11. Cesare Pavese. Quattro belle poesie di Cesare Pavese.

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I

Introduzione.

Ho piacere di fare conoscere alcune poesie di Cesare Pavese, che non fanno parte della sua opera principale, “Lavorare stanca” (1936), ma che io ho scoperto e reputo molto belle ed interessanti e fanno parte della produzione poetica precedente all’opera principale. Le poesie che presento sono tratte dalla sezione Prima di “Lavorare stanca del 1923 – 1930 del libro Le Poesie di Cesare Pavese. Nel 1925 Cesare Pavese aveva 17 anni ed era un giovane intellettuale molto precoce, pieno di vita e mostrava una grande fiducia nella poesia. Infatti le quattro poesie che presento hanno come tema principale la poesia, sentita come una produzione creativa ed importante della giovinezza, così come conferma Mariarosa Masoero nel libro “Cesare Pavese – Le poesie”: “Nel 1925 si fa strada in lui la convinzione che la poesia, sola in grado di regalare i primi sogni di gloria, sia una delle tante illusioni che rendono bella e irripetibile la giovinezza”. (da Cesare Pavese – Le Poesie – Einaudi Editore – Pag. XLVII). Le quattro poesie da me scelte fanno parte del periodo in cui Pavese intende la poesia come sfogo personale e la lexis è chiara e diretta ed il contenuto è rivolto soprattutto a sé stesso. Ho scelto queste quattro poesie perché le reputo molto belle, non solo per il giovane Pavese, ma anche per me e per tutti i lettori che amano la poesia. Io, Biagio Carrubba, credo che la bellezza di queste poesie nasca da un linguaggio moderno che si allontanava moltissimo dal linguaggio, enigmatico e simbolico, dell’ermetismo nascente e della poesia simbolista in auge in Italia. Anche il contenuto è molto intenso e sentito dal poeta in prima persona e da questo punto di vista Pavese si ricollega alla tradizione letteraria italiana di Giacomo Leopardi e Sergio Corazzini pur non mostrando tutto il loro pessimismo ma, anzi, facendo emergere la sua gioventù e la sua fiducia nella vita e il suo ottimismo nella poesia. Pavese parla in prima persona, così come facevano Leopardi e Corazzini, ma fa emergere l’importanza della poesia lirica e la bellezza della poesia nel suo periodo giovanile.

Ia Poesia

Testo della poesia (pag. 160)

Mi atterrisce il pensiero che io pure

dovrò un giorno lasciare questa terra

dove i dolori stessi mi son cari

perché spero di renderli nell’arte.

E più tremo pensando all’agonia

alla lunga terribile agonia

che forse andrà dinanzi alla mia morte.

Che cos’è mai la vita ai moribondi

che ancor comprendono e senton lenti

lenti spirare in una stanza tetra

soli in sé stessi? Oh, conoscessi un Dio,

così vorrei pregarlo: quando il petto

mi si gonfia ricolmo di un’ondata

di poesia ardente e dalle labbra

mi sfuggon rotte sillabe che ansioso

tento di collegare in forma d’arte,

quando più riardo e più deliro, oh, allora

mi si schianti una vena accanto al cuore

e soffochi così senza un rimpianto!

21 luglio 1925

IIa Poesia

Testo della poesia. (pag. 165)

Logoro, disilluso, disperato

di mai riuscire a suscitar nell’anima

degli uomini una vampa di passione

con un’arte ben mia; così vivo

triste nei lunghi giorni…eppure a tratti

mi sento traboccare d’una vita

caldissima, potente che, oh! se mai

riuscissi a esprimere sarebbe colma

tutta la mia esistenza.

10 ottobre 1925

IIIa Poesia

Testo della poesia. (pag. 166)

Oh, la gioia, la gioia di creare

esseri umani, sì che tutti piangano,

ridano, vivano, rapiti in essi,

nella loro esistenza ardente, oh nulla,

null’altro al mondo vale questa gioia.

14 ottobre 1925

IVa Poesia

Testo della poesia (pag. 167)

Mi strugge l’anima perdutamente

il desiderio d’una donna viva,

spirito e carne, da poterla stringere

senza ritegno e scuoterla, avvinghiato

il mio corpo al suo corpo sussultante,

ma poi, in altri giorni più sereni,

starle d’accanto dolcemente, senza

più un pensiero carnale, a contemplare

il suo viso soave di fanciulla,

ingenuo, come avvolto in un dolore

e ascoltare la sua voce leggera

parlarmi lentamente, come in un sogno…

24 ottobre 1925.

Queste quattro poesie sono molto belle perché presentano un Cesare Pavese pieno di vita e di fiducia nell’amore. Le poesie intrecciano, nello stesso tempo, immagini concrete e realistiche a forme di sentimenti leggeri ed immagini poetiche personali e nuove. Pavese usa un linguaggio più vicino ai sentimenti della gente comune ed elimina, di getto ed in modo definitivo, il linguaggio enigmatico e difficile dei poeti laureati (Montale) e il distacco e la freddezza dei poeti ufficiali (Ungaretti) che scrivevano a mente fredda in modo distaccato dal sentire comune.

II

Infine, per concludere la mia analisi delle poesie di Cesare Pavese, ne ho scelte altre due bellissime poesie, anche se poco conosciute, con la speranza di potere fare innamorare qualche giovane lettore alla bella poesia. Le due poesie da me scelte sono “Fine della fantasia” e “Agonia”. Queste due poesie sono state scritte da Pavese entrambe nel 1933 all’età di 25 anni quando già mostrava una forte vocazione alla poesia e alla letteratura. Malgrado siano state scritte lo stesso anno, le due poesie hanno trovato collocazione in posti diversi: Pavese pubblicò “Agonia” nella seconda edizione del libro “Lavorare stanca” del 1943 dove, invece, non trovò posto “Fine della fantasia” che rimase inedita fino al 1962. Le due poesie da me scelte sono opposte ma allo stesso tempo complementari. Le due poesie hanno in comune molte cose a cominciare dal tema del risveglio che però è trattato in maniera opposta e complementare: in “Fine della fantasia” il risveglio è successivo alla vita e quindi si ha dopo la morte, mentre “Agonia” esprime il risveglio a una nuova vita su questa terra e quindi a una rinascita. Un’altra antinomia tra le due poesie è sui protagonisti: “Fine della fantasia” ha per protagonista un uomo mentre “Agonia” è incentrata su una figura femminile. Le due poesie, malgrado le differenze prefate, sono complementari perché si completano a vicenda in quanto il risveglio è in tutti i casi sentito in maniera positiva in entrambe le poesie. Infatti Pavese intende il risveglio e lo prospetta come un atto positivo, di forza e di attaccamento alla vita in entrambe le poesie.

Testo della poesia “Fine della fantasia”. (pag. 314)

Questo corpo mai più ricomincia. A toccargli le occhiaie

uno sente che un mucchio di terra è più vivo,

ché la terra, anche all’alba, non fa che tacere in sé stessa.

Ma un cadavere è un resto di troppi risvegli.

Non abbiamo che questa virtù: cominciare

ogni giorno la vita – davanti alla terra,

sotto un cielo che tace – attendendo un risveglio.

Si stupisce qualcuno che l’alba sia tanta fatica;

di risveglio in risveglio un lavoro è compiuto.

Ma viviamo soltanto per dare in un brivido

al lavoro futuro e svegliare una volta la terra.

E talvolta ci accade. Poi torna a tacere con noi.

Se a sfiorare quel volto la mano non fosse malferma

-viva mano che sente la vita se tocca –

se davvero quel freddo non fosse che il freddo

della terra, nell’alba che gela la terra,

forse questo sarebbe un risveglio, e le cose che tacciono

sotto l’alba, direbbero ancora parole. Ma trema

la mia mano, e di tutte le cose somiglia alla mano

che non muove.

Altre volte svegliarsi nell’alba

era un secco dolore, uno strappo di luce,

ma era pure una liberazione. L’avara parola

della terra era gaia, in un rapido istante,

e morire era ancora tornarci. Ora, il corpo che attende

è un avanzo di troppi risvegli e alla terra non torna.

Non lo dicon nemmeno, le labbra indurite.

[1933]

Io, Biagio Carrubba, penso che questa poesia, in verità, sarebbe più idonea per una persona adulta, ormai smaliziata dalla vita e pronta per assurgere all’aldilà dove avviene il risveglio alla nuova vita poiché la poesia è vista e raccontata da un soggetto in procinto di morire. Pavese, quindi, esprime più i sentimenti di chi sta per morire che quelli di un giovane nel pieno della sua vita. La poesia intreccia la vita e la morte in una morsa che stringe la vita e la morte, la terra e il corpo. Nella poesia, infatti, non si riesce a distinguere il momento del risveglio nell’aldilà dal momento della morte. Il componimento poetico è affascinante perché presenta gli stati d’animo del protagonista attraverso due soli colori: il bianco e il nero. Il bianco è ovviamente la vita e la terra e il nero rappresenta, ovviamente, la morte e il corpo. Ma questo forte contrasto tra i due colori è impreziosito da pennellate grigie che rendono la poesia monocolore e monotematica, ricca di chiaro scuri, come un quadro dipinto a china. Per questa simbologia la poesia rasenta l’ermetismo e si avvicina alle poesie di Ungaretti tipiche del clima ermetico di quel periodo. Ma la poesia esprime anche le grandi novità della raccolta “Lavorare stanca” e cioè una poetica rivolta a personaggi concreti, vivi, reali, in carne ed ossa. Questo tratto distintivo Pavese lo aveva ereditato dallo studio della grande opera poetica “L’antologia di Spoon River” del poeta americano Edgar Lee Masters. Un altro elemento che avvicina “Fine della fantasia” alle poesie de “L’antologia di Spoon River” è certamente l’uso, da parte di Pavese, del verso lungo, disteso, quasi prosastico caratteristico della scrittura di Lee Masters. La poesia è quindi molto bella perché esprime il fortissimo attaccamento del protagonista della poesia alla vita, come i personaggi dell’antologia di Spoon River, anche se percepisce la freddura della vita che va via e lascia un cadavere duro, ghiacciato e gelato.

Questo attaccamento alla vita è molto esplicito nei versi 5 – 6 – 7:

Non abbiamo che questa virtù: cominciare

ogni giorno la vita – davanti alla terra,

sotto un cielo che tace – attendendo un risveglio”.

Il risveglio è quindi inteso come il ciclo vitale che chiude l’esperienza umana ed apre l’esperienza ultra terrena dove non si sa se ricomincerà nuovamente il ciclo umano.

III

Testo della poesia “Agonia”. (pag. 83)

Girerò per le strade finché non sarò stanca morta

saprò vivere sola e fissare negli occhi

ogni volto che passa e restare la stessa.

Questo fresco che sale a cercarmi le vene

è un risveglio che mai nel mattino ho provato

così vero: soltanto, mi sento più forte

che il mio corpo, e un tremore più freddo accompagna

il mattino.

Sono lontani i mattini che avevo vent’anni.

E domani, ventuno: domani uscirò per le strade,

ne ricordo ogni sasso e le strisce di cielo.

Da domani la gente riprende a vedermi

e sarò ritta in piedi e potrò soffermarmi

e specchiarmi in vetrine. I mattini di un tempo,

ero giovane e non lo sapevo, e nemmeno sapevo

di esser io che passavo – una donna, padrona

di se stessa. La magra bambina che fui

si è svegliata da un pianto durato per anni:

ora è come quel pianto non fosse mai stato.

E desidero solo colori. I colori non piangono,

sono come un risveglio: domani i colori

torneranno. Ciascuna uscirà per la strada,

ogni corpo un colore – perfino i bambini.

Questo corpo vestito di rosso leggero

dopo tanto pallore riavrà la sua vita.

Sentirò intorno a me scivolare gli sguardi

e saprò d’esser io: gettando un’occhiata,

mi vedrò tra la gente. Ogni nuovo mattino,

uscirò per le strade cercando i colori.

[1933]

Questa poesia è dedicata ed ispirata ad una giovane donna nel pieno fulgore della sua giovinezza nel giorno del suo ventunesimo compleanno. Pavese esprime i sentimenti, l’euforia e il fervore di questa giovane donna che, dopo avere trascorso una infanzia disagiata e sofferente, ritrova sé stessa e diventa consapevole della sua giovinezza, della sua età, padrona di sé stessa, pronta per vivere la vita così come le si presenta. Il componimento poetico è ammaliante perché presenta gli stati d’animo della protagonista attraverso una moltitudine di colori che diventano il simbolo della ricerca della vita e della giovinezza. La protagonista sente in sé molta forza, molto vigore e non ha paura di stare insieme alla gente per godersi la sua vita in mezzo agli altri. La giovane donna esprime tutto il suo vigore e fervore desiderando la varietà dei colori che rappresentano la sua vitalità interiore. Da domani la protagonista cercherà nella vita la molteplicità e la varietà dei casi tanti quanti sono la varietà e la molteplicità dei colori. Ne l’Agonia, all’opposto de “L’antologia di Spoon River” dove parlavano i morti, parla una giovane donna, viva e vivace, che ha preso consapevolezza di sé e della sua giovinezza. Comunque, in questa poesia Pavese usa sempre un linguaggio poetico lineare, aperto e quasi prosastico che è comune a “L’antologia di Spoon River”. Il finale è veramente stupendo perché la protagonista dice che uscirà ogni giorno di casa per cercare nuovi colori, cioè nuove esperienze forti, e si scrollerà di dosso il pianto di bambina che l’aveva fatta soffrire per molti anni. Questo passaggio dall’infanzia gravosa, nera e pesante al nuovo risveglio della vita, alla giovinezza è molto ben espresso dai versi 23 – 24:

“Questo corpo vestito di rosso leggero

dopo tanto pallore riavrà la sua vita”.

La protagonista della poesia per contrasto fa venire in mente le dolci speranze di “A Silvia” di Giacomo Leopardi. Il risveglio alla giovinezza della protagonista è inteso, quindi, come una apertura alla vita vissuta in prima persona, con forza e coraggio, e vista attraverso una moltitudine di colori. Pavese quindi abbandona il bianco e il nero e il tono melanconico e triste di “Fine della fantasia” sceglie e privilegia la varietà cromatica della vita e dei suoi colori.

Modica, 24/ 09/ 2018                                  Prof. Biagio Carrubba

Modica, rivisto e riordinato il 06 giugno 2023

Modica, 12 giugno 2023 Prof. Biagio Carrubba

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