Breve sintesi dell’Eneide (Seconda Parte: Libri IV, V e VI)

Copertina Eneide
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Introduzione alla seconda parte.

Con il IV libro comincia la seconda parte della prima esade dell’Eneide; forse la più bella dell’intera opera. I primi sei libri dell’Eneide (prima esade), come si sa, corrispondono e sintetizzano l’Odissea, mentre la seconda esade sintetizza l’Iliade. L’inaspettato suicidio di Didone nel IV libro, l’annuncio di Anchise ad Enea di scendere nell’Ade nel V libro e la grandiosa discesa di Enea negli inferi nel VI libro fanno dei primi sei libri un’opera innovativa e più moderna rispetto ai classici dell’Odissea e dell’Iliade di Omero.
Inoltre Virgilio, nella descrizione e nella discesa negli inferi, tiene conto sicuramente non solo di Omero ma anche di Tito Lucrezio Caro e di Apollonio Rodio. Virgilio dà una versione più razionale e più ordinata dell’Ade; infatti il suo percorso all’interno degli inferi è più chiaro e più preciso rispetto alla Nekyia di Omero.
Infatti nel quarto libro, Virgilio fa riferimento al IV libro de “Le Argonautiche” di Apollonio Rodio, dove Medea e Giasone hanno un amplesso fugace così descritto dallo stesso Apollonio Rodio: “il bisogno li spinse ad unirsi in quel momento” e ciò fa pensare, ovviamente, all’amplesso furtivo fra Enea e Didone nella grotta.
Il quinto libro dell’Eneide si rifà, in parte, al XXIII canto dell’Iliade di Omero dove sono celebrati i giochi funebri per Patroclo che fanno da modello principale ai giochi funebri per Anchise descritti da Virgilio in Sicilia.
I riferimenti testuali e culturali alla Nekyia di Omero corrispondenti al X e XI canto dell’Odissea, con la catabasi di Ulisse nell’Ade, sono continui ed evidenti e fanno da modello al sesto libro dell’Eneide. Credo comunque che questo sesto canto sia il più bello ed intenso di tutta l’Eneide. Questa bellezza è così spiegata da Gianluigi Baldo nel commento al sesto libro: “La prima parte del viaggio infero di Enea rappresenta un compromesso con il modello omerico, assieme al quale agisce anche l’influsso dei poemi greci del VI secolo relativi alla catabasi di Orfeo e Eracle. Avanzando in un paesaggio che forse, almeno nel suo aspetto complessivo, è invenzione virgiliana, Enea si imbatte in terribili creature, […]” (Da Virgilio-Eneide, ed. Marsilio, p.354).
Credo che questi riferimenti culturali e testuali di Enea non siano meno belli di quelli di Omero e di Apollonio Rodio e ne continuino tutta la bellezza originale ed originaria dei modelli antichi. In questi tre libri Virgilio fa un’altra operazione importante, cioè quella di tenersi lontano da un altro modello classico e cioè prendere le distanze dal libro “La natura delle cose” di Tito Lucrezio Caro. Infatti i riferimenti a Lucrezio sono impliciti e contrapposti perché mentre Tito Lucrezio Caro esclude, disprezza e discredita gli dei invece Virgilio è devoto e si affida a loro, così come era nella migliore tradizione religiosa politeista e nella liturgia romana
Secondo me, Biagio Carrubba, come l’Odissea è più bella e più movimentata rispetto alla più statica e più figurativa Iliade di Omero, così anche la prima esade dell’Eneide è più bella e movimentata rispetto alla seconda esade, più stazionaria e più descrittiva dell’opera epica latina.

Il suicidio di Didone

Il suicidio di Didone

Quarto Libro
Il suicidio di Didone

Il IV libro è composto da 705 esametri.
Nel IV libro, Virgilio ritorna all’azione narrativa del presente. Didone, ormai infiammata dalla passione per Enea, non sa darsi pace e si tormenta per l’assenza di Enea ed ogni sera lo aspetta con trepidazione. Alla fine, si confida e si confessa con la sorella Anna che la incoraggia ad amare Enea perché non è giusto che Didone sciupi la sua giovinezza inutilmente, rinunciando così alla dolcezza dei figli e alla gioia dell’amore di Venere. Ma ciò che più spinge Didone ad abbandonarsi ad Enea è l’intervento della dea Giunone la quale ordisce un inganno contro Enea al fine di farlo rimanere a Cartagine. Giunone espone allora un piano di inganno a Venere, la quale acconsente all’unione more uxorio fra Didone ed Enea.
Giunone sa che i due regali il giorno dopo dovranno andare a caccia e quindi scatena, al momento opportuno, una tempesta che fa disperdere tutti gli accompagnatori dei due personaggi, mentre Enea e Didone si incontrano nella stessa grotta e con il beneplacido della Terra e di Giunone i due si accoppiano in un amplesso di cui il cielo ed i fulmini sono testimoni e dalle vette più alte le ninfe ululano.
Nei mesi seguenti Didone non maschera la sua unione con Enea e tutti vengono a sapere di questa nuova coppia. La maldicenza allora sparge la voce che la bella Didone non disdegna di concedersi ad Enea. Iarba, pretendente di Didone, si rivolge a Giove che interviene per richiamare Enea alla sua missione. Allora, Giove manda Mercurio da Enea, il quale dopo il primo avvertimento cerca di far capire a Didone che lui deve partire, ma Didone capisce tutto e lo rimprovera tre volte, perché non vuole essere abbandonata da Enea. Intanto Enea cerca il miglior modo per dirgli che lui vuole ripartire. Quando Didone capisce che Enea è deciso a ripartire, allora, decide di suicidarsi, perchè si sente in colpa sia rispetto al marito Sicheo tradito e sia perché tradisce il sentimento del Pudore che lei non vorrebbe infrangere.
Allora Didone, umiliata e prostrata, ha un primo monologo con sé stessa, nel quale si dice: <<Muori piuttosto, come meriti, e allontana col ferro il dolore.>>. Quindi stabilisce il modo ed il come e per questo chiama una maga con l’intento di liberarsi da questo amore. A questo punto Didone in un altro monologo fa una preghiera agli dei: al Sole, a Giunone, ad Ecate ed alle Furie e maledice Enea e tutta la sua discendenza e termina dicendo:<<Che non goda del regno, della luce tanto amata,/ma muoia anzitempo e giaccia insepolto nella sabbia.>>. Dopo di ciò, Didone fa chiamare la sorella Anna e, nel frattempo, sale sulla pira e si trafigge con la spada davanti le sue ancelle: “mentre (Didone) parlava, le ancelle la vedono abbattersi/sul ferro, vedono la spada intrisa di sangue e di sangue/cosparse le mani.” Subito dopo arriva la sorella Anna e trova Didone moribonda. Anna, distrutta dal dolore, si rivolge a Didone e le dice: << Era questo, sorella? Volevi ingannarmi? Questo è il rogo/questo le fiamme, gli altari che mi preparavano? […]>>. Allora Didone tenta di sollevarsi sui gomiti: <<Tre volte ripiombò sul letto, e con gli occhi smarriti/cercò in alto, nel cielo, la luce e nel trovarla gemette>>. Giunone, sorpresa dal dolore di Didone, manda la dea Iride per tagliare il capello che la tratteneva alla Terra. Iride, con le sue ali dorate, scese dall’Olimpo e le taglia il capello, così dicendo: <<Il tuo capello sacro/a Dite reco per ordine avuto e da questo corpo ti sciolgo >>. Così dice e con la destra il capello recide: <<In un attimo/tutto il calore dileguò e la vita svanì nel vento.>> .

I giochi funebri per Anchise

I giochi funebri per Anchise

Quinto libro
I giochi funebri per Anchise

Il quinto libro è composto da 871 esametri.
Enea fugge con la sua flotta dal porto di Cartagine e arriva velocemente in alto mare. Guarda indietro e vede il rogo che s’innalza dal Palazzo di Didone, ma non si sa spiegare il perché delle fiamme. Poi si scatena una grande tempesta ed Enea insieme a Palinuro, il timoniere, decidono di approdare, di nuovo, sulle coste della Sicilia. Aceste li accoglie ben volentieri, come può un amico.
Il giorno seguente Enea capisce che quel giorno è il primo anniversario della morte di suo padre Anchise e allora decide di indire giochi funebri per celebrare l’anniversario. Passano nove giorni e all’inizio del decimo iniziano i giochi funebri a cui partecipano sia i troiani che i sicani. La prima gara è quella della regata fra quattro navi, la seconda gara è quella della corsa, la terza gara è quella della boxe,la quarta gara è quella dell’arco. Enea distribuisce i premi a tutti i vincitori e subito dopo Ascanio guida il carosello equestre. Ma prima che il carosello finisca Giunone, sempre ostile ai troiani, manda Iride a seminare discordia tra le donne troiane. Iride allora si metamorfizza in Bèroe, la quale convince le donne troiane a bruciare le navi nel porto. Le donne troiane partono tutte infuriate e lanciano tizzoni bruciati alle navi che prendono fuoco subito. Allora Enea vede l’incendio delle navi e impreca contro Giove, il quale manda una pioggia sulle navi che spegne il fuoco, salvando quasi l’intera flotta. Enea rimane comunque turbato e preoccupato sul volere degli dei e non sa cosa fare. Allora il vecchio Naute, gli consiglia: <<Figlio di dea, seguiamo i fati dove vogliono che si vada;/qualunque cosa avverrà, vincere si deve la sorte soffrendo.>>.
La notte seguente ad Enea gli appare l’ombra del padre padre Anchise, il quale invita Enea ad andarlo a trovare nel profondo Averno. Ma prima lo invita a passare dalla Sibilla Cumana, la quale lo guiderà nella discesa agli inferi. Enea, rassicurato da questi consigli, prepara la partenza dalla Sicilia e riparte con i suoi uomini più valorosi e determinati a finire la missione divina. Ma Venere, preoccupata del nuovo viaggio, si reca da Nettuno e lo prega di procurargli un mare calmo. Nettuno tranquilllizza Venere e le dice: << Uno soltanto piangerai perduto in mezzo ai gorghi:/una vita, per tutti sarà immolata.>>. Intanto, Enea parte e si trova in alto mare. Allora il (dio) Sonno si avvicina a Palinuro che sta guidando la nave, lo addormenta e lo fa precipitare in mare. Enea si avvede che la nave è rimasta senza nocchiero ed allora si mette lui al timone e piangendo per la morte dell’amico pensa: <<Troppo confidasti nel mare e nel cielo sereno,/Palinuro: nudo giacerai su una spiaggia ignota.>>.

Caronte e Flegias

Caronte e Flegias

Sesto Libro
Il viaggio di Enea e della Sibilla Cumana negli inferi

Il sesto libro è composto da 901 esametri.
Enea con tutta la flotta arriva qualche giorno dopo sulle spiagge di Cuma e attracca le navi a riva. Subito dopo Enea guarda da lontano il tempio dedicato ad Apollo eretto sulla cima della costa. Scende e rapidamente arriva davanti al tempio e qui scruta il bellissimo portone del tempio di Apollo. Contempla i battenti e riconosce la storia di Dedalo, il quale abbandonata Cnosso con il figlio Icaro, arriva sulle coste della Campania e costruisce il tempio dedicato ad Apollo. Enea in un battente vede effigiato l’amore bestiale di Pasifae per il toro da cui nacque il Minotauro. In un altro battente Enea vede effigiato il famoso episodio del gomitolo di Arianna.
Nel frattempo arriva la Sibilla Cumana e invita Enea ed i suoi compagni a seguirlo nel suo antro, dove lei abitava. Qui la Sibilla comincia ad essere invasa dal Dio Apollo: le ansima il petto, il volto si stravolge, il cuore si gonfia di rabbia e sembra anche ingigantita, e così invasata dice ad Enea: <<Esiti a far voti e suppliche,/troiano Enea.>>. Enea rivolgendosi alla Sibilla le dice: <<Non affidare i vaticinii alle foglie,/perché scompigliati non volino in balia a vortici di vento.>>. La sacerdotessa di Ecate e profetessa di Apollo gli risponde che Enea dovrà affrontare tremende guerre nel lazio dove è già nato “un altro Achille e conclude dicendo: <<Tu non cedere alle sciagure, ma più audace affrontale/di quanto la fortuna ti consenta.>>. Enea cerca di convincere la Sibilla Cumana di accompagnarlo nel mondo degli inferi dove è atteso dal padre Anchise. Infatti le dice che lui, come Orfeo, Teseo ed Ercole, può scendere nell’Averno perché discendente di Giove. La Sibilla Cumana gli dà una bella risposta:<<O nato da sangue divino, troiano figlio di Anchise facile è la discesa nell’Averno/ notte e giorno è aperta la porta dell’oscuro Dite;/ma tornare sui propri passi per uscire all’aria aperta,/ questa è l’impresa, questa è la fatica.>>. La Sibilla Cumana aggiunge però, a questo punto, che per poter iniziare il viaggio nel mondo degli inferi deve soddisfare due condizioni: la prima condizione è quella di cercare, prelevare e portare con sé un ramo d’oro come tributo alla divinità infera. La seconda condizione è quella di tumulare un suo amico morto da poco. Allora Enea, insieme al suo compagno Acate, ritorna nel campo troiano e qui vengono a sapere che Miseno, il loro trombettiere, era morto da poco. Enea con molti compagni vanno nel bosco per tagliare gli alberi e preparare così la pira per le esequie di Miseno; Enea vede nella selva due colombe le quali lo guidano fino all’albero dove c’è il ramo d’oro di colore giallo, simile al vischio. Subito Enea lo afferra con avidità lo strappa e lo porta alla Sibilla Cumana. Subito dopo, Enea e la sua ciurma bruciano la pira con tutti gli oggetti del trombettiere e da quel giorno quel posto è chiamato Capo Miseno.
A questo punto Enea ritorna dalla Sibilla Cumana la quale per propiziarsi un buon viaggio negli inferi invoca tutti gli dei e soprattutto Ecate. Mentre sorge l’alba i due, Enea e la Sibilla, si accingono ad entrare nel mondo degli inferi da una porta laterale interna che congiunge l’antro della Sibilla all’apertura dell’infero vero e proprio. Entrano, quindi, da questa apertura per trovarsi nell’ampia anticamera dell’Ade; in questo vestibolo, buio e pieno di rumori sorditi, Enea e la Sibilla intravedono la personificazione di molti mali, triboli e flagelli che gravano sull’umanità spingendola alla morte, queste pene e miserie sono: il Pianto, l’Affanno, le Malattie, la Vecchiaia, la Paura, la Fame, il Dolore, la Guerra, la Discordia ricoperta di capelli di vipere, la Morte ed il Sonno, fratello della Morte. Al centro di questo corridoio, notturno e cupo, c’era un altissimo olmo sulle cui foglie c’erano i sogni fallaci; a lato vicino ai fianchi della caverna, Enea incontra e vede moltissimi mostri: i Centauri, le Scille, la Belva di Lerna, la Chimera, le Gorgoni e le Arpie. I due attraversano questo corridoio ed arrivano all’antinferno a cui segue uno spazio indefinito prima del fiume Acheronte. E’ in questo spazio che Enea vede il timoniere Palinuro che si avvicina a lui. Enea sorpreso, dall’ombra di Palinuro gli chiede com’era morto e Palinuro gli racconta la sua morte e quindi lo prega di dargli una sepoltura. Ma interviene la Sibilla Cumana e gli dice: <<Donde ti viene, Palinuro, tanta folle brama?>> e conclude che lui avrà un tumulo in quel luogo innalzato dalla gente del luogo. Allora il timoniere si calma perché felice di avere un luogo col suo nome.
Enea e la Sibilla proseguono il viaggio e arrivano sulla riva dell’Acheronte e vedono il nocchiero Caronte sulla barca, il quale li apostrofa e li ferma con queste parole: <<Chiunque tu sia, che ti dirigi al fiume, fermati. Questo è il luogo delle ombre/della notte e del sonno.>>. Allora la Sibilla lo calma mostrandogli il ramo d’oro. Enea e la Sibilla salgono sulla barca che cigola e li trasporta nell’altra riva. I due lasciano il fiume dal quale non si ritorna; varcano l’entrata dell’Ade e vedono già le prime anime condannate: le anime dei bambini morti precocemente e le anime dei suicidi. A questo punto Virgilio aggiunge: <<O, come adesso all’aria aperta/ vorrebbero sopportare miseria e duri affanni!>>. Subito dopo arrivano nel campo del pianto e all’improvviso Enea scorge Didone alla quale manifesta tutto il suo rammarico ed il suo dolore per il suicidio di lei e le spiega che non fu lui a partire di sua volontà ma partì per ordine divino. Ma Didone non guarda per niente Enea, tiene gli occhi bassi e senza esclamare né pronunciare parola si allontana da lui e si ricongiunge con Sicheo, il suo primo marito, che la accoglie con amore. Dopo i due incontrano Deifobo il quale racconta ad Enea la sua morte e l’inganno di Elena che viene perdonata dal suo primo marito Menelao che se la riporta a Sparta. I due, quindi, lasciano l’antinferno e si trovano all’inizio dell’inferno vero e proprio. Qui la Sibilla Cumana dice ad Enea che alla sua sinistra può guardare il Tartaro vero e proprio dove vi stanno tutti i peccatori che in vita hanno commesso grandi colpe: misfatti, crimini e tradimenti. Il Tartaro è composto da una grande torre difesa e sorvegliata da Tisifone che sorveglia tutti i dannati tra i quali vi sono: i Titani, i Gemelli Aloidi, Salmoneo, Tizio, i Lapiti, Teseo ed infine Flegias, il quale ammonisce tutti dicendo a gran voce: << Rispettate la giustizia e dal mio esempio apprendete a non spregiare gli dei.>>.
Dopo questa descrizione Enea e la Sibilla Cumana vanno a destra nella città di Dite per entrare nella quale Enea con acqua lustrale si asperge il corpo e appende il ramo d’oro sulla soglia. Incontrano per primo Orfeo e tutte le anime beate che vivono nella città: <<Qui si affollano coloro che combattendo per la patria/patirono ferite, i sacerdoti dalla vita adamantina,/i veggenti consacrati che dissero cose degne di Febo/ e quelli che inventando l’arte ingentilirono la vita o che all’altrui ricordo si imposero per i propri meriti.>>. Poi i due incontrarono Museo e gli domandano dove si trovi Anchise, Museo allora superando una piccola convalle gli mostra il posto dove si trova Anchise, il quale appena vede Enea se ne compiace e gli dice: <<Eccoti infine; la tua pietà da me tanto attesa,/ ha dunque vinto la durezza del cammino?[…]>>. Enea, vedendo tutte quelle anime beate, chiede ad Anchise chi fossero tutte quelle anime ed Anchise gli rispose che quelle ombre erano le anime che si sarebbero reincarnate e scese sulla Terra, ma poi prosegue mostrandogli tutte le anime dei grandi discendenti romani di Enea che avrebbero fondato Roma. Anchise rivolge ad Enea un primo discorso in cui gli spiega la teoria della reincarnazione, secondo le teorie orfiche e neopitagoriche e seguendo la filosofia di Platone. Poi gli mostra tutti suoi progenitori a cominciare da Silvio per poi arrivare a Romolo. Ma ciò che gli sta più a cuore è, però, l’anima di Cesare Ottaviano Augusto, il quale instaurerà di nuovo la pace romana. Anchise aggiunge che l’impero romano avrebbe oltrepassato ogni limite conosciuto sulla Terra ed avrebbe restaurato il secolo d’oro, così come Saturno aveva già fatto nel Lazio. Allora Anchise enumera tutti i nomi dei re di Roma dopo Romolo: Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marzio, i re Tarquini e poi elogia Lucio Giunio Bruto, Camillo e tutti i grandi generali romani che ampliarono ed ingrandirono l’impero di Roma e alla fine conclude: <<Tu, (stato o popolo) Romano, ricorda di governare le genti;/questa sarà l’arte tua, imporre norme di pace,/ risparmiare chi si arrende, sgominare i ribelli>>. A questo punto Anchise manifestata la sua meraviglia e termina nominando il grande romano Gaio Claudio Marcello, che avrebbe liberato Roma dai Galli. Poi Enea chiede ad Anchise chi era quel giovane di straordinaria bellezza ed Anchise risponde che quel giovane è l’ultimo Marcello, nipote di Cesare Ottaviano Augusto, morto nel ’23 a.C., e che sarebbe diventato uno dei più grandi re di Roma se fosse vissuto; Anchise conclude: <<O giovane degno di compianto, se vincerai l’aspro destino;/tu sarai Marcello. Datemi gigli a piene mani,/ che io sparga fiori purpurei […]>>. A questo punto Anchise gli mostra le altre anime e gli altri luoghi dell’Elisio, dove lui abitava.

In ultimo Anchise gli accende l’animo per la gloria futura, poi conduce Enea e la Sibilla all’uscita, facendoli passare dalla porta d’Avorio.
Il sesto libro si chiude con Enea che si affretta ad uscire dall’Elisio per andare alle navi e rivedere i suoi compagni.
Poi, costeggiando il lido, approda al porto di Gaeta, cala l’ancora dalla prua e attracca sulla riva.

Il Prof. Biagio Carrubba

Il Prof. Biagio Carrubba

Modica, 5 Marzo 2015

Biagio Carrubba

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