Introduzione alla poesia “AMORE E MORTE” (Canto XXVII) di G. Leopardi.

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Introduzione alla poesia “AMORE E MORTE”
(Canto XXVII) di G. Leopardi.

“Amore e morte” fu scritta dal Leopardi nel 1832 a Firenze, mentre frequentava la signora Fanny Ronchivecchi Targioni Tozzetti; la poesia fa dunque parte del ciclo delle poesie che il poeta scrisse preso dall’accesa passione amorosa per Fanny Targioni Tozzetti. Le prime quattro poesie furono scritte a Firenze nel vivo dell’infatuazione amorosa e sono: “Il pensiero dominante”, “Amore e Morte” “Consalvo”, “A sé stesso”. La poesia “Aspasia”, la quinta, fu l’ultima poesia del “Ciclo Aspasia” dedicato alla signora Fanny Targioni e fu scritta a Napoli, quando ormai il travaglio amoroso era passato, ma restava nel cuore del poeta la delusione per il mancato amore che ancor di più accentuò il suo pessimismo verso la natura e verso gli uomini. “Amore e morte”, la seconda poesia del ciclo, rappresenta il momento più intenso e drammatico della passione amorosa di Leopardi. L’argomento di “Amore e morte” è accennato in una lettera del 16 agosto 1833 a Fanny Targioni Tozzetti dove il poeta scrive: “l’amore e la morte sono le sole cose belle che ha il mondo, e le solissime degne di essere desiderate”. In “Amore e Morte” il poeta celebra le due grandi leggi che dominano gli uomini; il poeta considera la morte non come la vede la gente comune, codarda e vile, bensì come una bellissima fanciulla nel seno della quale il poeta, solo, sereno e addormentato, spera di morire abbassando e abbandonando il capo. Il critico Italo De Feo, non ha apprezzato questa poesia e nel suo libro su Leopardi ne dà un giudizio negativo. Io, Biagio Carrubba, invece, giudico questa poesia molto bella, sia perché è piena di pathos esistenziale e sia per la drammaticità dei sentimenti espressi, oltre che per la lexis leopardiana che è sempre seducente, affascinante, inconfondibilmente tagliente. La canzone è composta da quattro strofe di varia lunghezza per un totale di 124 versi con rima libera.

Testo della poesia “AMORE E MORTE”.

Muor giovane colui ch’al cielo è caro
MENANDRO.

Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte
ingenerò la sorte.
Cose quaggiù sì belle
altre il mondo non ha, non han le stelle.
Nasce dall’uno il bene,
nasce il piacer maggiore
che per lo mar dell’essere si trova;
l’altra ogni gran dolore,
ogni gran male annulla.
Bellissima fanciulla,
dolce a veder, non quale
la si dipinge la codarda gente,
gode il fanciullo Amore
accompagnar sovente;
e sorvolano insiem la via mortale,
primi conforti d’ogni saggio core.
Nè cor fu mai più saggio
che percosso d’amor, nè mai più forte
sprezzò l’infausta vita,
nè per altro signore
come per questo a perigliar fu pronto:
ch’ove tu porgi aita,
Amor, nasce il coraggio,
o si ridesta; e sapiente in opre,
non in pensiero invan, siccome suole,
divien l’umana prole.

Quando novellamente
nasce nel cor profondo
un amoroso affetto,
languido e stanco insiem con esso in petto
un desiderio di morir si sente:
come, non so: ma tale
d’amor vero e possente è il primo effetto.
Forse gli occhi spaura
allor questo deserto: a se la terra
forse il mortale inabitabil fatta
vede omai senza quella
nova, sola, infinita
felicità che il suo pensier figura:
ma per cagion di lei grave procella
presentendo in suo cor, brama quiete,
brama raccorsi in porto
dinanzi al fier disio,
che già, rugghiando, intorno intorno oscura.

Poi, quando tutto avvolge
la formidabil possa,
e fulmina nel cor l’invitta cura,
quante volte implorata
con desiderio intenso,
Morte, sei tu dall’affannoso amante!
quante la sera, e quante
abbandonando all’alba il corpo stanco,
se beato chiamò s’indi giammai
non rilevasse il fianco,
nè tornasse a veder l’amara luce!
E spesso al suon della funebre squilla,
al canto che conduce
la gente morta al sempiterno obblio,
con più sospiri ardenti
dall’imo petto invidiò colui
che tra gli spenti ad abitar sen giva.
Fin la negletta plebe,
l’uom della villa, ignaro
d’ogni virtù che da saper deriva,
fin la donzella timidetta e schiva,
che già di morte al nome
sentì rizzar le chiome,
osa alla tomba, alle funeree bende
fermar lo sguardo di costanza pieno,
osa ferro e veleno
meditar lungamente,
e nell’indotta mente
la gentilezza del morir comprende.
Tanto alla morte inclina
d’amor la disciplina. Anco sovente,
a tal venuto il gran travaglio interno
che sostener nol può forza mortale,
o cede il corpo frale
ai terribili moti, e in questa forma
pel fraterno poter Morte prevale;
o così sprona Amor là nel profondo,
che da se stessi il villanello ignaro,
la tenera donzella
con la man violenta
pongon le membra giovanili in terra.
Ride ai lor casi il mondo,
a cui pace e vecchiezza il ciel consenta.

Ai fervidi, ai felici,
agli animosi ingegni
l’uno o l’altro di voi conceda il fato,
dolci signori, amici
all’umana famiglia,
al cui poter nessun poter somiglia
nell’immenso universo, e non l’avanza,
se non quella del fato, altra possanza.
E tu, cui già dal cominciar degli anni
sempre onorata invoco,
bella Morte, pietosa
tu sola al mondo dei terreni affanni,
se celebrata mai
fosti da me, s’al tuo divino stato
l’onte del volgo ingrato
ricompensar tentai,
non tardar più, t’inchina
a disusati preghi,
chiudi alla luce omai
questi occhi tristi, o dell’età reina.
Me certo troverai, qual si sia l’ora
che tu le penne al mio pregar dispieghi,
erta la fronte, armato,
e renitente al fato,
la man che flagellando si colora
nel mio sangue innocente
non ricolmar di lode,
non benedir, com’usa
per antica viltà l’umana gente;
ogni vana speranza onde consola
se coi fanciulli il mondo,
ogni conforto stolto
gittar da me; null’altro in alcun tempo
sperar, se non te sola;
solo aspettar sereno
quel dì ch’io pieghi addormentato il volto
nel tuo virgineo seno.

2

Parafrasi e costruzione diretta della poesia “AMORE E MORTE”.

La sorte generò ad un tempo
l’Amore e la Morte.
La terra e le stelle
non hanno altre cose più belle.
Il bene nasce dall’Amore,
e anche il piacere maggiore,
che si trova nell’universo,
nasce dall’Amore.
La Morte annulla ogni male
e ogni dolore.
O Morte, tu sei una bellissima fanciulla,
sei bella a vedersi, e non sei brutta
come ti raffigura la gente.
Sovente (tu morte) accompagni
il fanciullo Amore,
e insieme andate volando
sopra la vita degli uomini.
Non vi è cuore umano, che colpito
dall’amore, non disprezzò la vita,
così come non vi fu cuore umano che
non fu disposto a lottare
per conquistare l’Amore; l’amore,
dove porge aiuto, fa nascere il coraggio,
tanto che gli uomini diventano
saggi nelle opere, e non nei pensieri
sterili, come suole avvenire.

Quando un nuovo profondo amore
nasce in un cuore, nasce anche
un desiderio di morire.
Non so il perché, ma il primo e potente
effetto dell’amore è tale.
Forse la terra deserta atterrisce
gli occhi del giovane amante,
al quale, se immagina la vita senza
l’amore, la terra appare inabitabile.
Allora dinanzi al tormentante desiderio,
che già tutt’intorno oscura ogni cosa,
(il giovane) desidera quiete
e un porto dove rifugiarsi.

Quando poi il tempestoso desiderio dell’amore
avvolge tutto e fulmina il cuore,
allora il giovane amante invoca la morte,
e una volta coricato non desidera più
alzarsi per non vedere l’amara luce.
E il giovane amatore sentendo il suono
del canto funebre invidiò la morte,
come colui che veniva portato al cimitero.
Anche il contadino, ignaro del piacere
che deriva dal sapere,
anche la giovane fanciulla, pudica e schiva,
che sente nominare la morte,
le si rizzano i capelli,
guarda attentamente la tomba,
medita di suicidarsi,
o con il ferro o con il veleno,
concepisce e matura nella sua mente
incolta la necessità della morte.
La scuola dell’amore conduce alla morte.
Quando il travaglio amoroso
è giunto a tal punto di sofferenza,
la volontà non riesce a contenerla,
e allora, o il corpo fragile cede
alle terribili sofferenze, oppure
l’Amore scava così in fondo
che la Morte prevale;
allora, sia il contadino innocente,
che la giovane donna con la mano
violenta, si danno la morte da sé stessi,
abbandonando i loro corpi a terra.
La gente, alla quale il destino possa
concedere pace e vecchiaia, ride
dei casi dei giovani suicidi.

Agli animi ardenti, ai felici,
il fato possa concedere,
o l’Amore o la Morte,
dolci signori, amici degli uomini,
il cui potere non assomiglia a
nessuna altra potenza e non è
superato da niente altro se non dal Fato.
E tu, o morte bella ed onorata, regina del tempo,
che io ti chiamo già fin dalla mia fanciullezza,
pietosa degli affanni umani,
dopo che io ti ho celebrata, e ho
cercato di compensarti degli insulti
che ti manda la gente ingrata,
esaudisci le mie preghiere e
chiudi questi miei occhi tristi.
Mi troverai di certo pronto qualsiasi
sia il momento che tu verrai da me,
mi troverai con la testa alzata, indomito,
e ribelle all’infelicità,
troverai me che non benedico
la mano del fato che si colora
del mio sangue innocente;
troverai me che non riempio di lodi
la morte come gli uomini usano fare
per antica consuetudine e viltà;
troverai me che getto via
ogni vana speranza con cui
gli uomini si consolano come i fanciulli;
troverai me che aspetto solo te;
troverai me che, solo e sereno,
aspetto quel giorno che, addormentato,
possa piegare il mio capo
sul tuo virgineo seno.

 

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Modica 23 luglio 2018                                                                               Prof. Biagio Carrubba

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