Breve sintesi dell’Eneide (Terza Parte: Libri VII, VIII e IX)

Le avventure di Enea
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Introduzione alle terza parte.

Il settimo libro apre la seconda esade dell’Eneide: l’esade iliadica. Il modello di riferimento non è più l’Odissea, anche se rimane sempre presente a Virgilio, ma l’Iliade. Enea, partito da Cartagine, prosegue il suo viaggio e arriva nel Lazio, come i greci, partiti dalla Grecia, arrivarono a Troia.
Enea, fin dall’inizio, si presenta come il conquistatore di un nuovo territorio per la sua gente, anche se si presenta con un atteggiamento di uomo pietoso e con il ramoscello di ulivo. Insomma Enea è già un altro Achille mentre Turno, che si crede un altro Achille, sarà spodestato sia dalla sua fidanzata, sia dal suo regno; quindi Turno sarà, in effetti, un altro Ettore che vuole difendere l’Italia e Lavinia. Guardando quindi le cose dal punto di vista terreno ed umano, Turno è Ettore che difende il Lazio e la sua città Ardea, mentre Enea è, fin dal principio, un altro Achille che conquista e distrugge la città di Lavinio e uccide Turno, ma è Ettore, destinato alla morte. Turno non sa che il fato ha prescelto Enea, come eroe troiano che deve fondare la nuova Roma e che ha scartato Turno, come Ettore, predestinato alla morte e ucciso da Enea. Difatti Iulo, il figlio di Enea, fonderà la nuova città di Albalonga e da lui prenderà le mosse la nuova dinastia regale troiana che, nell’arco di quattro secoli, fonderà la città eccelsa di Roma.
Virgilio non fa che ripetere fin dal primo libro che il fato ha prescelto Enea come nuovo fondatore della gens Iulia che sarebbe diventata la famiglia adottiva del Princeps Cesare Ottaviano Augusto; e ciò è quello che importava a Virgilio per encomiare il suo protettore e benefattore regale Ottaviano. Insomma Virgilio, seguendo il suo piano narrativo generale, piega il fato degli dei omerici nel “superfato” del Princeps Augusto. Questo encomio di Virgilio al Princeps è spiegato molto bene dal grande critico virgiliano Ettore Paratore, che così lo descrive: “Il Princeps non voleva rinunciare ad un’opera di tanto impegno che, attraverso la ricostruzione plastica della battaglia di Azio, culminava nell’esaltazione delle sue imprese, indelebile monumento letterario eretto in onore del vittorioso artefice della pax Romana. Ed è proprio grazie a questa apoteosi di Augusto, dominatore del mondo pacificato, dalla Numidia alla Scizia, alla Gallia che il finale del libro ottavo assurge a vera conclusione ideale del poema: terminando materialmente con la registrazione della morte di Turno, l’Eneide smarrirà gli attesi toni trionfali presenti invece qui”. [Da Virgilio Eneide, Oscar Mondadori, p.681]
Detto questo, l’Eneide resta una grande e bella opera epica mitologica per il suo raffinato stile e per l’espressività poetica e soggettiva della lexis. Credo infatti che non tutti gli scrittori possano essere poeti iconoclasti o rivoluzionari, come lo fu sicuramente il grande poeta Giacomo Leopardi, ribelle e contestatario sia contro la società, sia contro la Natura. La maggioranza dei poeti, per motivi economici e politici, rimane dipendente dal suo datore di lavoro, così anche Virgilio dovette accettare, umilmente, di essere un dipendente della corte del Princeps Ottaviano. Come Virgilio, anche i due grandi poeti Ludovico Ariosto e Torquato Tasso, benchè poeti di corte, hanno scritto due splendidi capolavori: L’Orlando Furioso e La Gerusalemme Liberata.
Nella seconda esade, il modello dell’Iliade è evidente a cominciare dal settimo libro. Infatti l’istigazione della furia Aletto a Turno è presa dal diciottesimo libro dell’Iliade, nei versi 170-180. In questi versi dell’Iliade, la dea Iri viene mandata dalla superba Giunone a sobillare Achille ad uccidere Ettore ed i troiani. Anche nel VII libro dell’Eneide Giunone manda la furia Aletto ad istigare Turno per uccidere Enea e i troiani. Subito dopo, Virgilio lascia il XVIII libro dell’Iliade e riprende dove Omero descrive il catalogo delle navi greche, mentre Virgilio passa in rassegna l’esercito misto-latino Rutulo.
In definitiva io, Biagio Carrubba, credo che la bellezza dell’Eneide non derivi dal suo contenuto favolistico e mitologico dato che l’epopea di Enea è sicuramente un’invenzione fantasiosa ed inverosimile di Virgilio; infatti non c’è stato sicuramente alcun Enea che ha viaggiato da Troia al Lazio e che ha fondato una dinastia regale. La bellezza dell’Iliade deriva, invece, dalla sua lexis, dalla sua forma, dalla sua inventività, dallo stile personale di Virgilio, dall’ organicità narrativa del poema e, infine anche, dalla suddivisione delle sequenze dinamiche; tutti questi elementi contribuiscono a creare un’euritmia, precisa e simmetrica, in tutto il poema così come è stato messo in rilievo dai molti critici ed estimatori di Virgilio. 

Giulio Brogi interpreta En

Giulio Brogi interpreta Enea

Settimo Libro
I prodromi della guerra italo-troiana

Il settimo libro è composto da 817 esametri.
Il viaggio di Enea prosegue da Cuma nel Lazio. Enea, ormai, edotto sulla sua missione divina da Anchise e dalla Sibilla Cumana, lascia Cuma costeggia il litorale circeo ed arriva sulle coste del Lazio. Qui Enea scorge in lontananza un bosco immenso e vede la foce di un bel fiume ridente. Dà ordine di risalire le acque del fiume e, poco dopo, lui con tutta la flotta si ferma su una riva ombrosa. Virgilio, allora, racconta gli avvenimenti del Lazio che si erano svolti prima dell’arrivo di Enea. Il Lazio era abitato dal re Latino e dalla moglie Amata, che avevano una sola figlia Lavinia, in età da marito. Lavinia aveva molti pretendenti fra cui il bellissimo Turno, desiderato anche dalla regina Amata. Latino però era stato avvertito da un indovino di non far sposare la figlia con un italiano ma doveva cercare “un genero straniero”. Anche il padre di Latino, Fauno, aveva predetto di far sposare Lavinia con uno straniero perché da questa unione sarebbe nata una dinastia regale che avrebbe portato i nipoti romani alle stelle. Subito dopo Enea, insieme ad i suoi amici prepara una mensa sul prato ma non sazi del cibo divorano anche le sottili focacce “delle fatali croste”. Iulo grida: “Oh, divoriamo anche le mense”. Enea allora capisce che quel luogo è la nuova patria dove fermarsi e dove costruire la nuova Pergamo. Poi manda i suoi corrieri ad annunciare agli abitanti del territorio il loro arrivo. Gli ambasciatori troiani allora si muovono ed arrivano nel Palazzo di Latino che li accoglie con ospitalità e gentilezza. Ilioneo, fedele seguace di Enea, gli spiega che i troiani cercano pace, un po’ di terra e “acqua e aria liberi per tutti”. Il re Latino intuisce e capisce che Enea è il genero straniero che gli era stato predestinato per sua figlia Lavinia e così invita i troiani a riferire ad Enea che lui, Latino, era disposto a dare in moglie Lavinia ad Enea, arrivato da Troia. Conclude, così dicendo: “Che lui richiedano i fati,/ io lo penso e desidero, se la mia mente presagisce il vero”. I corrieri troiani tornano indietro e riferiscono ad Enea l’offerta di Latino. A questo punto della narrazione c’è un punto nodale, cioè un cambiamento di prospettiva del racconto. Infatti si passa da Enea a Giunone che, mentre stava ritornando da Argo, vede Enea ed il suo popolo, lieti del nuovo insediamento nel territorio laziale. Giunone prova un forte senso di odio verso i troiani e colpita da un forte trasalimento si infuria contro il fato e gli dei ed allora giura a sé stessa: “Se potere sufficiente non ha il mio nume,/non esiterò certo ad implorarne un altro qualsiasi;/e se non riuscirò a piegare i celesti, moverò l’Acheronte.” Giunone infuriata scende nel mondo degli inferi e invoca “la luttuosa Aletto affinché sobilli Turno e affinché le “renda questo servizio”. Aletto, senza perdere tempo, risale dagli inferi e va direttamente nel palazzo di Latino. Qui Aletto prende un serpente dalla sua chioma e lo scaglia contro il petto di Amata. Il serpente comincia a iniettare il suo veleno ma all’inizio, prima dell’effetto velenoso, Amata si rivolge con parole ragionevoli a Latino, per esortarlo e convincerlo a dare la figlia Lavinia in sposa a Turno e non ad Enea; Latino rifiuta la proposta, a questo punto Amata si scatena, si infuria ed esce dal Palazzo; fingendosi eccitata di Bacco, mette in scena un finto matrimonio tra Lavinia ed il dio Bacco. Poi si rivolge alle donne latine e le invita ad un’orgia nuziale. Dopodiché Aletto se ne va nel palazzo di Turno, che stava dormendo, e qui si trasforma nella vecchia sacerdotessa di Giunone: Calibe. Nel sonno istiga Turno a prendere le armi contro i troiani e conclude: “Il re Latino,/se non consente a donarti la sposa e a mantenere le promesse,/provi e sperimenti una volta per tutte le armi di Turno”. A queste parole Turno si sveglia ed infuriato cerca armi dappertutto e viene preso dall’ira che lo sovrasta. Allora Turno sobilla il suo popolo ad armarsi contro i troiani e tutti sono vogliosi di scendere in guerra. Intanto Aletto continua nella sua azione di fomentare gli animi alla guerra; infatti incita i suoi cani a stanare un bellissimo cervo che appartiene ad un latino. Provoca Iulo ad uccidere il cervo, che viene ucciso da una sua freccia. Questo incidente è il pretesto dell’inizio della guerra tra Troiani e Rutuli. Aletto, a questo punto, dà il segnale di guerra che viene udito in tutta l’Italia centrale e meridionale. Tutti accorrono alla guerra a fianco di Turno. Aletto soddisfatta del suo lavoro di fomentatrice ritorna da Giunone, la quale contenta del suo lavoro la rimanda agli inferi, attraverso la porta della valle dell’Ansanto. La stessa Giunone dà l’ultima mano alla guerra ed apre le porte del tempio di Giano che indicava per tradizione l’inizio di una nuova guerra. Virgilio a questo punto dà inizio alla rassegna delle truppe Latino-Rutolo: in testa all’esercito vi era il feroce Mezenzio, “spregiatore degli dei”, a fianco aveva il figlio Lauso. Seguiva il bell’Aventino, figlio di Ercole. Seguivano due gemelli: Catillo e l’ardente Cora, poi Ceculo fondatore della città di Prestene, seguiva Messapo domatore di cavalli e prole di Nettuno, seguiva Clauso capostipite della gens Claudia, poi Aleso e quindi Ebalo, Ufente, Umbrone, Virbio. Seguiva Turno parato in armi nel cui scudo era effigiata la storia di Io, divenuta giovenca e custodita da Argo che aveva cento occhi, mentre il suo elmo era crinito di triplice cresta. Per ultima vi era la giovane Virgo Camilla della gente volsca, una giovane guerriera pronta a sopportare ogni battaglia, vestita ed armata di tutto punto tanto che tutti la ammiravano e la contemplavano; aveva, come fregi e armi, una clamide regale, una fibula d’oro, una faretra licia “e il mirto pastorale armato in cima di una punta.”.

La fabbricazione dello Scudo di Vulcano

La fabbricazione dello Scudo di Vulcano

Ottavo Libro
Enea e la ekphrasis dello scudo di Vulcano

L’ottavo libro è composto da 731 esametri.
Sprigionate le fiamme della guerra, Turno con i suoi alleati Mezenzio, Messapo e tutti gli altri scende sul campo di battaglia e si avvia verso l’accampamento dei troiani sulla riva del Tevere. Turno invia subito Venulo, un giovane corriere, da Diomede che si trovava in Puglia per informarlo che Enea era sbarcato nel Lazio e che era entrato in guerra contro di lui e i latini. Intanto Enea, come al solito, preso da mille pensieri e da mille indecisioni, si riposa sulla riva del fiume “per dare quiete alle sue membra”. Durante il sonno gli appare il dio Tiberino, il quale lo esorta a non desistere nella sua missione divina; lo incita a risalire le acque del Tevere e trovare il re Evandro che era in guerra contro i latini. Enea si sveglia, ringrazia il dio Tiberino e tutte le ninfe del luogo. Il giorno dopo Enea allestisce una barca e insieme ad alcuni compagni risale il fiume. Arriva in un posto dove fu avvistato da un giovane il quale lo apostrofa con molte domande: “Dove siete diretti?/Chi siete?/ Donde venite?/ Portate pace o guerra?”. Allora Enea gli mostra un ramo di ulivo in segno di pace e gli chiede del re Evandro. Il giovane Pallante, che era il figlio di Evandro, lo invita a scendere dalla barca e ad unirsi con loro. Enea va da Evandro e gli spiega il motivo per cui lo cerca; Evandro aderisce al piano di guerra esposto da Enea contro Turno ed i Rutuli. Mentre il sole stava tramontando, Evandro invita Enea a partecipare alla celebrazione del rito in onore di Ercole. Evandro, a questo punto, racconta ad Enea il motivo della celebrazione. Un giorno Ercole passava dal Lazio con la sua mandria, ma il feroce ladro Caco gli ruba quattro tori e quattro giovenche. Al momento della partenza, un toro muggisce e gli risponde una giovenca nascosta nella montagna di Caco. Al muggito Ercole capisce che era stato derubato ed infuriato cerca Caco, nascosto nella montagna. Dopo qualche ricerca Ercole scopre la montagna, la apre e uccide Caco, riprendendosi i suoi tori. Ercole, dunque, uccidendo Caco aveva liberato tutto il Lazio da quel feroce mostro. Finita la celebrazione Evandro, Pallante ed Enea ritornano nel palazzo di Evandro che si trovava sul Palatino. In questo breve tragitto Evandro descrive ad Enea i posti che diverranno famosi perchè conquistati dai nipoti romani di Enea. Ma già prima erano stati abitati dal dio Saturno che vi aveva portato l’età dell’oro. Gli mostra il Gianicolo, il Foro e poi lo fa accomodare nella sua modesta casa “e lo fece adagiare su un letto di foglie coperto dalla pelle di un’orsa africana”.
Virgilio, a questo punto, introduce un punto nodale nuovo, molto importante, nella storia dell’Eneide; infatti passa alla dea Venere la quale, preoccupata per Enea, decide di sedurre il suo ex marito Vulcano. Va da lui e lo convince attraverso un abbraccio amoroso ad un amplesso: “disse e, stringendolo a sé con le candide braccia, la dea/lo avvinse ancora esitante in un tenero amplesso”. Vulcano si lascia benevolmente sedurre e la abbraccia: “come lei desiderava e stretto al grembo della sposa/cercò in quel corpo un dolce piacere”. In cambio Venere gli chiede di fabbricare nuove armi per Enea. Il mattino seguente, Vulcano scende dal letto e come un buon padre di famiglia e lavoratore va nella sua fucina dentro un vulcano e ordina ai suoi ciclopi di fabbricare le nuove armi per Enea. I ciclopi si mettono all’opera e fabbricano le nuovi armi per Enea: un elmo terrificante, una spada mortale, una corazza rigida, schinieri levigati, un’asta temprata e uno scudo indescrivibile pieno di effigie. Comincia a questo punto la ekphrasis dello scudo di Vulcano. Esso è diviso in otto scomparti dal bordo al centro: nel primo riquadro Vulcano effigiò la lupa fresca di parto, nel secondo effigiò Romolo e Tazio, nel terzo Metto Fufezio, nel quarto Porsenna e Orazio Coclite, nel quinto scolpì lo schiamazzo delle Sacre Oche, nel sesto scolpì i gruppi di Salii, Luperci e i Flamini e nel settimo scolpì, in un canto, Catilina nel Tartaro e in un altro canto Catone l’Uticense , che detta loro leggi. Al centro dello scudo c’era la grande scena dorata che disegnava e scolpiva le acque del golfo di Leucate in fermento. Sopra il mare mosso vi erano le due grandi flotte di Cesare Augusto e Agrippa da un lato e quella di Marcantonio e Cleopatra di fronte. Le due flotte sembravano delle isole che si scontravano l’una contro l’altra come alti monti. Comincia il combattimento navale vero e proprio e sono raffigurate le fiamme che incendiano le navi nelle acque del mare, arrossato di sangue dai soldati morti in battaglia. Poi si vede in primo piano Cesare Augusto e di fronte a lei Cleopatra atterrita e pallida per la sua morte prossima. Sopra le navi c’erano effigiati gli dei romani Marte, la Discordia e Bellona che mettono in fuga le mostruosità divine egiziane. E per ultimo viene effigiato Cesare Ottaviano, che rientrato a Roma, celebra il suo trionfo sulle strade dell’Urbis. Tutta la gente è in festa ed applaude il nuovo Princeps, il quale seduto sulla soglia del fulgido Febo passa in rassegna i doni di ogni popolo sconfitto. Enea ammira tutto questo nello scudo di Vulcano, che gli era stato donato da Venere e “ignaro degli eventi, si bea delle immagini,/ e solleva sulle spalle la gloria e i fati della stirpe.”. Si conclude così, con la glorificazione del Princeps, l’ottavo libro.

Lo svenimento di Ottavia

Lo svenimento di Ottavia

Nono Libro
Eurialo e Niso, Pandaro e Bizia, Turno e il Tevere.

Il nono libro è composto da 818 esametri.
Giunone invia la dea Iride da Turno per esortarlo a rompere gli indugi e a dare battaglia ad Enea e rivolgendosi a lui gli dice: “Esiti? Ora è tempo di prendere carro e cavalli;/rompi gli indugi, assali di sorpresa e conquista il suo campo.”. Turno sente queste parole, si sveglia e ordina al suo esercito, insieme ai suoi alleati, di marciare contro l’accampamento di Enea. Caico è il primo troiano che dalla torre vede l’esercito Rutulo e avverte gli altri troiani. Turno, preso dalla volontà di bruciare il forte troiano, cerca un punto fragile per dare inizio al fuoco. Vede la flotta troiana traccheggiata sul fiume e tenta di bruciarla. A questo punto Virgilio racconta un evento prodigioso che ancora persisteva per la sua fama. La dea Cibele, madre di Giove, gli aveva chiesto di salvare un bosco sul monte Ida ora gli chiede di mantenere la sua promessa e Giove acconsente. Subito dopo le navi ormeggiate si calano nel profondo del fiume e riemergono ninfe vergini tante quante erano le navi immerse. I Rutuli sbigottirono ma Turno non si lasciò impressionare; anzi fa un discorso di esortazione ed accende di passione e di furore i suoi soldati. Alla fine dà ordine di riposarsi e di attendere l’alba. I soldati si distendono sui prati e accendono i fuochi per riscaldarsi e bere vino in grande quantità.
A questo punto inizia il celebre episodio di Eurialo e Niso, due giovani molto amici fra di loro. Niso per primo dice ad Eurialo di voler intraprendere una sortita nel campo Rutulo. Il giovane Eurialo aderisce alla sua proposta ed insieme vanno nella tenda di Ascanio a chiedere il permesso della sortita. Iulo acconsente alla proposta e li lascia partire. I due giovani allora escono dalla torre e si inoltrano nel campo Rutulo e qui fanno una strage di soldati Rutuli addormentati ma poco dopo vengono scoperti da un capitano Rutulo il quale scopre i bagliori dell’elmo di Eurialo e così lo apostrofa, lo ferma ed infine lo uccide. Niso si accorge di tutto questo ed interviene nella mischia; dopo aver ucciso il capitano, muore trafitto dalle lance nemiche: “ma poi, trafitto, sull’amico esanime si getta/e nella placida morte trova alfine riposo.”. Il giorno dopo i Rutuli conficcarono le teste di Eurialo e Niso su due picche e le mostrarono agli Eneadi rinchiusi nel fortilizio.
La notizia della morte di Eurialo arriva anche a sua madre , la quale lascia perdere il fuso e corre sul muro di cinta e prega Giove di farla morire perchè ormai la sua vita non ha più senso dopo la morte del figlio. Poi la mortificata viene riportata nella sua tenda. Comincia l’assalto dei Rutuli contro il forte dei troiani che resistono all’assalto. Ad un certo punto una parte della torre crolla e a stento si salvano Elenore e Lico, ma quest’ultimo viene ucciso da Turno. Nel fragore della battaglia Ascanio sente le imprecazioni di Remulo, il cognato di Turno, e lancia una freccia che uccide Remulo, ma poi per ordine di Apollo, trasformato nel vecchio Bute, ad Ascanio gli viene proibito di uccidere altri nemici.
A questo punto inizia l’ultima fase di questa battaglia quando Pandaro e Bizia, due soldati troiani, spalancano una porta a loro affidata. I Rutuli entrano dalla porta ed informano Turno, il quale lascia perdere la sua aristia e si avvicina all’ingresso della porta. Fa strage di molti soldati ed infine uccide Bizia. Pandaro, inferocito, fratello di Bizia alla vista del fratello morto, chiude la porta lasciando fuori molti soldati troiani, ma Turno era riuscito ad entrare dentro l’accampamento troiano. Turno continua la sua aristia e sfida a duello Pandaro, che viene ucciso subito dopo. A questo punto Mnesteo, un capo troiano, quando vede che Turno fa strage di tutti incita i suoi soldati ad assalire Turno che viene circondarlo senza dargli respiro. Turno resiste all’assalto ma Giove invia la dea Iride per ordinargli di fuggire dal campo. Turno, quindi, viene circondato e assalito dai Troiani che ha il corpo che gronda sudore come un fiume e ha il fiatone, sempre più convulso; infine con un balzo, tutto armato, si getta nel Tevere: “che lo accoglie e a galla sul placido corso lo sorregge,/rendendolo ai compagni lieto e mondo della strage.”.

Il Prof. Biagio carrubba

Il Prof. Biagio Carrubba

Modica, 28 Marzo 2015

Biagio Carrubba

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