
I
Introduzione
Cesare Pavese pubblicò l’opera poetica “LAVORARE STANCA” in due edizioni: la prima fu pubblicata nel 1936 e la seconda, quella definitiva, nel 1943. La prima edizione conteneva 45 poesie e la seconda 70. Le vicende editoriali delle due edizioni sono complesse e complicate e risentono delle difficoltà oggettive che Cesare Pavese ebbe nel far pubblicare la prima edizione. La prima edizione uscì a Firenze per conto della rivista Solaria. Sia Firenze che la rivista Solaria nel 1936 erano il centro dell’irradiazione dell’ermetismo ma già nella prima edizione di LAVORARE STANCA è evidente l’indirizzo neorealistico in aperta opposizione all’ermetismo. La prima edizione del 1936 non ebbe successo così come accadde alla seconda edizione del 1943, pubblicata in pieno periodo di guerra. La prima edizione non ebbe successo perché rappresentava un’opera troppo isolata e contrastante nel nascente panorama ermetico italiano. Anche la seconda edizione del 1943, pubblicata da Einaudi, non ebbe successo perché le preoccupazioni degli italiani erano rivolte alla guerra che era nel suo culmine. La riscoperta e la rivalutazione di LAVORARE STANCA si ebbero soltanto dopo la morte di Pavese, avvenuta nel 1950. Il suicidio di Pavese attirò l’attenzione di molti critici non soltanto sulla prosa, sui racconti e sui romanzi pubblicati dal 1942 in poi ma attirò anche l’attenzione su Lavorare stanca che fu rivalutata e giudicata come premessa e nocciolo dei temi sviluppati nei romanzi successivi. LAVORARE STANCA raccoglie poesie scritte da Cesare Pavese tra il 1930 e il 1940 che risentono delle emozioni e dei sentimenti vissuti dal poeta in quel decennio. Le poesie sono divise in sei sezioni tematiche. Ogni sezione ha un suo titolo e contiene diverse poesie.
Questo lo schema sintetico delle sei sezioni e delle poesie di ogni sezione:
Prima sezione Antenati: Poesie da nr. 1 a nr. 11
Seconda sezione Dopo: Poesie da nr. 12 a nr. 26
Terza sezione Città in campagna: Poesie da nr. 27 a nr. 45
Quarta sezione Maternità: Poesia da nr. 46 a nr. 55
Quinta sezione Legna verde: Poesia da nr. 56 a nr. 62
Sesta sezione Paternità: Poesia da nr. 63 a nr. 70
La seconda edizione di LAVORARE STANCA contiene due scritti teorici nei quali Pavese illustra la genesi delle due edizioni dell’opera e ne spiega le differenze. I due scritti illustrano e spiegano le motivazioni che hanno portato Pavese a scrivere le poesie aggiunte alla seconda edizione che sono nettamente e prevalentemente di poetica ed orientamento simbolico e non ermetico. Il primo scritto è “Il mestiere di poeta” del 1934 e il secondo è “A proposito di certe poesie non ancora scritte” del 1940. Nel riordino della seconda edizione Pavese cerca di dare alle sue poesie un ordine cronologico per sezione con rare eccezioni. Tra queste è evidente che le tre poesie dedicate e inspirate a Fernanda Pivano sono consecutive tra di loro ma non rispettano l’ordine temporale cronologico della sezione perché, scritte nel 1940, sono state inserite tra poesie del 1937 e del 1933. Io, Biagio Carrubba, ho notato un’altra distinzione tra le poesie scritte da Pavese e raccolte nelle due edizioni di LAVORARE STANCA:
- Poesie scritte prima del confino di Pavese (1930 – 1935).
- Poesie scritte durante il confino (agosto 1935 – marzo 1936)
- Poesie scritte dopo il confino (1936 – 1940)
Da questa suddivisione è evidente che le poesie del primo periodo sono nettamente neorealistiche; quelle del secondo periodo sono poesie intimiste, personali e rievocative. Le poesie scritte dopo il confino sono prevalentemente personali e simboliche. Pavese nell’appendice “Il mestiere di poeta” spiega la genesi delle poesie del periodo prima del confino (1930 – 1935). Pavese definisce queste poesie come “poesie racconto” e ne illustra, in sintesi, le caratteristiche: “I mari del Sud, che viene dopo questa naturale preparazione, è dunque il mio primo tentativo di poesia-racconto e giustifica questo duplice termine in quanto oggettivo sviluppo di casi, sobriamente e quindi, pensavo fantasticamente esposto. Ma il punto sta in quell’oggettività del divenire dei casi, che riduce il mio tentativo a un poemetto tra il psicologico e il cronologico…Era per salvare l’adorata immediatezza e, pagando di persona, sfuggire al facile slabbrato lirismo degli imaginifici (esageravo)”. (Lacerto tratto da Lavorare stanca – Giulio Einaudi Editore – Pagina 125). Le poesie scritte durante il periodo del confino hanno una impostazione personale, intimistica e rievocativa della vita personale del poeta che ormai si svolge a Brancaleone Calabro dove Pavese, triste, solitario e confinato ingiustamente, rievoca la sua vita precedente a Torino, che era laboriosa ed attiva, e ripensa con nostalgia al suo rapporto con la giovane amica con la quale aveva avuto un rapporto sentimentale, platonico. Questa sua amica, Battistina Pizzardo, laureata in matematica e, che aveva aderito al partito comunista era stata, in parte, causa del confinamento di Cesare Pavese. Le poesie scritte dopo il confino risentono della nuova situazione psicologia del poeta, più precaria ed instabile, ed esprimono una poetica simbolica come le famose tre poesie dedicate alla Pivano, nettamente simboliche ed intimiste.
II
Io, Biagio Carrubba, penso che una delle caratteristiche principali dell’opera “LAVORARE STANCA” sia che una buona parte delle poesie di Pavese esprimono i sentimenti e le emozioni del poeta stesso (l’adolescente che lascia la campagna). Molte altre poesie sono, invece, dedicate a uomini anonimi di cui Pavese tratteggia le caratteristiche personali ed esistenziali, salienti. LAVORARE STANCA è la raccolta poetica che descrive e racconta la storia di persone anonime che vivono la loro vita in piena autonomia e nell’anonimato e cercano di realizzare i propri desideri, anche minimi. Pavese mette in primo piano gli emarginati scegliendo i suoi personaggi tra figure di ubriachi, prostitute, giovani disoccupati e tra il popolo attivo come muratori, artigiani e contadini e di queste figure tratteggia i sentimenti, le aspirazioni, gli obiettivi ed il vissuto personale. Pavese descrive di ognuna di queste figure i desideri e i problemi che ognuno di loro vive in modo interiore, silenzioso e nascosto agli altri che non riescono a capire e conoscere i veri sentimenti di ognuno di questi personaggi. Io, Biagio Carrubba, penso che il titolo dell’opera, “LAVORARE STANCA”, vada interpretato come vivere stanca e cioè la vita è una continua lotta che non finisce mai ed è piena di sofferenza, soprattutto per le persone più umili e sfortunate. La vita alla fine stanca e logora senza un perché e senza un fine. Questa tesi si avvicina molto alla tesi e alla poetica di Leopardi. Nella seconda appendice, “A proposito di certe poesie non ancora scritte”, Pavese spiega molto bene la caratteristica formale dei personaggi di “Lavorare stanca”: “Definito Lavorare stanca come l’avventura dell’adolescente che, orgoglioso della sua campagna, immagina consimile la città ma vi trova la solitudine e vi rimedia col sesso e la passione che servono soltanto a sradicarlo e gettarlo lontano da campagna a città, in una più tragica solitudine che è la fine dell’adolescenza – hai scoperto in questo canzoniere una coerenza formale che è l’evocazione di figure tutte solitarie ma fantasticamente vive in quanto saldate al loro breve mondo per mezzo dell’immagine interna”. (Lacerto tratto da Lavorare stanca – Giulio Einaudi Editore – Pagine 136 – 137). Io, Biagio Carrubba, penso che un’altra delle caratteristiche principali dell’opera “LAVORARE STANCA” sia il pessimismo storico di fondo di Pavese che trasmette, vede ed estrapola nella vita che vivono i suoi personaggi, emarginati, frustrati e insoddisfatti. Da ciò deriva il tono mesto, melanconico, triste e ripetitivo di molte poesie tutte dedicate a questi personaggi tristi, monotoni ed insoddisfatti della loro vita. I sentimenti tristi dei personaggi danno all’intera opera uno stile ripetitivo ed un tono monotono che fanno di “LAVORARE STANCA” un’opera poetica grave e greve tranne in alcune poesie che alleggeriscono la pesantezza dell’opera dandone un tono più spiritoso e ameno. Dal punto di vista politico, “LAVORARE STANCA” esprime un pessimismo storico perché si contrapponeva all’esaltazione e all’ottimismo che il fascismo imponeva a tutti gli italiani. Il fascismo, infatti, esigeva l’adeguata adesione al regime i cui valori esaltavano l’attivismo e l’ottimismo dell’ideologia fascista. Invece i temi delle poesie di Pavese, che descrivono questi personaggi infelici e tristi, sono molto lontani dall’ideologia esaltante del regime fascista. Il fascismo tollerava di più una poetica triste, seria e intimista come quella che in quegli anni veniva esaltata ed espressa dall’ermetismo di Ungaretti, Quasimodo, Montali ed altri. Ma a Firenze, molti intellettuali fascisti, nelle loro riviste letterarie criticavano l’intimismo e il personalismo dell’ermetismo stesso. La maggioranza delle poesie di “LAVORARE STANCA” esprime la lotta continua, ogni giorno, di questi personaggi per sopravvivere nella società capitalistica e fascista del tempo. Ma in questo clima, triste e melanconico, Pavese riesce a tirare fuori, in qualche poesia, alcune immagini amene, bizzarre, atipiche, più scherzose, rispetto al resto dell’opera, triste, noiosa e ripetitiva. In sintesi una conclusione dell’intera opera “LAVORARE STANCA” potrebbe essere questa.
- La maggioranza degli uomini, medi, umili, frustrati e sfortunati lavora per mangiare e per scopare (infelici medi).
- La minoranza degli uomini, ingegnosi, felici e fortunati mangia per lavorare e per fare l’amore (felici medi).
- Inoltre c’è un’altra maggioranza ragguardevole di uomini e donne che vive per soffrire, per mangiare male e per vivere male e per fare un sesso saltuario e precario (infelici totali).
III
Un’altra caratteristica molto importante di LAVORARE STANCA è senza dubbio la novità della metrica e l’innovazione dei versi. Cesare Pavese, dopo molta meditazione sulla poesia tradizionale e sulla poesia breve ed essenziale di Ungaretti, inventò i “versi lunghi” delle sue poesie. Cesare Pavese chiarì nello scritto del 1934 come arrivò ai versi lunghi. Essi furono dovuti alla sua conoscenza della poesia del poeta americano Walt Whitman e alla sua esigenza di scrivere non in modo stringato ed essenziale ma con dei versi aperti e lunghi che raccontassero i casi di alcuni personaggi da lui inventati e conosciuti. Pavese inventò i versi lunghi “per il terrore di cadere nell’epigramma” di Ungaretti. (Da Il mestiere di poeta pag. 128). I versi lunghi, come dice il poeta, seguono il suo mugolio interiore e danno consistenza alla storia dei personaggi. Ecco il brano in cui Pavese chiarisce questa sua maturazione: “Dire, ora, il bene che penso di una simile versificazione è superfluo. Basti che essa accontentava anche materialmente il mio bisogno, tutto istintivo, di righe lunghe, poiché sentivo di aver molto da dire e di non dovermi fermare a una ragione musicale nei miei versi, ma soddisfarne altresì una logica. E c’ero riuscito e insomma, o bene o male, in essi narravo”. (Lacerto tratto da Lavorare stanca – Giulio Einaudi Editore – Pagina 127). Mentre Ungaretti allungò in verticale i versi delle sue poesie nella sua prima opera, Pavese allargò in orizzontale i versi delle sue poesie nella sua prima opera. Pavese definì questa nuova poesia come “poesia racconto”. Io, Biagio Carrubba, come confermano molti critici, credo che la novità fondamentale dei versi nuovi di Pavese consista nel fatto che Cesare Pavese abbia creato una poesia racconto intermedia tra la poesia e la prosa e che mette nello stesso verso prosa e poesia. La poesia racconto di Pavese ha infatti la cadenza e il ritmo della poesia con versi anapestici e cesure molto lontane rispetto alla poesia tradizionale che aveva cesure ristrette. La poesia racconto di Pavese rinnova profondamente la poesia tradizionale ed ermetica italiana del periodo. Con questa nuova soluzione tecnica Cesare Pavese ha liberato definitivamente la poesia italiana dalla metrica tradizionale, scompaginando e stravolgendo l’endecasillabo e la legge della metrica, tanto difesi da Ungaretti. Questa prosa racconto, nella composizione dei versi lunghi ha portato alla poesia nuova di Pavese che da un lato si avvicina alla poesia dei versi lunghi mantenendo ancora un ritmo lento e pacato e una cesura degli accenti più ampia rispetto alla cesura della poesia tradizionale e dall’altro lato si mantiene vicina alla poesia dei contenuti ed ai temi sociali. Oltre al rinnovamento della metrica, infatti, Pavese rinnovò anche i personaggi delle poesie scegliendoli tra i ceti sociali più bassi e scegliendo temi sociali e personali di casi umani, tristi ed infelici, che sono molto lontani dai temi individualistici dell’ermetismo. Il risultato di questa operazione di sintesi tra forma e contenuto è la creazione di una poesia che ha strofe massicce e versi lunghi ed anti tradizionali. Una poesia nuova e anti lirica che ha fatto nascere e ha dato il via alla poesia neorealistica del dopo guerra. La scelta di questi temi e di questi versi ha certamente costituito un rinnovamento e una modernizzazione della poesia italiana aprendo il binario che porterà al neorealismo che si svilupperà subito dopo la seconda guerra mondiale e che avrà come protagonisti Pier Paolo Pasolini, Giorgio Caprone ed Elsa Morante, Salvatore Quasimodo e Giuseppe Ungaretti che iniziarono a scrivere anche loro in stile e nel genere neorealistico.
IV
Nonostante le novità stilistiche, metriche e di contenuti, “LAVORARE STANCA”, rispetto alla retorica classica, rientra nello stile umile della “Rota Virgilii” che aveva distinto tre stili e tre finalità diverse.
- Stile umile o basso (Humilis stylus)
- Stile mediocre o medio (Mediocris stylus)
- Stile sublime o alto (Gravis stylus).
Questi tre stili hanno ognuno delle finalità diverse:
Lo stile umile ha come finalità docere (insegnare) e dimostrare (probare)
Lo stile medio ha come finalità delectare (dilettare)
Lo stile alto o sublime ha come fine movere (commuovere).
Io, Biagio Carrubba, penso che Lavorare stanca appartenga soltanto allo stile Humilis perché nell’opera prevale lo scopo di insegnare e di probare la realtà del suo tempo e le poesie presentano un hornatus semplice, puro senza espressioni affettate e pompose ma ricche di figure retoriche articolate.
L’opera, secondo me, infatti descrive come Pavese sentiva la realtà, triste e malinconica, dell’epoca, dei personaggi e di sé steso.
Nel complesso LAVORARE STANCA è una grande opera poetica seria, grave, monotona e malinconica che né diletta né commuove e per questo motivo rientra nello stile umile.
Modica 24/ 09/ 2018 Prof. Biagio Carrubba.
Modica, rivisto e riordinato il 03 giugno 2023

Modica, 10 giugno 2023 Prof. Biagio Carrubba
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