Continuo la mia analisi e la mia scelta degli epigrammi di Marcus Valerius Martialis e sono sempre più coinvolto e preso da essi sia emotivamente che culturalmente, perché la loro poesia e il loro fascino colmano e soddisfano il mio bisogno e il mio senso estetico. Non c’è alcun dubbio che questi epigrammi sono veramente eccellenti e brillanti per la loro originalità e per la creatività del poeta spagnolo. Marziale svolge, sviluppa e dà vita, nei suoi epigrammi, a tanti personaggi nuovi ed originali che sceglie, di volta in volta, dalla vita quotidiana della Roma del I secolo d.C.. Tra i tanti temi dispiegati e svolti da Marziale in tutta la sua opera alcuni spiccano per importanza e significato, ho selezionato il tema, centrale e qualificante, de “L‘amore coniugale, casto e fedele”. In questi epigrammi Marziale fa riferimento a coppie storiche come la famiglia di “Arria e Peto” e la famiglia di Porzia, figlia di Catone Uticense e sposa di M. Giunio Bruto (l’uccisore di Giulio Cesare). Inoltre Marziale inventa e descrive altre famiglie di Roma che lui conosce molto bene a causa del suo lavoro di cliente, cioè un uomo che si metteva sotto la protezione di un patrono ricevendo in cambio una sportula.
Marziale usa molte figure retoriche fra le quali spiccano per importanza l’ironia, il sarcasmo, l’invettiva e soprattutto fa uso della tecnica dell’Aprosdoketon e della pointe finale così bene analizzata e scoperta, per primo, dal poeta tedesco G.E. Lessing (1729-1781), il quale, individuò e spiegò, per la prima volta la tecnica usata dal poeta latino.
Lessing distinse negli epigrammi due parti: la creazione dell’attesa (l’Erwartung) e la conclusione che contiene la battuta finale (l’Aufschluss).
La bellezza di questi epigrammi è spiegata dallo stesso Marziale nel famoso epigramma numero 61 del sesto libro, dove lui scrive:
“Ciò che dona immortalità a uno scritto è qualcosa di più, che non si può spiegare: un libro, che è destinato a durare, deve avere del genio”. Marziale usa la parola genium nel doppio significato di: genio e ingegno; e, in effetti, secondo me, gli epigrammi di Marziale contengono sia il genio che l’ingegno, inteso come intelligenza creativa e creazione di nuove immagini, mentre il genio era, per i romani, lo spirito protettore che accompagnava ogni uomo dalla nascita alla morte. La parola genio (latino genius genii) ha la propria radice in gigno, genui propria del latino, che significa ‘generare’. Ritengo, quindi, che la gradevolezza e la piacevolezza di questi epigrammi derivino dall’ingegno di Marziale capace di celebrare ed onorare l’amore casto e fedele delle famiglie fra i suoi conoscenti, inventati e veri. Continuo, quindi, a consigliare la lettura di questi epigrammi perché li reputo, ancora una volta, appassionanti, emozionanti, brillanti e rasserenanti.
“La casta Arria, consegnando al suo Peto il pugnale,
che aveva estratto dalle sue viscere, disse:
<< La ferita che mi sono fatta non mi fa male,
credimi; ma la ferita che ti farai tu, quella,
oh Peto, mi fa male>>”.
Epigrammi, Liber Primus, epigr. 13.
“Oh Rufo, Claudia Peregrina va sposa al mio amico
Pudente: evviva le tue fiaccole, oh Imeneo.
Sempre il cinnamo si unisce bene al suo nardo
e il vino massico si unisce bene al miele attico;
gli olmi si uniscono meglio alle tenere viti;
il loto ama di più le acque, il mirto ama i lidi.
Oh candida Concordia, trattieniti sempre sul loro letto
e Venere sia sempre benigna con una coppia
così ben assortita: la sposa ami il marito
divenuto, un giorno, vecchio, ed ella stessa,
anche quando sarà vecchia non sembri tale al marito.”
Epigrammi, Liber Quartus, epigr. 13.
“Oh Nigrina, fortunata per il tuo carattere,
fortunata per il marito, che superi in gloria
tutte le spose latine, ti sei compiaciuta
di unire il tuo patrimonio a quello del marito,
felice di avere nello sposo un socio e un compagno.
Ammettiamo pure che Evadne si sia gettata
sul rogo del marito e sia morta bruciata;
(ammettiamo pure che) una fama non meno
splendida innalzi fino alle stelle Alcesti.
Il tuo gesto è più bello, perché con un atto concreto,
compiuto in vita, hai fatto sì che il tuo amore
non dovesse attendere la morte
per essere testimoniato.”
Epigrammi, Liber Quartus, epigr. 75.
“Venere felice portò in sposa Iantide
al poeta Stella e gli disse:
<< Non potevo darti di più>>.
Questo, in presenza della sposa;
ma nell’orecchio con più malizia
gli disse: << Bada a non tradirla,
oh Briccone. Spesso sono andata
in collera ed ho percosso il lascivo Marte,
perché prima delle nozze legittime era volubile.
Ma dacché è divenuto il mio amante,
non mi ha più tradita con nessun’altra.
Giunone vorrebbe avere un marito così fedele>>.
Così disse e gli batté il petto con la mistica cintura.
La botta gli fece bene; ma tu, oh dea, ora battili entrambi.”
Epigrammi, Liber Sextus, epigr. 21.
“Oh decoro di Cillene e del cielo, facondo araldo,
la cui aurea bacchetta verdeggia di un serpente
attorcigliato, possa non mancarti l’occasione
di un amore furtivo, sia che tu desideri la dea
di Pafo, sia che tu arda di amore per Ganimede.
Le idi materne siano adorne di sacre fronde
e il vecchio avo sia gravato da un peso leggero.
Norbana festeggi sempre in letizia insieme
allo sposo Carpo questo giorno, in cui essi
si unirono in matrimonio per la prima volta.
Carpo, pio pontefice, offre i suoi doni
alla saggezza e ti invoca con l’incenso,
fedele anche lui a Giove.”
Epigrammi, Liber Septimus, epigr. 74.
“Leggano Sulpicia tutte le giovani spose,
che desiderano piacere ad un solo uomo;
leggano Sulpicia tutti quei mariti,
che desiderano piacere a una sola donna.
(Sulpicia) non canta il furore di Medea,
non racconta il banchetto del feroce Tieste,
non crede che Scilla e Biblide siano esistite.
Insegna casti e onesti amori, giochi,
le delizie e gli scherzi. Se qualcuno avrà dato
un retto giudizio sui suoi carmi, dirà che
non c’è donna più smaliziata e più onesta di lei.
Penso che tali furono le tenerezza di Egeria,
nell’umido antro di Numa. Se tu, oh Saffo,
avessi avuto una tale condiscepola o maestra
saresti stata pudica e più dotta, e se
il duro Faone vi avesse visto insieme,
si sarebbe innamorato di Sulpicia.
Però invano: la fanciulla infatti,
se le fosse stato strappato il suo Caleno,
non vorrebbe vivere neppure come sposa
di Giove o di Bacco o di Apollo.”
Epigrammi, Liber Decimus, epigr. 35.
“Come sono stati dolci, oh Caleno, i quindici anni
di matrimonio, che hai vissuti con la tua Sulpicia,
a te concessi dagli déi benevoli!
Oh notti, oh ore tutte degne di essere segnate
con le preziose gemme del lido indiano!
Che assalti, che zuffe dall’una e dall’altra parte
videro il fortunato letto e la lucerna ebbra
dei profumi di Nicerote.
In questi tre lustri, tu, oh Caleno,
hai veramente vissuto: sono questi
gli anni che veramente ti appartengono.
Tu metti in conto solo i giorni che hai vissuti come sposo.
Se Atropo in seguito alle tue lunghe preghiere
ti restituisse anche un solo giorno di quelli
trascorsi con Sulpicia, tu lo preferiresti
a una vita lunga quattro volte quella di Nestore.”
Epigrammi, Liber Decimus, epigr. 38.
Avete letto, avete meditato sul tema dell’amore coniugale casto e fedele? Sono sicuro che ora siete più affettuosi, più fededegni, più costanti e più appassionati di prima.
Modica, 5 gennaio 2015
Biagio Carrubba
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