1. SINTETICA BIOGRAFIA DI SALVATORE QUASIMODO.

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Salvatore Quasimodo nacque a Modica il 20 agosto 1901, allora in provincia di Siracusa, da Gaetano Quasimodo e da Clotilde Ragusa. Era il secondogenito di quattro figli: Vincenzo (1899), Salvatore, Ettore e Rosina. La nonna paterna proveniva da Patrasso, in Grecia, Rosa Papandreu aveva sposato il cantoniere Vincenzo Quasimodo. I genitori di Salvatore Quasimodo si erano sposati il 22 ottobre del 1898. Il padre di Salvatore Quasimodo era capostazione delle ferrovie dello Stato. L’accentazione del cognome Quasìmodo era in origine piana (Quasimòdo): fu il poeta a mutarla in sdrucciola quando si trasferì a Roma. Il poeta trascorse gli anni di bimbo tra Roccalumera, Gela, Trabia.  Iniziò le scuole elementari a Gela. Nel 1908 il padre venne trasferito a Messina, dopo il terribile terremoto del 28 dicembre 1908. La famiglia abitava in un carro merci su un binario morto della stazione distrutta. Il poeta ricorderà per sempre le prime vivissime, incancellabili impressioni dallo spettacolo della devastazione, della morte, delle fucilazioni di sciacalli colti a rubare tra le macerie. Impressioni così vive da ritornare, tanti anni dopo, in una delle sue più belle poesie dedicata a suo padre che porta il titolo “AL PADRE” inserita nella raccolta poetica “LA TERRA IMPAREGGIABILE 1955 – 1958”.

Nel 1909 segue l’iter normale degli studi elementari e medi.

Nel 1916 si iscrive all’Istituto Tecnico matematico – fisico di Palermo. Comincia a scrivere le prime poesie.

Nel 1917 si trasferisce a Messina, dove conobbe molti amici che dureranno tutta la vita. conosce Salvatore Pugliatti, Giorgio la Pira e altri.

Nel 1919 il giovane poeta lascia la Sicilia per Roma, dove si iscrive alla facoltà di Agraria, al Politecnico di Roma. Ma le precarie condizioni economiche gli impedirono però di continuare gli studi e comincia a lavorare.

Nel 1922 il poeta vive con una donna Bice Donetti che sposa. Bice Donetti morirà nel 1946 e a lei Salvatore Quasimodo dedicherà una bellissima poesia “Epitaffio per Bice Donetti”. Ecco come il figlio di Salvatore Quasimodo, Alessandro Quasimodo descrive Bice Donetti: “Bice Donetti è stata la prima moglie di Quasimodo, che lui aveva spostata giovanissimo. Il suo grande merito è stato quello di rimanere nell’ombra tutta la vita, di stare accanto al poeta quando l’ha voluta, di non recriminare mai quando Quasimodo si è formata un’altra famiglia, di capirlo e di amarlo in silenzio. Improvvisamente muore e Quasimodo si accorge di non averla mai ringraziata di tutto questo. Lo fa con questa poesia, forse un po’ tardi.

Dal 1923 al 1926 Salvatore Quasimodo fa vari lavori per sopravvivere: disegnatore tecnico, commesso in un negozio di ferramenta, impiegato alla Rinascente. Sono anni dispersivi del poeta, ma molto importanti perché nel tempo libero studia il greco e il latino sotto la guida di Monsignor Rampolla del Tindaro, fratello del professore Federico Rampolla, già insegnante d’Italiano di Quasimodo all’Istituto tecnico di Messina. Sono anni di povertà e di tristezza. Furono anni oscuri e poco amati.

Nel 1926 il poeta ottiene l’impiego nel Ministero dei Lavori Pubblici e viene assunto come “geometra straordinario” con l’assegno giornaliero di L. 30. Dal Ministero viene assegnato all’Ufficio del Genio Civile di Reggio Calabria dove prende servizio il 10 giungo. A Reggio Calabria il giovane Quasimodo riprende a scrivere poesie, incoraggiato dagli amici Clauco Natoli, il poeta Vann’Antò oltre che da Salvatore Pugliatti. Quasimodo scrive un libro di poesie che legge insieme agli amici che lui va a trovare ogni domenica a Messina. Il poeta riceve critiche e incoraggiamenti e tutti insieme fanno delle gite a Tindari. E da una di queste escursioni Quasimodo scrive una delle prime e bella poesia di quel periodo “VENTO A TINDARI”. Il suo amico Salvatore ricostruisce questo periodo: “Cominciarono i pellegrinaggi domenicali del poeta da Reggio a Messina. Quasi ogni domenica si aveva la sorpresa di nuove composizioni. Per un poco si stava in attesa, infine Quasimodo, tirava fuori con cautela i suoi foglietti e cominciava il rito. Leggeva uno, poi un altro; si commentava a lungo. La comitiva intanto si estendeva; a volte si riusciva a pescare Giorgio La Pira. A volte si facevano delle gite, quasi sempre a Tindari: e in una di quelle volte nacque “VENTO A TINDARI”.

Nel 1929 Quasimodo si reca a Firenze invitato da Elio Vittoriani, che aveva sposato la sorella di Quasimodo. Vittorini lo introduce nell’ambiente letterario della Rivista “Solaria”. Qui Quasimodo conosce Arturo Loria, Alessandro Bonsanti, Gianna Mancini, Eugenio Montale. Salvatore Pugliatti scrisse la prima recensione e spiegazione della poesia “Vento a Tindari” sul numero I del gennaio 1932.

Nel 1930 la Rivista “Solaria” pubblica il primo libro di poesie di Quasimodo dal titolo “ACQUE E TERRE”.

Nel 1931 viene trasferito al Genio Civile di Imperia. A Genova, stringe amicizia con il poeta Adriano Grande, Camillo Sbarbaro. Collabora alla rivista “Circoli”.

Eugenio Montale recensisce “ACQUE E TERRE” nel 1931.

Nel 1932 Quasimodo pubblica il suo secondo libro di poesie “OBOE SOMMERSO” per conto delle Edizioni di Circoli a cura di Adriano Grande. Il libro viene considerato il manifesto dell’ermetismo. Elio Vittorini recensisce “Oboe sommerso” nel settembre del 1932.

Nel 1934 viene trasferito a Milano, dove conosce e frequenta pittori, scrittori, scultori e musicisti: lo scultore Messina il pittore Sassu.

Nel 1935 gli nasce la figlia Orietta avuta da una relazione extraconiugale.

Nel 1936 Quasimodo pubblica la terza opera poetica “ERATO E APOLLION” con un importante introduzione di Sergio Solmi. A Sestri Levante dove si era recato conosce Carlo Bo e incontra la danzatrice Maria Clementica Cumani, e se ne innamora. Quasimodo ha scritto alcune poesie per Maria Cumani tra cui “ELEGOS PER LA DANZATRICE CUMANI” e “DELFICA”. E del loro amore è rimasto il carteggio d’amore tra Salvatore Quasimodo e Maria Cumani.

Nel 1938 lascia il Genio Civile e inizia a lavorare come segretario di Cesare Zavattini in una attività editoriale. Esce la prima importante racconta dei libri di poesie con una introduzione di Oreste Macrì, intorno alla “poetica della parola”. Collabora alla rivista “LETTERATURA”, rivista dell’ermetismo fiorentino.

Nel 1939 nasce a Milano il figlio Alessandro da Maria Cumani.

Nel 1940 pubblica l’innovativa opera di traduzioni dei poeti greci classici “lirici Greci” con la prima prefazione di Luciano Anceschi, per le Edizioni di “Corrente”. Il successo poetico e lo scandalo accademico provocati da questo libro straordinario sono, più che notevoli, quasi unici nella storia delle traduzioni.

Nel 1941 viene nominato “per chiara fama” professore di Letteratura Italiana presso il Conservatorio di musica “Giuseppe Verdi” di Milano: terrà la cattedra fino al 1968.

Nel 1942 esce la raccolta “Ed è subito sera”, raccolta definitiva della poesia quasimodiana degli anni trenta: comprende anche le “Nuove Poesie”, scritte fra il 1936 e il 1942.

Nel 1945 traduce il “Vangelo secondo Giovanni”, alcuni canti di Catullo. In questo anno Quasimodo si iscrive al Partito Comunista, in cui militerà poco tempo (uno o due anni). Negli anni seguenti e per il resto della vita, Quasimodo partecipò, come un semplice cittadino democratico, alla vita della Repubblica italiana. Nel 1946 Giancarlo Vigorelli pubblica il volume di poesie “Con il piede straniero sopra il cuore”.

Nel 1947 questo volume viene ripubblicato nelle Edizioni di Mondadori con l’aggiunta di due poesie con il nuovo titolo “Giorno dopo giorno”.

Nel 1948 Quasimodo sposa Maria Cumani, dopo che nel 1946 era morta la prima moglie.

Nel 1949 Quasimodo pubblica l’opera poetica “La vita non è sogno”.

Nel 1952 Quasimodo scrive una poesia “Natale” per il figlio Alessandro. Su questa poesia però Alessandro ha scritto però come andarono veramente i fatti: ecco il racconto di Alessandro Quasimodo: “Ero in terza media e un professore ha avuto la felicissima idea di spiegarci la metrica. Il professore ha detto poi agli alunni di scrivere un bel sonetto sul Natale. I professori si aspettavano sempre qualcosa di diverso, non dico né in bene né in male, ma senz’altro qualcosa di particolare. Quando andavo bene dicevano: “Tanto c’è suo padre a casa che lo aiuta”. Se invece facevo male dicevano:” Eh, certo, i figli dei geni sono sempre degli imbecilli” e la regola non si smentiva. Qualche giorno prima del rientro a scuola mio padre si è seduto con me alla scrivania ed è nata questa poesia, il cui contenuto è assolutamente mio, sebbene qualcuno lo abbia messo in dubbio, abbia trovato troppo precoci queste idee per un bambino di 13 anni e la metrica è sua.  La poesia ha avuto un 8 a scuola e io, abituato a prendere 7 non mi sono sentito molto in colpa. Ho detto: “Beh, un punto, in più l’ha preso lui”, anzi, ho pensato: “Ma come, con la collaborazione di un poeta come Quasimodo, soltanto un voto in più?”. Sono rimasto, forse, un po’ deluso. Ecco il testo della poesia.

                                                     NATALE

Natale. Guardo il presepe scolpito,

dove sono i pastori appena giunti

alla povera stalla di Betlemme.

Anche i Re Magi nelle lunghe vesti

salutano il potente Re del mondo.

Pace nella finzione e nel silenzio

delle figure di legno: ecco i vecchi

del villaggio e la stella che risplende

E l’asinello di colore azzurro.

Pace nel cuore di Cristo in eterno;

ma non v’è pace nel cuore dell’uomo.

Anche con Cristo e sono venti secoli

Il fratello si scaglia sul fratello.

Ma c’è chi ascolta il pianto del bambino

che morirà poi in croce fra due ladri?

Nel 1956 Quasimodo pubblica l’opera poetica “IL FALSO E VERO VERDE”. La raccolta comprende in appendice l’importante saggio teorico di poetica “Discorso sulla poesia (1953)” che conferma e rafforza le posizioni del poeta su altri saggi scritti in precedenza sullo stesso argomento sulla importanza della poesia dopo la seconda guerra mondiale.

Nel 1958 Quasimodo pubblica l’opera poetica “LA TERRA IMPAREGGIABILE”.

“LA TERRA IMPAREGGIABILE” contiene la poesia “ALLA NUOVA LUNA” che suscita polemiche tra i critichi italiani. Ecco il testo della poesia.

                                          ALLA NUOVA LUNA

                                        In principio Dio creò il cielo

                                        e la terra, poi nel suo giorno

                                        esatto mise i luminari in cielo

                                        e al settimo giorno si riposò.

                                        Dopo miliardi di anni l’uomo,

                                        fatto a sua immagine e somiglianza,

                                        senza mai riposare, con la sua

                                        intelligenza laica,

                                        senza timore, nel cielo sereno

                                        d’una notte d’ottobre

                                        mise altri luminari uguali

                                        a quelli che giravano

                                        dalla creazione del mondo. Amen.

Quasimodo scrisse questa poesia in occasione al primo lancio nello spazio del primo satellite sovietico Sputnik nell’ottobre del 1957.

Nel settembre del 1958, nel corso di una visita in Unione Sovietica, viene colpito da infarto: rimarrà degente a lungo all’ospedale Botkin di Mosca. È accudito dall’infermiera Varvara Alexandrovna a cui dedicherà una bella ed importante poesia. Rientra in Italia nella primavera del 1959.

Nel 1959 l’Accademia Svedese decise di attribuire il premio Nobel per l’anno 1959 al poeta siciliano Salvatore Quasimodo con questa motivazione “per la sua opera lirica che esprime, con ardore classico, il sentimento contemporaneo della vita”. Il giornalista francese Alain Bosquet elogiò per primo Salvatore Quasimodo, “illustre sconosciuto” ma anche come “ispirato cantore dello Sputnik con queste parole: “Poeta della luce mediterranea… Quasimodo è anche, nella vita quotidiana come nella vita letteraria, un testimone e un lottatore. Egli si impegna, senza mai permettere alla sua poesia di perdere la sua impassibilità formale e la pacata concisione del suo fascino”. In Italia l’assegnazione del premio Nobel a Quasimodo apre molte polemiche e malcontenti. Il critico letterario scrive un articolo contro l’assegnazione del premio Nobel a Quasimodo. Anders Osterling difende l’assegnazione a Salvatore Quasimodo e lo stesso Osterling che annuncia l’assegnazione del premio a Quasimodo e presenta il discorso ufficiale nella seduta del ritiro del premio il 10 dicembre 1959.  Alla notizia del premio Nobel Quasimodo disse: “Ho accolto la notizia con la mia solita tranquillità, perché sapevo che avrei dovuto tenere conto di una forte opposizione, data la mia particolare posizione nel campo della poesia. I miei avversari, cioè a dire gli altri candidati, avevano numerose carte da giocare, mentre io ero solo a lottare. L’onore che mi viene da questo omaggio dell’Accademia Svedese si dirama in diverse direzioni. Esso tocca soprattutto il problema dell’inquietudine dell’uomo contemporaneo che è al centro di tutta la mia opera poetica”. Il Presidente degli scrittori dell’Unione sovietica disse: “Con le vostre vigorose poesie, lette attentamente nell’Unione Sovietica, vi siete fatti nuovi amici e lettori nel nostro Paese, dove non si è dimenticato che siete uno dei primi scrittori che abbia dedicato una poesia al nostro Sputnik”. Al momento del ritiro del Premio Quasimodo negò con veemenza di appartenere a un partito politico e di essersi mai lasciato influenzare da reconditi pensieri politici nella sua creazione artistica. Quasimodo si difese inoltre da altri attacchi dicendo che, se gli era stato attribuito il premio Nobel, doveva essere per una ragione valida. E anche in Italia non mancarono altri attacchi al suo premio; a questi disse che questi detrattori lo avrebbero voluto bruciarlo vivo in Campo dei Fiori a Roma, come vi fu bruciato un tempo Giordano Bruno? Quanto alla famosa lirica dedicata allo Sputnik, egli non voleva celebrare “l’ordigno russo in sé”, ma “quella nuova luna creata dal genio degli uomini, con l’aiuto di Dio”. Ecco la sintesi del discorso ufficiale di Anders Osteling nella cerimonia del conferimento del Premio Nobel a Salvatore Quasimodo. “Sire, Eccellenze, Signore, signori, quest’anno il Premio Nobel per la letteratura è il poeta italiano Salvatore Quasimodo, di origine, siciliana, nato vicino a Siracusa e, più esattamente, nella cittadina di Modica, a una decina di chilometri dalla costa”. Non è difficile immaginare quanto il luogo nativo abbia significato per la vocazione del poeta… La Sicilia della sua infanzia e della sua giovinezza Quasimodo l’ha cantata con un amore che, dopo la sua partenza per l’Italia del Nord, ha acquistato una profondità più grande e una prospettiva più ampia: il paesaggio insulare sferzato dal vento, con i colonnati dei templi greci, la sua grandezza desolata, le sue povere città, le sue strade polverose fra le colline coperte di uliveti, la musica aspra del mare e dei corni dei pastori. Tuttavia non può essere considerato un poeta provinciale. La sfera dei suoi argomenti si allarga a mano a mano che il pathos umano trapassa irresistibilmente la forma ermetica alla quale era prima legato. Sono innanzitutto le esperienze amare della guerra che hanno dato l’impulso a questo cambiamento di direzione e hanno fatto di lui un interprete di tutta la vita morale del suo popolo nell’esperienza quotidiana e nel confronto incessante con la morte. Durante questo ultimo periodo ha creato un certo numero di poesie di così sublime altezza che si può essere certi della loro perennità. Quasimodo, naturalmente, non è l’unico poeta italiano che sia stato toccato in questo modo dal martirio del suo Paese e del suo popolo, ma la gravità austera e appassionata del siciliano possiede un accento tutto particolare, quando chiude una delle sue elegie di guerra con questo grido:

                                     Tutto si travolge, ma i morti non si vendono.

                                     Il mio paese è l’Italia, o nemico più straniero,

                                     e io canto il suo popolo, e anche il pianto

                                     coperto da rumore del suo mare,

                                     il limpido lutto delle madri, canto la sua vita.

                                     (Ultimi cinque versi della poesia

  Il mio paese è l’Italia

  dal volume La vita non è sogno) ….

Modi biblici, nella sua lirica si accompagnano a motivi della mitologia antica, quella mitologia che è una sorgente sempre presente all’ispirazione di un siciliano. L’atmosfera fondamentale della sua poesia è una cristiana pietà, che, nei momenti di ispirazione suprema, attinge all’universale”. Il conferenziere si rivolge allora in italiano al premiato e dice: “Signore, la motivazione dell’Accademia Svedese per il Premio che oggi vi viene accordato è la seguente: “Per le sue poesie che, con ardore classico, esprimono il sentimento della vita del nostro tempo”. La vostra poesia ci è vicina, come un messaggio autentico e vivo di quell’Italia che, da secoli, conta nel nostro Paese amici e ammiratori fedeli. Nell’esprimere le nostre più cordiali felicitazioni, vi preghiamo di voler ricevere dalle mani di Sua Maestà il Re il Premio Nobel per la Letteratura. Quasimodo rispose in Italiano con un omaggio vibrante reso alla Svezia “patria adottiva di tutti gli uomini che hanno ricevuto il premio Nobel” e lesse un discorso dal titolo “Il Poeta e il politico” dove disse fra l’altro: “Il politico vuole che l’uomo sappia morire con coraggio, il poeta vuole piuttosto che l’uomo viva con coraggio. E concluse il saggio affermando che: “Non è retorica questa: in ogni nazione l’assedio silenzioso al poeta è coerente nella cronaca umana. Ma i letterati appartenenti al politico non rappresentano tutta la nazione, servono soltanto, dico “servono”, a ritardare di qualche minuto la voce del poeta dentro il mondo. Col tempo, secondo Leonardo, “ogni torto si dirizza”. Quasimodo affermò ciò fra gli applausi assai cortesi dell’ambasciatore d’Italia a Stoccolma, del gran maresciallo del Regno, Ekeberg, Presidente della Fondazione Nobel, di parecchi membri dell’Accademia Svedese, e di molti altri rappresentanti del Regno di Svezia, poche ore più tardi, Quasimodo, sarebbe stato ricevuto a pranzo, con glia altri premiati dell’anno, da Re in persona, al quale il poeta consegnò le sue Opere complete, lussuosamente rilegate. (Sintesi presa e trascritta dal volume I premi Nobel per la letteratura Salvatore Quasimodo Fratelli Fabbri editori 1968 pagine 7 – 22). La candidatura di Quasimodo era stata avanzata da due eminenti studiosi e cattedratici italiani: Francesco Flora e Carlo Bo con lettere del 19 dicembre del 1957 e del 16 gennaio 1958.

Nel 1960 Salvatore Quasimodo e Maria Cumani rompono il loro matrimonio. Cumani abbandona il poeta rimane solo piange la sua solitudine. Ecco la breve sintesi del figlio Alessandro sulla separazione della Cumani: “Davvero il tempo, da quell’estate dl ’59 è precipitato di colpo e non solo per Quasimodo. L’ultimo messaggio del carteggio porta la data dell’11 agosto. Nel mese di novembre giunge il Nobel, poi la richiesta di separazione legale da parte della Cumani, la sua dolorosa fuga a Roma quando ormai non solo le apparenze “denunciano egoismo o crudeltà mentale”. Per anni il silenzio e il peso di parole che ora acquistano il loro senso più crudele: “E tu non conosci la solitudine. La solitudine che hai avuta è appena un’ombra del silenzio che si fa intorno a noi quando non c’è più nessuno che ci aspetta dietro una porta chiusa”. Poi, lentamente, l’avvio di un nuovo colloquio, telefonico questa volta, qualche “difficile” incontro: di uno sono testimone nel Natale del ‘66” (20 agosto 1973). (da lettere d’amore di S. Quasimodo). Ma il poeta non rimase da solo, anzi dopo la Cumani Quasimodo ebbe un’altra appassionante storia d’amore con Curzia Ferrari. Ecco come la racconta un suo giovane amico e poeta Giuseppe liccio che aveva invitato il poeta ad Amalfi nel gennaio del ’66. G. Liuccio scrive: “Aveva voglia di confidarsi. Lo capii e lo sollecitai. E, nel racconto, l’occhio vispo, molle, si intristiva a lacerazione di lontananza per una “giovane signora bruna e passionale, poeta della vita e dell’amore, che gli aveva sequestrato il cuore per sempre”. Non me ne fece il nome. Era pur sempre un galantuomo. Seppi, anni dopo, che si trattava di Curzia Ferrari, cui inviava lunghe lettere frementi di passione, raccolte di recente nel volume “Senza di te, la Morte”. È bello essere innamorati – mi confidò mentre a passi lenti raggiungevamo mia moglie e la sua segretaria del poeta a passeggio verso il porto. È il segreto per dare senso alla vita. e, ricordati- aggiunge: rompere, troncare i rapporti piuttosto che lasciarli imputridire nel pantano della quotidianità. L’amore è bello se è primavera che rinnova colori e profumi”. (Da Quasimodo amalfitano di Giuseppe Liuccio pagine 33 – 34).                                    

Nel 1960 inizia una serie di viaggi all’estero, in Europa e in America, tenendo conferenze e letture di poesie.  L’Università di Messina gli conferisce la laurea Honoris causa.

Nel 1961 Salvatore Quasimodo si reca dell’Ungheria a piantare un tiglio nel parco sulle rive del lago Balaton, dove gli alberi portano il nome dei personaggi famosi. Ogni albero di quel bosco porta un nome famoso nel campo dell’arte e della letteratura. Il 27 giungo Quasimodo scelse di piantare il proprio tiglio vicino a quello già alto del poeta indiano Tagore, Nobel per la letteratura nel 1926, pronunciando le parole che ora sono incise su una piccola epigrafe ai piedi dell’albero. Come racconta suo figlio Alessandro “Ogni anno, un amico ungherese Szabò, inviava a Quasimodo due foglie dell’albero per documentarne la crescita. L’ultimo anno le foglie sono arrivate quando il poeta non c’era più. Ecco il bel testo dell’epigrafe del Tiglio di Salvatore Quasimodo.

                              EPIGRAFE PER IL TIGLIO DEL BALATON.

                             Con cuore felice metto questo albero

                             sulle rive delle onde del Balaton,

                             che avrà foglie al di là della mia

                             vita provvisoria. Le sue radici entrano

                             profonde nella eterna e fiera terra

                             magiara tormentata sempre nella sua storia.

                             Ma ogni fronda dia un saluto

                             a coloro che venendo qui amano

                             la poesia che fa nascere gentilezza

                             e giustizia nell’uomo di ogni nazione.

Nel 1961 compie un viaggio in America, e comincia a viaggiare in tutta Europa, tenendo conferenze e letture di poesie. 

Nel 1966 pubblica l’ultima sua opera poetica “DARE E AVERE”.

Nel 1967 L’Università di Oxford, in Inghilterra, gli conferisce un’altra laurea Honoris causa.

Nel 1968 ad Amalfi mentre presiedeva un concorso di poesia fu colpito da emorragia cerebrale. Nel pomeriggio fu trasportato con mezzi di fortuna in una clinica di Napoli, cove muore nel pomeriggio del 14 giugno. Ecco come il figlio Alesando ricorda quel giorno: “L’ultima telefonata tra Salvatore e Maria Cumani risale al giorno prima della partenza di Quasimodo per Amalfi. Due giorni dopo ancora il telefono annuncia la fine di ogni possibile dialogo umano: “Qui l’azienda del turismo di Amalfi. Casa Quasimodo? Il “professore” è morto”. Il tempo è precipitato di colpo. Sono le 17,45 di venerdì 14 giugno del 1968”. (da Lettere di Quasimodo a Maria Cumani). L’ultimo suo atto è stato la firma del verbale con il quale la giuria assegnava il premio a due giovani poeti: Gilberto Finzi e Grytzko Mascioni. La salma verrà tumulata a Milano nel Famedio del Cimitero Monumentale.

Gilberto Finzi, si può dire, è stato da allora il suo più grande interprete e commentare più preciso, più misurato e più obiettivo fra i critici letterari italiani.

Modica 30/ 08/ 2018                                                 Prof. Biagio Carrubba

Modica, rivisto e ordinato il 23 maggio 2023

Modica, 25 maggio 2023 Prof. Biagio Carrubba

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