente sciocca.
Mi sembra quasi incredibile
che altri possano avere
altri desideri che non somiglino a te.
Da quando per la prima volta
compresi, per esperienza diretta,
che cosa è la vita,
la paura della morte non
mi stringe il petto.
Oggi la morte, che la gente
talora loda, ma sempre aborre e teme,
mi pare un gioco;
e se un pericolo appare
mi fermo a contemplare
le sue minacce con un sorriso.
Ho sempre avuto in gran dispregio
le persone volgari e abbiette.
Ora ogni atto indegno mi ferisce l’anima e
ogni azione di inciviltà mi smuove
subito l’anima a sdegno.
Io sono più grande
di questa società superba,
che si nutre di chiacchiere ed
è nemica delle virtù;
è stupida perché insegue l’utile,
e per questo non vede che la vita
diventa sempre più inutile.
Ho in grande scherno i pregiudizi umani,
e calpesto il vario volgo, ostile
ai bei pensieri e tuo disprezzatore.
Quale sentimento è uguale al sentimento
amoroso, dal quale tu, o pensiero mio, discendi?
Anzi quale altro sentimento dovrebbe vivere
e dominare tra i mortali?
L’avidità, la superbia, l’odio, il disprezzo,
la ricerca di onore, la ricerca di potere
che cosa sono, rispetto a te, se non altro che
voglie e bassi appetiti?
Solo il sentimento dell’amore,
che le eterne leggi della natura
hanno dato agli uomini,
dovrebbe vivere tra di noi.
La vita non ha valore, non ha senso
se non per te, o pensiero d’amore,
dato che tu sei tutto per gli uomini.
Tu sei stato la sola discolpa al fato,
che pose gli uomini in terra
a soffrire senza una ricompensa;
tu sei il solo sentimento
grazie al quale solo agli uomini
puri e non vili, la vita è più bella della morte.
Vivere, per cogliere le tue gioie,
o pensiero amoroso, non è cosa indegna,
anche se bisogna provare gli umani affanni,
anche se bisogna sopportare
per molti anni la vita mortale;
anche io ritornerei di nuovo a vivere,
benché sono esperto dei mali terreni,
per raggiungere le gioie dell’amore:
sebbene vivo tra l’aridità della vita e tra i morsi delle vipere,
non sono arrivato fin a oggi tanto disperato
da non credere che il tuo bene non
potesse vincere le pene degli uomini.
Che mondo meraviglioso,
che straordinaria immensità,
che paradiso è quello là,
dove spesso il tuo stupendo incanto
mi pare che mi innalzi!
Dove io (nel pensiero dominante),
abbandonando il modo di vedere consueto,
vedo sotto una luce diversa il mio stato terreno,
e dimentico la dolorosa verità dell’esistenza!
Questi sono, credo, i sogni degli immortali.
Ma in ultimo, tu, o pensiero amoroso,
sei un sogno con il quale la realtà si fa bella;
tu, o pensiero amoroso, sei un sogno e
una erronea illusione. Ma tu sei di natura divina
tra suadenti illusioni, perché è così viva e
forte e resiste alla realtà e spesso si
confonde con essa e non scompare che con la morte.
E tu, o pensiero mio,
che sei vitale ai miei giorni,
che sei motivo di gioia tra gli infiniti affanni,
morirai con me spento dalla morte:
perché io sento, da indizi chiari, che tu
sarai il mio signore per molti anni.
Il vero aspetto di altre donne
infievolisce le altre mie dolci
illusioni d’amore. Invece, quanto più ripenso a colei
della quale io ragiono con te, o pensiero mio,
tanto più cresce il mio gran diletto,
tanto più cresce il mio delirio, per il quale io respiro.
Angelica bellezza! (Fanny).
Mi sembra che ogni bel viso,
dovunque io guardi,
sia una finta immagine che
voglia imitare il tuo bel volto.
Tu, o angelica bellezza, sei la
sola fonte di ogni altra leggiadria,
e mi sembra che tu sia la sola vera bellezza.
Da quando ti vidi per la prima volta,
tu non sei diventata l’unico scopo
delle mie preoccupazioni?
Non c’è giorno del tempo trascorso,
che io non pensi a te?
Quante volte la tua sovrana immagine
venne meno ai miei sogni?
Angelica immagine,
bella come un sogno.
Sia che tu stia sulla terra,
o nelle alte vie dell’universo,
che spero altro più bello
se non di vedere i tuoi occhi?
Che spero altro di più dolce
che possedere il tuo pensiero?
Modica, 23 luglio 2018 Prof. Biagio Carrubba
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