
PARAGRAFO N. 62
Dopo aver letto la stupenda e significativa lettera di Dante Alighieri, sulla sua palinodia, e, dopo aver meditato su di essa, io, B. C., decisi di scrivere e descrivere, a mia volta, un nuovo componimento poetico “A spasso per l’Inferno di Dante” che registrasse, riportasse e testimoniasse, nella mia realtà, il mio viaggio, virtuale e illusorio, accompagnato dallo stesso sommo poeta, compiuto nell’Inferno immaginario di Dante. Io B. C., nei primi giorni e nei primi mesi, dopo il ritorno dal viaggio, virtuale e illusorio, nell’Inferno di Dante, sentivo, nella mia anima, una grande soddisfazione e una somma lietezza e percepivo nel mio corpo una grande gioia e una grande euforia per la buona riuscita e fuoriuscita dall’Inferno di Dante. Dunque, io B. C., trascorsi i primi mesi di vita normale riprendendo tutte le attività quotidiane che svolgevo prima del viaggio, immaginario e illusorio, nell’Inferno di Dante. Ripresi a studiare regolarmente e, soprattutto, cominciai a comporre la mia composizione sul viaggio che avevo immaginato e compiuto virtualmente nella mia mente, insieme a Dante, a spasso nel suo Inferno. La composizione di questa mia opera poetica, mista tra poesia e prosa, mi aiutava a vivere e mi sosteneva a trascorrere tutti i giorni della mia vita con animo lieto ed entusiasta, perché mi sentivo motivato a comunicare agli altri la mia esperienza, immaginaria e fantastica, su tutto ciò che avevo visto, appreso, capito, visitato, elaborato e maturato, insieme all’insigne poeta che mi era stato accanto per tutto il viaggio. Ora sentivo, dentro di me, anche l’urgenza di riferire agli altri tutte le mie emozioni e i miei sentimenti che avevo provato nel viaggio, virtuale e immaginario, nell’Inferno di Dante. E sentivo il bisogno di rivivere queste emozioni, questi sentimenti e questi apprendimenti, prima nella mia coscienza, e poi di condividerle, nella realtà di tutti i giorni, con tutti gli altri che hanno la bontà e la pazienza di ascoltare e capire, anche, il mio resoconto di ciò che mi era rimasto, nella memoria e nella mia mente, del mio viaggio nell’Inferno di Dante. Ma, a mano a mano, che i giorni e i mesi passavano, la mia gioia, il mio entusiasmo e le mie emozioni cominciarono a scemare fino a cessare del tutto. Al loro posto subentrarono, invece, le preoccupazioni, le ansie, le tensioni e i malanni di tutti i giorni, cosicché il mio animo diventò un’altra volta triste e pessimista, così com’era stato prima dell’inizio del viaggio, virtuale e immaginario, nell’Inferno di Dante. La tristezza, la malinconia e la monotonia di tutti i giorni presero il sopravvento sul mio corpo e sul mio animo, cosicché cominciai a meditare sul viaggio compiuto insieme a Dante, ma soprattutto cominciai a ripensare e a rimuginare la sua frase di commiato e di congedo che mi disse prima che lui scomparisse alla fine del viaggio, virtuale e immaginario, nell’Inferno: <<Ma tu Biagio non preoccuparti perché tu non sarai presente, per tua fortuna, ai prossimi cambiamenti climatici catastrofici che già si preannunciano e si abbatteranno sulla Terra>>. Io, B. C., giudicai, immediatamente, questa frase molto importante e significativa, perché essa voleva rassicurarmi e tranquillizzarmi sul prosieguo della mia vita. Io accolsi molto bene questa frase e, in qualche modo questa rassicurazione, nei primi tempi, mi tranquillizzò e mi rasserenerò. Però, dopo quel giorno, essendo passato un po’ di tempo, cominciai a pensare alla morte come un’idea fissa e ossessiva, perché pensavo che mi avrebbe potuto colpire in qualsiasi momento nel prossimo futuro. Allora cominciai a meditare sul tema della morte che colpisce tutti. Inoltre la frase di Dante mi fu, anche, utile perché mi ha propiziato, ispirato, spinto e invogliato a comporre quattro componimenti poetici e una lettera di risposta alla lettera che Dante mi aveva lasciato sul tavolo insieme a un componimento poetico finale. Per prima cosa, io B. C., pensai che la morte non è altro che la mancanza di energia elettrica che spegne e toglie il vigore e la luce al nostro corpo. E questa è la morte naturale e corporale che vige come legge di natura ed è comune a tutti gli esseri viventi sulla Terra. Poi cominciai a pensare alla morte, intesa e immaginata, metaforicamente e simbolicamente. E pensai che la morte, metaforicamente parlando, non è altro che una grande e maestosa figura femminile, tutta vestita con un abito nero e ricoperta da un grande mantello nero che l’avvolge per intero. Io B. C., inoltre, immaginai che anche il suo viso fosse ricoperto da un velo nero che le lasciava liberi soltanto gli occhi, di colore grigio chiaro, per poter vedere e guidare il suo cammino sulla Terra. La morte, dunque, non è altro che una grande e maestosa figura femminile, la quale cammina e si aggira velocemente in ogni angolo della Terra e raccoglie, continuamente, tutte le anime che lasciano e abbandonano il corpo privo di vita. Infatti la morte, come grande e maestosa figura femminile, è presente nell’istante, in cui l’anima fuoriesce dal corpo morto e lei e lì pronta a prendere ed accogliere l’anima fuoriuscita dal corpo deceduto. Poi io, B. C., immaginai che la morte, questa grande e maestosa figura femminile, allora, sceglie dove posare e sistemare l’anima ormai priva del corpo, in base al colore dell’anima che fuoriesce dal corpo deceduto. Se l’anima ha un colore rosso scuro, allora la morte, questa grande e maestosa figura femminile, la posa davanti all’ingresso principale dell’Inferno. Se invece l’anima del morto presenta un colore bianco panna, allora la morte, questa grande e maestosa figura femminile, trasporta l’anima appena uscita dal corpo del morto su una stella, ormai spenta, dal clima dolce e mite, dove l’anima, buona e santa, trascorrerà il resto della sua esistenza ultraterrena. Però può capitare, alle volte, che la morte, questa grande e maestosa figura femminile, vestita di nero, non sia presente nell’istante della morte. In questo caso, allora, l’anima, fuoriuscita dal corpo morto, va direttamente in un’altra stella, adibita e predisposta ad accogliere queste anime morte e abbandonate a sé stesse senza che ci sia l’ausilio della signora morte che le sistemi nella stella comune alle altre anime morte. Invece queste anime morte da sole, chiamate anime bianche, se ne vanno direttamente in un’altra stella conosciuta come stella delle anime bianche e lì trascorreranno il resto della loro esistenza ultraterrena. Queste anime bianche sono quelle che muoiono, improvvisamente e contro la loro volontà, durante qualche naufragio nel mare, come spesso capita da noi, nel mar Mediterraneo, a molti emigranti che muoiono annegati e sommersi nel mare. Ma tutte le anime, sia quelle dell’Inferno, sia quelle della stella che ospita le anime buone e sia le anime delle morti bianche scompariranno definitivamente quando l’Universo esaurirà la sua forza espansiva e scomparirà anch’esso nel nulla. Infatti, il nostro Universo come ha avuto un inizio ed una espansione così un giorno, molto lontano da oggi, avrà anch’esso una fine. Ma, io B. C., penso e reputo che tutta questa rappresentazione della morte, come grande e maestosa figura femminile, è, soltanto, una immaginazione illusoria, immaginativa e metaforica della morte, dovuta all’elaborazione della nostra mente, spinta a desiderare che la morte stessa sia una grande e maestosa figura femminile che ci trasporta in un altro mondo, più sereno, più bello e più beato. Ma secondo me, B. C., in tutta questa immaginazione della morte, come una grande e maestosa figura femminile, non c’è nulla di vero perché è soltanto una metafora e perché è soltanto la proiezione della nostra mente ad immaginare la morte, come una grande e maestosa figura femminile, che ha il compito di trasportarci in una stella dove non si soffre più e si vive una vita beata. Invece, secondo me, B. C., penso e reputo che la vera e unica morte sia la morte naturale e corporale, cioè quella che avviene nel nostro corpo. Il fenomeno della morte, secondo me B. C., è un movimento molto semplice. Fin quanto il corpo è sostenuto e sorretto dall’energia elettrica, allora c’è vita, ma nel momento stesso che l’energia elettrica viene a mancare allora subentra immediatamente la morte che distacca il corpo dall’attività cerebrale e mentale. L’esempio più semplice per capire questo passaggio dalla vita alla morte si può fare con il paragone della corrente elettrica che illumina una casa. Fin quanto c’è l’energia elettrica la casa è illuminata, vive ed è calda, ma nel momento stesso che l’energia elettrica viene a mancare la casa piomba, immediatamente, nel buio e nel freddo. Secondo me, B. C., questo è l’unico esempio per avere una rappresentazione reale e concreta del passaggio dalla vita alla morte.
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Io, B. C., faccio lo stesso ragionamento e la stessa rappresentazione sul concetto di Dio. Infatti io B. C. penso che la parola Dio non ha nessuna realtà ontologica. La parola Dio è soltanto il frutto del nostro desiderio di non morire ed è anche la nostra ambizione di immaginare che ci sia Qualcuno che ci possa accogliere dopo la morte. E l’idea che ci sia Qualcuno che ci possa accogliere dopo la morte è la grande conquista e la grande novità e la grande rivoluzione della concezione del cristianesimo. Ma anche il cristianesimo è soltanto una concezione sbagliata perché è fondata sull’idea che Dio ci salverà dalla morte, ma anche questa concezione religiosa e teologica è sbagliata, falsa e illusoria per la semplice verità immediata che Dio, però, non esiste, e quindi non potrà salvare nessuno, né può curare la pandemia in corso sulla Terra, né può redimere i peccatori, né può giudicare i vivi e i morti e né può dare la vita eterna a chiunque, perché non esiste nessun Dio. Anche la parola Dio è soltanto un flatus vocis, cioè una pura emissione di suoni e di vocali senza significati, a cui non corrisponde nessuna realtà ontologica. Questa mia tesi corrisponde alla tesi del nominalismo medievale che nega ogni esistenza reale, alle entità astratte (concetti ed idee), riducendole a meri segni linguistici. Allora, io B. C., per proseguire questa mia lunga meditazione sulla vita e sulla morte, penso che, l’unico modo per prepararmi ad affrontare e a vincere la morte fisica, naturale e corporale della nostra esistenza, sia la soluzione classica, già esaltata e provata fin dal tempo dei poeti greci. Anch’io B.C., penso e reputo che l’unico modo per vincere la morte, per me sia quello di redigere o di scrivere qualcosa di bello o di fare qualcosa di importante, per testimoniare la mia esistenza, da lasciare ai posteri, i quali, leggendo le mie composizioni poetiche, hanno la prova della mia esistenza. Anche il sommo poeta Dante Alighieri, nella sua Divina Commedia, accettò ed espresse la tesi che la poesia rende immortali, in primis per sé stesso con la composizione della Divina Commedia. Inoltre, Dante Alighieri, espresse questa sua convinzione portando l’esempio del poeta latino Stazio, il quale, per appunto, afferma nel Purgatorio, che lui sarà immortale grazie alla sua poesia. Ecco le terzine di Dante nel quale Stazio si presenta e afferma, per l’appunto, l’immortalità della poesia.
<<Nel tempo che ‘l buon Tito, con l’aiuto
del sommo rege, vendicò le fora
ond’uscì ‘l sangue per Giuda venduto,
col nome che più dura e più onora,
era io di là>>, rispuose quello spirto,
<<famoso assai, ma non con fede ancora>>.
(Purgatorio. Canto XXI. Versi 82 – 87).
Inoltre, io, B. C., esplico, manifesto e riferisco quali furono gli sproni e gli effetti positivi su di me dell’input che Dante mi diede, con quella sua frase, rasserenante e tranquillizzante, prima che lui scomparisse dal mio viaggio, virtuale e immaginario, nel suo Inferno. Infine, io B. C., per finire questa mia rappresentazione della morte e per testimoniare la mia esistenza agli altri e ai posteri, che hanno la volontà di accertarsi della mia esistenza, riporto qui di seguito, nei prossimi paragrafi, i miei primi quattro componimenti poetici che io ho scritto sul tema della morte. Io, B. C., in conclusione, con queste quattro composizioni poetiche sul tema della morte, voglio provare e comprovare, innanzitutto a me stesso che sono esistito; e poi desidero testimoniare agli altri che io, B. C., sono stato un uomo vivente e sensiente su questa Terra, perché ho provato, in sommo grado, e ho sentito, fortemente, il bisogno, il desiderio, l’aspirazione e l’ambizione di diventare e di sentirmi un vero e grande poeta.
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E allora per concludere questi miei lunghi ragionamenti e queste mie opinioni personali sulla vita e sulla morte, io B. C., affermo e asserisco che noi umani dobbiamo accettare la nostra condizione di umanità per quella che è, atea, materialistica, mortale, senza farci nessuna illusione di vivere un’altra vita ultraterrena dopo la morte terrena. Io, B. C., affermo qui, con sicurezza, che non c’è niente più dopo la morte corporale della vita mortale. Inoltre, io B. C., penso che noi uomini dobbiamo accettare, con forza e con tenacia, le nostre debolezze e i nostri istinti animaleschi, senza lamentele e senza remore. Io, B. C., reputo, anche, che noi uomini, gettati sulla Terra come esseri imperfetti e deboli, indeterminati e disorientati, dobbiamo accettare la nostra condizione umana per quella che è; dobbiamo, anche, sfruttare, però, e rafforzare la nostra posizione di uomini dominatori del nostro pianeta Terra. È ormai accertato che l’essere umano basa la sua esistenza su due forze fondamentali: da una parte la condizione umana ha come base molte debolezze e molte fragilità, come i suoi vizi, i suoi istinti, le sue pecche, le sue prepotenze, le sue forze vitali, le sue manie, le sue schizofrenie, le sue pazzie e tutto ciò che di brutto e di scellerato ogni uomo compie contro gli altri esseri viventi e contro la natura; dall’altra parte, però, l’uomo, con la sua intelligenza e con la sua genialità, è capace di inventare e di creare l’arte, è capace di sviluppare la scienza e la tecnica ed è capace di immaginare e comporre sublimi opere poetiche, come la Divina Commedia, o immense opere di teatro come le bellissime commedie di William Shakespeare, oppure sa montare e costruire film di una bellezza inaudita, come i film di Sergio Leone, e sa, anche, comporre sinfonie musicali divine, come le sinfonie musicali di Giuseppe Verdi o di Ludwig van Beethoven, e sa, anche, comporre colonne sonore per film di una bellezza celestiale come le colonne sonore di Ennio Morricone che sono talmente struggenti e toccanti che destano emozioni profonde e meravigliose, e sa , anche, compiere tutto ciò che di bello e di elevato ogni uomo riesce a realizzare ogni giorno per fare progredire l’umanità, nel benessere e nella bellezza artistica e scientifica. Io, B. C., penso e affermo che l’umanità debba avere come unico Dio soltanto la scienza, così come si presenta e si manifesta in tutte le sue forme e accettarla con tutti i suoi risultati che riesce a realizzare in ogni parte del mondo. Infatti, i risultati della ricerca scientifica sono sempre concreti, risolutivi e utili per il benessere dell’umanità e consentono di produrre, sempre di più, nuovi farmaci per guarirci da molte malattie mortali, come il cancro e tante altre malattie che colpiscono e fanno soffrire milioni di persone. Un altro risultato della scienza è lo sviluppo e il progresso informatico e telematico che, fra qualche anno, ci porterà ad avere un sistema comunicativo e informatico strabiliante. Io, B. C., infatti, sono sicuro che la scienza, nei prossimi decenni, raggiungerà risultati incredibili e straordinari, come guarire da malattie che oggi sono incurabili. Inoltre, io B. C., penso che il compito primario e nobile della scienza sia quello di portare e di aumentare, sempre di più, il progresso, la salute fisica e mentale, il benessere e la libertà a tutta l’umanità, favorendo sia l’uomo più povero del mondo e sia l’uomo più ricco del mondo. Infine, io B. C., penso che la scienza farà fare passi da gigante a tutta l’umanità accrescendo il pensiero scientifico e artistico, che sono le nostre due grandi luci per illuminare il passato, per guidarci nel presente, per presagire, per capire e per intravvedere e orientarci nel futuro per raggiungere, così, mete sempre più alte, come annullare la morte e rendere la vita umana sempre più bella, più soave, più lieta e sempre più longeva. Quando la scienza raggiungerà questi obiettivi, allora, secondo me, B. C., vuol dire che l’umanità avrà dato un senso e uno scopo pratico, utile e benefico alla sua esistenza. Inoltre l’umanità sarà capace, anche, di salvarsi da sola, con la sola attività della scienza e senza bisogno di chiedere e di invocare l’intervento di Dio, che non esiste.
MODICA 29 MARZO 2022
PROF. BIAGIO CARRUBBA
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