
Cesare Pavese
Analisi e commento della poesia.
VERRÀ LA MORTE E AVRÀ I TUOI OCCHI.
Introduzione alla poesia “VERRÀ LA MORTE E AVRÀ I TUOI OCCHI”.
“VERRÀ LA MORTE E AVRÀ I TUOI OCCHI” è la quarta poesia della omonima silloge pubblicata, per la prima volta, postuma nel 1951. L’intera silloge è ispirata all’amore di Cesare Pavese verso l’attrice Constance Dowling che il poeta aveva conosciuto il 1 gennaio 1950 a Roma presso la casa dei suoi amici Rubino. La poesia fu scritta il 22 marzo 1950 ed è rivolta, come tutte le altre poesie della silloge, all’attrice americana a cui Pavese si rivolge in seconda persona. Tutte le poesie descrivono ed esprimono l’amore, o meglio il flirt, come dice il poeta nell’ultima poesia, tra lui e l’attrice americana. La prima e grande differenza tra “VERRÀ LA MORTE E AVRÀ I TUOI OCCHI” e tutte le altre poesie della silloge è che questa poesia è l’unica di tono emotivo cupo e triste e preannuncia il suicidio del poeta, mentre le altre poesie esprimono l’amore in forma viva e tenero, benché conflittuale e tormentato.
Testo della poesia.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi –
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
22 marzo 1950.
Parafrasi della poesia.
La morte verrà ed avrà i tuoi occhi (cioè mi guarderà attraverso i tuoi occhi (dell’attrice americana) e io guarderò lei attraverso i tuoi occhi). (Il pensiero di) questa morte, infaticabile e sorda, che mi (ci) accompagna dalla mattina alla sera, è come un vecchio rimpianto e come un vezzo ingiustificato, (la morte che non dorme mai, che non ascolta nessuno, è come una vecchia colpa che ritorna sempre alla coscienza, è un male assurdo perché incomprensibile agli uomini). I tuoi occhi saranno muti come una parola vana, saranno chiusi come un grido taciuto, saranno fissi come un silenzio. Tu li vedi in questo modo ogni mattina, quando ti pieghi da sola nello specchio. O cara speranza, nel giorno della morte anche noi sapremo se dopo di essa ci sarà la vita o il nulla.
La morte guarda tutti con lo stesso sguardo. Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (scendere nel regno dei morti sarà liberarsi dall’idea ossessiva del suicidio), sarà come rivedere un viso conosciuto nell’al di là, sarà come vedere una bocca chiusa (cioè sarà come vedere e sentire i visi dei morti che non parlano). Scenderemo muti nel tartaro.
Sintesi della poesia “VERRÀ LA MORTE E AVRÀ I TUOI OCCHI”.
Constance, la morte si presenterà con i tuoi occhi. Il pensiero del mio suicidio mi accompagna giorno e notte e la morte, che è infaticabile, essa, per me, è come una vecchia colpa e come un vezzo strano. I tuoi occhi saranno spenti e tristi come una parola inutile, frustra, un grido sommesso, quasi un silenzio.
Tu Connie vedi i tuoi occhi in questo modo quando ogni mattino ti guardi allo specchio. O speranza nel giorno della morte sapremo se dopo la morte c’è il nulla o la vita. Scendere nel regno dei morti (dalla lettera del 25 agosto 1950 a Davide Lajolo) sarà per me come liberarmi dall’idea ossessiva del suicidio, come rivedere un antico viso di una persona già morta e come vedere una bocca muta.
Scenderemo muti, io e la morte, che avrà il tuo aspetto. Il primo verso della poesia che dà il titolo all’intera raccolta poetica inizia con la certezza che “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”. Poi la poesia descrive la morte, che non dorme mai, indifferente, che è simile ad un vecchio rimorso, a un vizio assurdo. Poi il poeta passa a descrivere gli occhi dell’attrice che lo guarderanno per l’ultima volta. La parte finale della poesia è dedicata all’ingresso nell’Ade. Nel tredicesimo verso il poeta, riprendendo il noi già usato prima, intendendo con esso l’umanità intera, dice che gli uomini scenderanno giù nel gorgo muti, perché la dolce vita è finita, la parola è vana e li aspetta il lungo ed eterno silenzio dell’eternità. Ma l’ultimo verso esprime la discesa personale del poeta, insieme alla morte, nell’Ade.
Tema della poesia.
Il tema della poesia è senza dubbio l’identificazione di amore e morte. Il poeta identifica la morte con le sembianze dell’attrice e descrive la sua discesa nell’Ade accompagnato dalla morte che ha gli occhi di Constance. In questo modo per il poeta la discesa negli inferi sarà meno tediosa e meno dolorosa perché sarà accompagnato dal viso dell’amata. Il poeta stesso identifica il tema scrivendo nel diario qualche giorno dopo, il 13 maggio: “Amore e morte – questo è un archètipo ancestrale”. (da Il mestiere di vivere, pag. 396).
La morte resta sempre un fatto doloroso e violento rispetto alla vita, che è luce e parola, mentre la discesa nell’Ade è qualcosa che avviene in silenzio. Infatti la morte non parla, ma falcia soltanto, e la differenza tra il regno dei vivi e il regno dei morti è proprio questa. Mentre i vivi urlano e litigano, nel regno dei morti non si parla fin dalla discesa nell’Ade per cui “scenderemo nel gorgo muti”.
La morte effettiva è insonne e sorda ed è un male incomprensibile per gli uomini. Gli occhi di Constance saranno spenti, muti, fissi. E la morte, dice il poeta, dirà agli uomini se dopo di essa ci sarà la risurrezione o il nulla eterno. La morte guarda tutti con uno sguardo e la discesa nell’Ade farà cessare il tedio della vita e il mal di vivere, sarà come vedere riapparire visi nell’al di là, sarà come vedere visi dei morti che non parlano. Noi, umanità, uomini, scenderemo nel gorgo dell’Ade muti e silenziosi.
Il messaggio della poesia.
Il messaggio implicito della poesia è quello di attenuare e lenire il dolore dell’ultimo respiro tra la vita e il nulla. Quindi il poeta razionalizza la morte che è qualcosa di terribile ma nello stesso tempo la morte libera il poeta dalla sua idea ossessiva del suicidio. L’identificazione della morte con l’amore attenua il distacco dai vivi perché in qualche modo l’amore nobilita e ingentilisce la morte. Morire per amore significa, dunque, dare uno scopo alla propria vita. Il poeta chiarisce questo concetto qualche giorno dopo nel diario, il 23 marzo, scrivendo: “L’amore è veramente la grande affermazione. Si vuole essere, si vuole contare, si vuole – se morire si deve – morire con valore, con clamore, restare insomma. Eppure sempre gli è allacciata la volontà di morire, di sparirci: forse perché esso (l’amore) è tanto prepotentemente vita che, sparendo in lui, la vita sarebbe affermata anche di più?”. (Pag. 393). Il messaggio principale della poesia è certamente l’imminente morte del poeta. L’idea della morte perseguitava il poeta già da parecchi anni, ma questa volta la morte avrà gli occhi dell’attrice americana. L’attrice diventa, a sua insaputa, lo strumento involontario della morte, che guarda il poeta attraverso gli occhi dell’attrice. Il gorgo, il simbolo finale, assomiglia più al tartaro degli antichi Dei greci, piuttosto che all’inferno o al paradiso dei cristiani.
La tesi della poesia.
La tesi della poesia è esposta in modo lucido e critico dal poeta il 13 maggio 1950 nel suo diario quando scrive: “In fondo, in fondo, in fondo, non ho colto al volo questa straordinaria avventura, questa cosa insperata e fascinosa, per ributtarmi al mio vecchio pensiero, alla mia antica tentazione – per avere un pretesto di ripensarci…? Amore e morte – questo è un archètipo ancestrale”. (pag. 396). La tesi generale della poesia è, senza dubbio, il presagio che il poeta percepisce dentro di sé della propria morte e quindi la poesia preannuncia l’intenzione, o meglio la decisione, del poeta del proprio suicidio, che avverrà qualche mese dopo, il 27 agosto 1950. Ma la novità principale della poesia è quella che il poeta identifica la morte negli occhi dell’attrice americana Constance Dowling, con la quale il poeta aveva avuto, qualche settimana prima, un flirt come lui stesso dice nell’ultima poesia della silloge. Il poeta intravedeva, intuitivamente, la propria morte nell’attrice e nei suoi occhi, che lo guardano attenti e fissi. L’idea della morte è per il poeta una compagnia costante e continua.
Analisi della forma.
Il genere della poesia.
Il genere della poesia riguarda l’amore. In questa poesia si parla di un amore non corrisposto tra il poeta e l’attrice americana. La poesia ha almeno tre riferimenti culturali: il primo riferimento è alla poesia di G. Ungaretti, “Inno alla morte”; il secondo riferimento è alla poesia “Di dove non si ritorna” di Anacreonte; il terzo riferimento culturale è al mottetto di Montale: “Molti anni e uno più duro sopra il lago”.
La metrica della poesia.
La poesia è composta da due strofe con versi di novenari con qualche verso ipermetrico.
Il lessico della poesia.
La poesia è composta con un lessico aulico, forbito e poetico e disegna sintagmi originali ed immagini raffinate. La poesia è, inoltre, ricchissima di figure retoriche che le danno un fascino particolare e un glamour evergreen. Le principali figure retoriche sono: l’anafora (il primo verso si ripete nel quattordicesimo), l’anadiplosi (ripresa di alcune parole in versi successivi; ad.es. Vizio (v.5) viene ripetuto nel verso 15), Specchio (v.10) viene ripetuto nel verso 16), iperbato o ipallage (parole staccate dalla parola di riferimento: es. Insonne e sorda dei versi 3 e 4 dovrebbero essere agganciate a morte del verso 2), enjambement (ci accompagna dal mattino alla sera (vv. 2 e 3) – i tuoi occhi saranno (vv. 5 – 6) nello specchio / riemergere (vv. 16 – 17)), assonanze e consonanze, ossimoro (grido taciuto v. 7), metafora (o cara speranza v. 19), similitudini (come un vecchio rimorso o un vizio assurdo vv. 4 – 5), climax (una vana parola, un grido taciuto, un silenzio vv. 6 e 7), chiasmo (tra i sintagmi una vana parola e un grido taciuto), la personificazione della morte (Verrà la morte e avrà i tuoi occhi), simbolo (es. Gorgo v.19), apostrofe (O cara speranza). Lo stile della poesia, sintesi di una scrittura ermetica e realistica, è originale, nuovo e ricco di figure retoriche. L’hornatus della poesia è ricco di figure retoriche difficili e di rara bellezza. La morte è personificata negli occhi dell’attrice americana.
Il tono emotivo.
Lo spirito della poesia è tutto incentrato nel descrivere un tono emotivo elegiaco, triste, cupo per l’imminente tragedia che colpirà il poeta, cioè il suo suicidio. Il tono emotivo della poesia è dominato dalla malinconia e dalla mestizia del poeta che è rassegnato alla sua idea del suicidio. Il presagio della morte dà alla poesia un tono di tristezza assoluta e un mutismo assordante anche se il dolore della morte è attenuato dall’idea che suicidarsi per amore è dolce ed è una morte che libera dall’ossessione e dal suo handicap fisico, nascosto agli altri. I sentimenti che esprime la poesia sono soprattutto il tormento del poeta verso la vita e la sua inquietudine del vivere quotidiano. I sentimenti prevalenti sono quelli cupi e tristi della fine della propria vita; sono i sentimenti del poeta che si consegna alla morte, anche se Pavese esprime lo spiraglio della salvezza eterna dopo la morte: “O cara speranza/ quel giorno sapremo anche noi / che sei la vita o sei il nulla”. (Versi 10 – 12).
La lexis della poesia.
La poesia ha una lexis particolare, efficace, intensa, originale, bella che unisce da una parte espressioni ermetiche con espressioni neorealistiche. Ne risulta un impasto molto armonioso, chiuso, ermetico, essenziale, con una descrizione nuda e cruda dei sentimenti del poeta, dei suoi tormenti, dei suoi conflitti interiori e dei presagi imminenti e nefasti. La lexis della poesia è formata da brevi frasi asciutte e forbite che enunciano immagini e scene di altri tempi e di un regno scuro, ctonio. Queste immagini cupe si rifanno all’immagine dell’Ade della cultura greca. I costrutti si concentrano sulla morte, fugace e veloce, che rivolge al poeta appena uno sguardo. La discesa nell’Ade è rappresentata in modo icastico e crudo e certamente richiama la bellissima poesia di Anacreonte.
La bellezza della poesia.
La bellezza della poesia nasce dalla “mirabile visione” (da C. Pavese Vita attraverso le lettere. Ed. Einaudi pag. 226) e dalla grande intuizione che il poeta ha della sua morte e della discesa nel regno dell’Ade. Il fascino della poesia è dato dal fatto che nella breve e sintetica poesia, Pavese riesce a sintetizzare, in modo armonico ed elegiaco, elementi della cultura greca, della scrittura ermetica, del linguaggio neorealistico e della raffigurazione simbolica. La poesia riesce, per davvero, a dare una forma nuova, originale e personale che viene adattata da Pavese al suo presagio di morte. Nella poesia, Pavese, utilizza le sue conoscenze sui miti greci e in particolare la discesa nell’Ade; utilizza una composizione ermetica perché nella stesura definitiva della poesia eliminò molte parole ridondanti della prima stesura (es. Scenderemo muti in quel gorgo diventò Scenderemo nel gorgo muti); in alcuni versi utilizza un linguaggio icastico, prosastico, quasi neorealistico ed, infine, tutta la poesia è trasfigurata in una visione simbolica e quasi mitica e metafisica, pur rimanendo attaccata alla terra e al mondo ctonio. La bellezza della poesia nasce dal presagio della morte del poeta e anche dal linguaggio scabro, asciutto, essenziale e ridotto all’osso dei versi che rappresentano il presagio della morte in forma ermetica e classica. La tesi globale della poesia si può sintetizzare dicendo che la poesia è la rappresentazione della morte per immagini, per simboli, per similitudini che la descrivono come sorda, insonne e personificata negli occhi dell’attrice.
Un altro motivo di bellezza della poesia è la sua coerenza logica forte e lineare e la sua coesione molto accurata fatta di rimandi anaforici e cataforici continui. Nella poesia non c’è nessuna sbavatura, nessuna parola in più e questa stringatezza la avvicina molto alla poesia ermetica malgrado la poesia descriva la morte con immagini vivide, icastiche e neorealistiche.
Commento e mie valutazioni personali.
La poesia è bella sul piano formale e sul piano del linguaggio per la ricchezza di similitudini e di ossimori, per la sua melodia e per il ritmo lento e triste come il suo messaggio mortale. La poesia è molto bella anche sul piano dei contenuti, perché l’immagine della discesa nell’Ade riporta in auge il mondo greco. La morte vera comunque libera il poeta dall’idea ossessiva del suicido, nonostante non risolva mai nessun problema, semmai lo taglia, lo termina in modo brusco e violento. Io, Biagio Carrubba, apprezzo molto la poesia perché esprime il dolore, il tormento del poeta ormai giunto alla fine della sua vita. Pavese grida disperatamente il suo dolore e la sua rabbia contro la vita, da lui sentita infelice, e giudica spaventevole la discesa nell’Ade, perché sa che “scesi una volta/ in su non si ritorna”. Si può dire che “VERRÀ LA MORTE E AVRÀ I TUOI OCCHI” raggiunge, eguaglia e supera la bellissima poesia “Di dove non si ritorna” di Anacreonte (570 a.C. – 485 a.C.)
Testo della poesia “Di dove non si ritorna” di Anacreonte.
Grigie ormai sono le tempie
e il capo è bianco,
e mi scrollano i denti
e la bella giovinezza non c’è più.
Della dolce vita
poco tempo mi resta,
e spesso piango, ho tanta paura
del Tartaro.
Tremenda è la voragine dell’Ade,
e dolorosa è la discesa
laggiù;
perché, scesi una volta,
in su non si ritorna.
Modica 01/ 10/ 2018 Il Professore Biagio Carrubba.
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