
UNO SGUARDO A RITROSO
SU QUELLA CHE FU UNA “PRIMAVERA DELLA VITA”
La pubblicazione della poesia dedicata a me, tanti anni fa, mi ha fatto balenare alla mente, in simultanea alla lettura, sarebbe più giusto dire risuonare, un frammento de “L’Infinito” di Leopardi “….. io, quello infinito silenzio a questa voce vo comparando, e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente, e viva, e il suon di lei … “. Poi, sfumata l’emozione, anche dall’intromissione leopardiana, mi sono detta: è d’uopo un riepilogo. Rendere pubblica solo una lettera può apparire un gesto narcisistico, se di quella storia, importante, non si conosce il senso, la poesia può rimandare un giovanile slancio e oggi a un gesto nostalgico. Ma, visto che il frammento esce dal privato silenzio è giusto dire che si tratta di un omaggio di riconoscenza ad una relazione affettiva che è stata grande e benigna. E’ giusto dire che ci ha legato per un lungo tempo, permettendo ad entrambi di uscire dalle sabbie mobili nelle quali, per ragioni diverse, ci trovavamo impantanati. Per ricucire il senso mi volto indietro, ritorno al lontanissimo 1979, ma inevitabilmente lo sguardo a ritroso ha la consapevolezza dell’oggi, ha il deposito maturato nei 38 anni trascorsi. Guardo insomma allo ieri con lo sguardo di oggi, la distanza temporale mi consente di sorvolare e credo di comprendere, leggere, quello che allora mi seduceva e quello che mi irritava, quello che non reggevo e quello che mi spingeva a tentare un percorso che, anche con gli occhi di oggi, non posso che definire “una primavera della vita”. Avevo trenta anni e tu ventisei, avevo due figli che iniziavano le elementari e tu ti apprestavi a discutere la tesi di laurea. Avevo un matrimonio fallito alle spalle che mi ero risolta ad interrompere per salvare la mia vita esistenziale e l’immaginario affettivo dei miei figli.
Avevo appena ottenuto un lavoro stabile e l’agognata autonomia economica, ma nessuno mi aveva voluto affittare una casa perché ero separata e quindi non raccomandabile. Ero indignata, offesa e furiosa per questo atteggiamento sociale, cosa avrei dovuto fare, rinchiudermi a casa dai miei? Vestirmi di nero e uscire a capo chino e con lo sguardo rivolto a terra? Ma questo era il costume allora! Avevo risolto il problema dell’alloggio tramite un amico che mi aveva ospitata in una camera ammobiliata presso la casa di sua madre, per carità ambiente disimpegnato dall’abitazione della signora, ma con un solo ingresso comune, insomma una situazione sotto controllo! Sotto il profilo esistenziale ero nella condizione del naufrago che ha appena scampato il disastro. Avevo in corpo sia l’eccitazione dello scampato pericolo che la spossatezza dell’essermi difesa con le unghie e coi denti. Avevo in corpo l’adrenalina della libertà ma anche la paura degli agguati che potevano capovolgere il mio fragile battello. Vivevo la condizione esaltante dell’autonomia finalmente raggiunta, ma mi dilaniavo per le insidie tese dal mio ex consorte.
Mentre affrontavo con caparbietà e coraggio la mia rinascita, il mio spuntar d’ali, tu osservavi le mie manovre di parcheggio dell’auto assai approssimative, ero neopatentata, e le leggevi come trasgressione. Insomma io mi reggevo in piedi con fatica e tu mi vedevi altera! Io avevo in corpo una carica enorme di energia repressa pronta ad entrare in gioco, un arretrato di vita individuale e sociale da spendere finalmente in libertà, tu un arretrato di complicità affettiva che la tua posizione di anarchico non ti permetteva di spendere con gli altri. Convinto come eri che anche io fossi anarchica, almeno psicologicamente, ti sei fatto avanti col candore che ti è tipico, col coraggio che solo le persone autentiche e sincere sanno avere e agire. Cercai, lo rammento bene, di farti riflettere sul fatto che ero di età maggiore alla tua, ma tu consideravi la cosa una preoccupazione borghese. Cercai di indurti a riflessione sul fatto che io comunque avevo due bambini a cui badare e quindi sarei stata limitata nella relazione, rammento anche la risposta che desti: “cercavo una persona a cui volere bene e ne ho trovato tre”. Fu slancio vitale, fu complicità culturale, fu danza giocosa, fu viaggio e scoperta, fu musica, arte, cultura, fu crescita parallela e condivisa, fu scambio di vedute, fu schermaglia politica, fu fascinazione la differenza del vissuto precedente, fu sostegno reciproco, fu amore generoso! Fu una “primavera della vita”. Poiché questo è uno sguardo non solo a ritroso, ma anche dall’alto perché la distanza temporale lo consente, è necessario che io apra una parentesi sulla mia posizione psicologica di allora. Posizione di cui non avevo la più pallida consapevolezza, ma che nel tempo mi si è in parte chiarita, almeno credo, consentendomi di darmi qualche barlume di spiegazione. Questo processo di chiarificazione è potuto arrivare grazie alla spinta data da un periodo di psicoanalisi, pratica che non finirò mai di benedire, perché per me è stato il catalizzatore di un lungo processo di ordine interiore, processo che è iniziato con la pratica clinica ma poi è continuato solitariamente, tra me e me, un processo che nel tempo è riuscito a distillare l’essenza, è riuscito prima a squarciare le tenebre e poi a dissolvere le nebbie, consentendomi, lentamente, la comprensione e la conseguente pacificazione e la serenità interiore. Non voglio dire che ho capito perché ci si innamora, figuriamoci, ma certamente mi è chiaro che un grande ruolo lo gioca il vuoto che ci portiamo dentro, ovvero ciò che si sente ma non ha un volto identificabile, ciò che spinge alla cieca e dirige a nostra insaputa gesti e scelte. Nel mio vissuto esistenziale si era verificato un salto illogico, un salto che per la sua illogica sostanza aveva richiesto una rimozione, pertanto era razionalmente inesistente, ma non vuol dire che non era presente a reclamare prepotentemente il risarcimento del debito. Sul limitare dell’infanzia infatti, per gravi motivi di salute esistenti all’interno della famiglia, ero stata costretta a caricarmi di responsabilità non compatibili con l’adolescenza. A causa di quella condizione praticamente mi trovai nella condizione di bai passare quella fase vitale che va sotto il nome di adolescenza, quella fase temporale che consente il lento sbocciare dell’individuo. Per forza di circostanza da bambina dovetti assumere la posizione di adulta, dall’oggi al domani, un salto avvenuto sotto la pressione di bisogni essenziali ed esistenziali.
Il salto era avvenuto e basta, nessuna mentalizzazione, nessuna cognizione, nessun pensiero consapevole sul fatto che un salto di tale portata potesse avere delle conseguenze. La vita era andata avanti senza registrarlo nel registro del dicibile, questo però non voleva certo dire che non lavorasse a mia insaputa.
L’incontro con te mi portava su un piatto d’argento tutto ciò che mi ero persa: leggerezza, spensieratezza, gaiezza, fantasia vitale, complicità di gioco, libertà espressiva, apertura di spirito, sogno, speranza, apertura alla vita. Se poi aggiungiamo che tutto ciò giungeva dopo dieci anni di vita coniugale che erano stati un limbo e una mortificazione totale si comprende come lo spazio della razionalità, di fronte all’opportunità del sogno e della libertà, diventasse esiguo. Posso dire oggi che certamente entrò in gioco l’arretrato e si prese il suo spazio, senza chiedere permesso, senza lasciare il tempo che io me ne accorgessi, semplicemente si diede centralità ed iniziò una danza vorticosa. Tempo ed azioni fecero azioni di bonifica e di ristrutturazione, produssero nuovi assestamenti, diedero respiro allo sguardo di prospettiva senza l’affanno, senza il fiato corto che non permette al pensiero razionale di entrare in azione, di indagare il bisogno individuale prevalente. Tempo ed azioni mai separate da un volersi bene autentico e reciproco richiesero di fare il punto della situazione per affrontare la prospettiva d’esistenza.
La relazione venne da me valutata sottrattiva di energia psicologica in una misura per cui io non avevo sufficienti risorse, il mio bilancio vitale era già sovraccaricato di troppi pesi, mi sottraeva la mia famiglia di origine e dovevo condurre da sola la mia, dissi no! Mi assunsi la responsabilità di chiudere la relazione, nonostante l’affetto, nonostante la gratitudine per quanto avevo ricevuto. Non fu facile, dovetti chiudere gli occhi e fare il salto con un colpo di volontà mentre mi laceravo. Non era più il vuoto di prima che agiva, ma era sempre la singolarità del mio vissuto che mi rendeva fragile, incapace di reggere il tuo passo che si dava tempo perché ne aveva bisogno, non riuscivo a reggere la tua modalità esistenziale perché la mia esistenza non aveva mai potuto prendersi niente, soprattutto sul piano del tempo, non sapevo tollerare nonostante riconoscessi che ne avevi diritto, la sfasatura mi faceva inciampare, non ce la facevo a reggere!
Avevo chiara la cognizione che mi giocavo un’occasione irripetibile e che l’esito sarebbe stata la solitudine affettiva. A distanza di tanti anni quella preziosità ancora riluce e basta un raggio di luce per rendersene conto, infatti l’affetto permane nel tempo.
Modica 15/ 02/ 2017
Il mio commento e la mia risposta alla lettera di Carmela.
Ho letto, con mia gioia e delizia per il mio spirito, questa lettera di Giannì Carmela che mi ha inviato qualche giorno fa. Aspettavo questa lettera di valutazione, di rivalutazione e di encomio, da molti anni e oggi, finalmente, è arrivata, come testimonianza e prova di un Amore di tanti anni fa. La lettera ripercorre “a ritroso” i ricordi e le memorie di Carmela e di ciò che per lei fu “una primavera di vita”.
Mi comunica, in sostanza, che quell’amore di tanti anni fa, per lei, fu “una primavera di vita”. Quella esperienza di vita fu un amore di gioventù ricca di sogni e di libertà. Riconosco, ancora una volta, la sua lucida analisi, la sua puntigliosa ricostruzione e la chiara e limpida elocuzione del suo stile. Sono d’accordo con lei su tutto ciò che ha scritto. Allora anch’io mi metto nell’ottica dell’oggi e affermo e ribadisco che quello fu “un vero Amore”. Per me quegli anni sono stati gli anni più felici della mia vita. Anche per me sono stati 6 anni di vita gioiosa e di giorni felici, creativi, trasgressivi, di libertà e di sogni reciproci. E, per me, quell’amore, lo fu ancor di più, perché è stato il primo e anche l’ultimo. Fu l’unico grande Amore della mia vita. Anche per me, “l’affetto permane nel tempo”. Dopo quel meraviglioso amore, io ho avuto, soltanto, relazioni amorose, ma nessuno amore importante. Ma, nonostante questo vuoto, oggi io affermo che non cambierei nemmeno una virgola della mia esistenza e non toglierei nemmeno un giorno della mia vita. Sono felice della mia vita passata e sono contento di aver vissuto nel contesto storico che va dagli anni ’50 fino ad oggi. Il futuro lo conosceranno gli altri, lo ammireranno e se lo goderanno i posteri. A me basta quello che ho già fatto, visto e scritto. Ribadisco che sono troppo fiero delle mie scelte politiche e ideologiche che ho fatto nel passato. Sono anche orgoglioso di aver creduto e sostenuto l’utopismo anarchico. Non rinnego niente del mio passato, perché penso che non si vive di solo “pane e realtà” ma affermo che, nella vita, ci vuole anche un po’ di fede, di incoscienza, di fantasia e di utopia e ci vuole il coraggio di andare oltre la vita materiale giornaliera. Io chiamo tutto questo: “Coraggio personale e libertà di spirito”. Sono fiero degli studi filosofici e delle mie letture poetiche che ho fatto fino ad oggi. Ho amato tanto e sono stato molto amato, e, ancora oggi, sono molto amato. Io amo la mia vita e chi mi vuol bene. Ad ognuno la sua vita e la sua storia e il suo contesto storico, che io ho vissuto in progress.
Io continuo per la mia strada che percorro, ogni giorno, con grande forza, con grandi speranze, con grande intelligenza e lungimiranza, con modestia e con misura. Io ho fiducia nel mio futuro e spero che sia gaudioso e poetico.
Modica, 25/ 02/ 2017
Modica 25/ 02/ 2017 Prof. Biagio Carrubba
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